02 - MARIO ANZANI CILIBERTI, vigile urbano


Alcune persone del passato, per il loro modo di essere e/o di agire, tornano occasionalmente nella mente di tanti loro ex coetanei i quali, a distanza di anni, sono perfettamente in grado di proporsele davanti ai propri occhi e di ricordarne lineamenti e caratteristiche comportamentali. Se poi tali identikit mnemonici sono arricchiti dal ricordo di altre doti come signorilità, buona moralità, cordialità, diligenza nel lavoro, ecc., forse qualcuno sentirà un po’ la mancanza di quelle persone.
Tra esse, trova adeguato spazio e giusta luce nel monitor della memoria di tanti un vigile urbano cui non hanno fatto certamente difetto, tra l’altro, le qualità sopra descritte. Tuttavia l’etichetta di personaggio storico, limitatamente al territorio nicastrese, è conferita non tanto da meriti speciali o da ruoli di primaria importanza, bensì da vicende che hanno avuto grande cassa di risonanza o da aneddoti particolarmente curiosi. E' il caso del vigile urbano Mario Anzani Ciliberti, deceduto da diversi anni. Ai suoi tempi per la verità erano noti, per un verso o per l’altro, quasi tutti i suoi colleghi, dal comandante Colacino ai vari Buccinnà, Cugnetto, De Marco, Lucchino, Miscimarra, Natrella, Notarianni, Pupello, Trovato ecc.
Tuttavia, Don Mario emergeva sugli altri - sempre in fatto di popolarità - sia perché si esprimeva in un italiano tutto suo e sia perché ritenuto protagonista di scenette gustose e simpaticissime. Il “don” davanti al nome di battesimo non era prerogativa di tutti. Ad Anzani gli era unanimemente riconosciuto più che per diritto di ... famiglia o per appartenenza al corpo dei vigili, quanto per l’ampia stima meritatasi in tanti anni di contatti con la gente. Ancora oggi chi lo ricorda per questo o quel motivo, difficilmente ne pronunzia il nome e cognome senza farli precedere da quel predicato d’onore abitualmente riservato a nobili, a ecclesiastici, a commercianti e imprenditori particolarmente in vista.
Don Mario in prime nozze sposò Angelina Montesanti, deceduta nel maggio del 1960 in coincidenza del decimo parto finito drammaticamente con la morte anche del nascituro. Il dolore, a detta di una vicina di casa, fu struggente per lui per i figli, sei dei quali viventi: Elisa, Milena, Alfonso, Antonio, Graziella e Concetta. Nel dicembre dello stesso anno il compianto vigile formò una seconda famiglia con Giovanna Jannazzo allietata da tre lieti eventi: Gianfranco, Domenico e Felicia. Il 17 giugno del 1969, a soli cinquantacinque anni di età (era nato il 25 marzo del 1914), l’Anzani cessò di vivere.
Egli, però, è rimasto nel cuore dei familiari e nel piacevole ricordo di tanti concittadini per la gentilezza, il rispetto verso tutti e per altri “meriti”. Don Mario Anzani era assai noto per l’inflessione dialettale che era ben lontana da quella usata dai compaesani e dovuta al fatto di avere egli trascorso diversi anni al Nord; tant’è che molti lametini, disconoscendone le vere origini, per il suo modo di parlare erano convinti fosse nato in altra regione. Era invece un nicastrese purosangue.
Statura normale, fisico asciutto, passo svelto; accusava una sorta di tic nervoso per il quale spesso tirava su istintivamente ora l’una ora l’altra spalla. Accanito fumatore - due pacchetti di sigarette erano la razione minima quotidiana - e per hobby la caccia. Due passioni che trovano adeguato risalto nel curioso aneddoto a lui attribuito e in calce riferito. Per passatempo non disdegnava talvolta una partitina a carte con amici. Ligio e inflessibile nel lavoro, Don Mario era stimato e ben voluto da tutti. Forse soltanto i ragazzi che giocavano in mezzo alla strada, non lo vedevano tanto di buon occhio, temendone rimproveri e reiterate minacce. Alla sua vista alcuni se la davano a gambe. Con loro era severo, specie con i più irrequieti: non tollerava che procurassero fastidio ai passanti e agli abitanti del rione con i loro schiamazzi o che intralciassero la circolazione con i loro giochi al centro della carreggiata. Con fare apparentemente burbero profferiva le solite tre paroline: “Se ti pissico... ” (se ti prendo).
E’ da precisare al riguardo che il vero spauracchio per quei ragazzi era però un suo collega, di cui si tace il nome, perché requisiva le palle di gomma, che essi acquistavano generalmente da Di Terlizzi in piazza Stocco, e impietosamente le squarciava con un temperino che teneva nascosto tra le mani incrociate dietro la schiena.
Attorno a Don Mario sono fiorite delle simpaticissime storielle: alcune di esse sono abbastanza attendibili se non addirittura certe, altre sono verosimilmente frutto della fantasia di qualche buontempone, altre ancora hanno qualche fondamento di verità frammista ad artificiosi contorni e poi fatte a lui indossare come abito su misura. Tuttavia alcune di esse sono carine e vale davvero la pena di raccontarle ai lettori, anche per la semplice ragione che esse fanno ancor più risaltare le grandi doti umane e la forte simpatia di questo indimenticato personaggio.
