
Era nato a Nocera Inferiore nel lontano
1914. A Nicastro si trasferì dopo che dall’unione con Filomena Jannaccone
nacquero i tre figli Gaetana, Angelo e Giuseppe. Sistematosi in città, ha
lavorato nel campo della ristorazione e segnatamente come pizzaiolo, sulla scia
della migliore tradizione napoletana. Nel suo campo Don Achille Cioffi era un maestro nel vero significato
della parola. Giudizio condiviso da molti concittadini che hanno avuto modo e
occasione di conoscerlo e di apprezzarne le specialità culinarie. Al pari di
tanti altri personaggi del passato che sono delle autentiche icone nell’immaginario
albo d’oro locale, egli ha lasciato un buon ricordo di sé e delle sue
gustosissime pizze. Infatti, chi ne ha memoria lo considera a giusto titolo uno
dei Nicastresi, ovviamente d’adozione, più noti in quel periodo; tant’è che,
ancora oggi, a distanza di diversi anni, basti pronunciare due paroline, “don Achille”, e il riferimento al signor Cioffi è
fuori discussione. La sua notorietà, allargata a tanti centri vicini, non solo
era ed è dovuta alla simpatia e pure alla particolare conformazione fisica, quanto
principalmente alla bontà della sua pizza che richiamava buongustai da tutto il
circondario. Il suo piccolo locale in via E.&R. de’ Medici, la sua ultima
sede di lavoro in città, era un punto di riferimento per tantissimi giovani e
anche per i grandi che ordinavano le sue specialità da mangiare per cena in
famiglia. E capitava spesso che davanti a quel bancone si dovesse fare la fila.
Cioffi si era ben integrato in città, solo
che si esprimeva esclusivamente in stretto dialetto napoletano che, per la verità,
ad amici e clienti tornava oltremodo gradevole. Trasferitosi in età
relativamente matura dalla Campania nella città della Piana, aveva acquisito in
buona misura la classe, l’esperienza e la fantasia dei pizzaioli napoletani,
tanto da ben rappresentare la categoria ed essere considerato il numero uno.
Era considerato “’o rre de’
ppizze” (il re delle
pizze), per dirla alla
napoletana, idioma che nonostante la lunga assenza dalla terra natia, non ha
mai tradito né annacquato, sia in fatto di terminologia sia di cadenza. A
tutt’oggi – ed è passata una quindicina d’anni dalla morte! - lo scettro
regale, metaforicamente s’intende, non è passato nelle mani di nessuno. Manca
un valido successore al trono. In parole povere non si vede in giro chi può
considerarsi meritevole di occuparne il posto all’ipotetico vertice della
categoria. Alcuni operatori del settore, che - a parer di alcuni – sfornano
delle buone pizze, non reggono certamente il confronto, in fatto di bontà e
qualità del prodotto, con il loro ex collega. Tanti consumatori della
specialità gustata ai tempi di Achille Cioffi, avrebbero sicuramente fondati
motivi per rimpiangere il defunto pizzaiolo napoletano e la sua profumata quanto gustosissima
“schiacciata”.
Don Achille aveva una vasta clientela e di
pizze ne sfornava parecchie nel corso dell'intera giornata. La maggior parte
erano pizze da asporto perché gli acquirenti, anche da soli, preferivano
consumarle fra le mura domestiche e non in quel locale che, a onore del vero,
lasciava un tantino a desiderare dal punto di vista igienico-ricettivo. Esso,
in effetti, era stato ricavato alla meglio in una vecchia e fatiscente
costruzione in via E.&R. de’ Medici, nell’angusto atrio d’ingresso dell’ex
pensione “La Rosa bianca” a fianco dell'allora rivendita tabacchi di Andrea Proto. L’immobile, in
seguito ristrutturato dai proprietari, dal punto di vista delle comodità non
reggeva certamente il confronto con gli altri della zona, in genere più nuovi e
meglio attrezzati. In effetti, l’arredo della saletta e del locale con il forno
era modesto, limitato all’indispensabile: il forno, un frigorifero per le
bibite, pochi tavoli e un bancone dalle ridotte dimensioni posto quasi a
ridosso del portoncino d’ingresso. Sul ripiano del bancone operavano il
pizzaiolo e sua moglie, la signora Filomena, incaricata di ricevere le
prenotazioni e di incassare il denaro alla consegna della merce. L’attigua
saletta era poco frequentata, mentre l’atrio era spesso intasato - specialmente
il sabato sera – da gente in attesa delle pizze in lavorazione o da ordinare.
Quella di Achille Cioffi era “la”
pizza e non “una” pizza. Lo attestano anche importanti premi e
riconoscimenti a lui conferiti in più parti e in più occasioni. Oggi - è questa
la verità - un’ottima pizza che tenga bene il confronto con quella di don
Achille, non si degusta più. Eppure locali e pizzaioli sono cresciuti come
funghi in ogni angolo di strada, in città e nei centri vicini. La maggiore
concorrenza esistente nel settore da diversi anni avrebbe dovuto e dovrebbe
garantire al consumatore un prodotto di primissima qualità. Purtroppo non è
così. E' fuor di dubbio che il prodotto attuale non è più quello di una volta.
Si possono trovare delle imitazioni - passi il termine - più e meno
accettabili, però con le pizze di Cioffi nessun paragone. Le sue erano di ben
altra... pasta! E' sufficiente considerare il particolare che nei piatti allora
non si lasciava nulla, mentre oggi non è così. Quante persone si alzano dal
tavolo lasciando nel proprio piatto il bordo o parti di pizza? E non certo per
la quantità. L’antenata era una signora pizza: pasta digeribilissima,
mozzarella filante, un filo d’olio di oliva extravergine, qualche pezzetto di
acciuga e una spolverata d’origano oppure, nella specialità margherita, “’na
cimuzza” (un rametto)
di profumatissimo basilico. Roba da leccarsi i baffi! In parole povere la
“napoletana” odierna ha solo il nome e la forma di quella di ieri, della quale
agli anziani buongustai sono rimasti, purtroppo, il ricordo e il rimpianto.
Ai tempi di Don Achille pure altri suoi ex
colleghi (ne cito uno per tutti: Totò Mercuri titolare della pizzeria “Al
Semaforo”) sfornavano ottime pizze e anche i loro locali registravano un
apprezzabile flusso di acquirenti, segno evidente che allora si lavorava con
ingredienti più genuini, meno artefatti, più gradevoli al palato