Qualcuno rammenta che una volta Don Mario elevò contravvenzione per divieto di sosta a carico del proprietario di una “Lambretta”, motoretta allora tanto in voga al pari della “Vespa” prodotta dalla Piaggio. Il mezzo, oggetto di contravvenzione perché parcheggiato da uno dei figli del vigile in zona vietata nei pressi dell’Edificio Scolastico, apparteneva allo stesso Anzani. E il testimone aggiunge che la multa fu regolarmente pagata.
Altro simpatico siparietto è compendiato dalla frase divenuta ... storica: “Lei è di traca” (di traverso). A distanza di anni sono in tanti a ricordarla e a riconoscerne la paternità facendola risalire, per l’appunto, al compianto vigile urbano. La rivolse, a spiegazione dell’infrazione riscontrata, a una signorina milanese che aveva parcheggiato la propria autovettura su Corso G. Nicotera non parallelamente, come da segnaletica, ma perpendicolarmente al marciapiede, tra due mezzi. La donna, in procinto di risalire in macchina dopo aver fatto degli acquisti, chiese al vigile la ragione per la quale egli stava rilevando il numero di targa. Don Mario, senza sollevare gli occhi dal bollettario delle contravvenzioni, diede la laconica quanto famosa risposta: “Lei è di traca”. Non conoscendo il dialetto parlato dall’agente municipale e ipotizzando che questi la ritenesse originaria di un paese, da lei mai sentito nominare, chiamato evidentemente Traca, l’automobilista tenne a precisare: “No, mì son de Milàn ”.
E lui, senza scomporsi, ribatté: “Che è di Milano non ha importanza. Ripeto: lei è di traca”. Poi, resosi conto, di non essere stato abbastanza chiaro, fu più esplicito: “La macchina non l’ha parcheggiata bene, l’ha messa di traca”, accompagnando le parole con un eloquente gesto della mano. Chiarito l’equivoco, alla donna non rimase altro che conciliare e tirar fuori i quattrini della multa, abbozzando un mezzo e pure un tantino amaro sorrisetto per lo strano vocabolo usato dall’intransigente vigile.
Banale ma sicuramente simpatico e spassoso è un altro aneddoto con protagonista il nostro simpaticissimo vigile. Da appassionato cacciatore, all’apertura della stagione venatoria, Don Mario infilava il fucile a tracolla, sistemava cartucciera e carniere alla cintola e via per i campi, ottimista - come ogni seguace della dea Diana - di far incetta di selvaggina. Quando c’era la “passa”, vale a dire il passaggio degli uccelli migratori, si avviava di buonora verso lo Stretto, zona all’altezza dell’incrocio tra la strada "Due Mari" e via del Progresso, oppure verso contrada Palazzo, alla periferia sud di Nicastro. I giorni liberi egli li dedicava solitamente a questo suo hobby.
Al rientro da un’escursione venatoria, come ricordava anni fa uno dei suoi abituali compagni di caccia, con l’amico si parlava del più e del meno. Ricorrente il discorso sui risultati di precedenti e proficue uscite di caccia, ciascuno ingrandendo a dismisura numero e dimensioni delle presunte prede, in linea con il generalizzato vezzo di esclusiva prerogativa di pescatori e di cacciatori. A un certo punto i due parlarono, vantandole, delle armi da ciascuno possedute. Don Mario dichiarò di detenere un paio di ottime “doppiette” e una carabina eccezionale per rifiniture e precisione di tiro. E invitò l’amico, che lo stava riaccompagnando in macchina nell’abitazione di via S. Lucia, a salire un attimo in casa per mostrargli il tanto decantato armamentario.
Quel giorno e in quell’ora nella dimora degli Anzani non c’era nessuno. Il vigile si premurò di rimediare le chiavi per aprire. Tastò con una mano giubbotto e pantaloni in corrispondenza delle varie tasche dopo aver passato, di volta in volta, nell’altra l’immancabile sigaretta accesa. La ricerca fu difficoltosa. Con il fucile in spalla, la cartucciera, il carniere e le varie cinghiette, egli incontrava non poche difficoltà nell’infilare la mano nelle tasche e recuperare la chiave del portoncino, in dialetto nicastrese "chiavino", dalle dimensioni pressappoco di una sigaretta. Passò logicamente del tempo. Finalmente la mano destra fu indirizzata verso la toppa, ma l’uscio tardava ad aprirsi.
L’amico, incuriosito, sbirciò da sopra le spalle del padrone di casa e notò che questi, un po’ per nervosismo e un po’ per distrazione, nel buco della serratura aveva infilato la sigaretta accesa. La chiave stava nella mano sinistra. Con tono di bonario rimprovero se ne uscì con questa splendida battuta, accompagnata da un ironico sorrisetto: “O don Ma’, ’ccùlla sigaretta vulìti rapirìri ’a porta?”; e aggiunse: “E mo trasìmu...!”
(O don Mario, con la sigaretta volete aprire la porta? E mai entreremo!).

à Demetrio Russo

7 commenti:

  1. Sono felice di aver letto un articolo oosì ben fatto su mio nonno! Non avendo potuto conoscere mio nonno a causa della sua morte prematura.. con questo articolo ho potuto conoscere qualcosa in più su di lui. Sono sempre pi fiero di portare il suo stesso nome e di indossare una divisa come lui..
    Cordiali saluti
    da Mario Anzani Ciliberi, figlio di Antonio, colui che prese la contravvenzione con la lambretta di don mario

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  2. sono felice di aver letto la storia di uno zio che non ho mai conosciuto ,(il fratello di mia nonna ) Grazie a chi lo ricorda

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  3. Sono la nipote dell'unica sorella che Mario Anzani aveva, ringrazio per l'interessamento, vi sarebbero altri anedotti da raccontare .....pero'ci teniamo a precisare che zio Mario parlava un italiano perfetto .......

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  4. Gentilissimi nipoti di Don Mario Anzani,
    vi ringrazio per i commenti positivi al servizio sullo stimatissimo Don Mario, ancora oggi ricordato da molti concittadini, e sono altresì compiaciuto di aver fornito elementi e messo in risalto doti di lui, a voi utili per una più approfondita valutazione del carattere e delle grandi qualità del vostro parente. Per quanto riguarda l'appunto mosso dalla nipote in merito all'uso della lingua italiana che io, nel servizio, avrei escluso tra le di lui conoscenze, preciso: ho frequentato spesso Don Mario, sia quando abitavamo vicini (lui a Santa Lucia ed io in Via Statti) ed anche dopo, avendo avuto e praticato assieme degli hobby come la caccia e, per passatempo, il gioco delle carte. In quelle occasioni e in tantissime altre, il linguaggio usato dall'indimenticato Don Mario era quello descritto nel "pezzo". Ciò non significa che egli disconoscesse la lingua italiana.
    Di aneddoti con lui protagonista ne stanno tanti, alcuni probabilmente più curiosi e interessanti di quelli da me riportati, ma per citarli tutti di spazio ne occorrerebbe a iosa.

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  5. Sono la figlia grande del personaggio descritto non posso che complimentarmi con lo scrittore mi ha vatto vivere un attimo di gioventu GRAZIE GRAZIE MILLE VOLTE GRAZIE

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  6. Splendido articolo in nome di un nonno tanto caro nei ricordi di molti e che purtroppo non ho avuto il piacere di conoscere se non tra attraverso i racconti di famiglia.
    Milena? No, Wilma.
    Grazie da tutti noi.

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  7. Che il nonno fosse particolare lo si capisce da ciò che è rimasto cmq grazie

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari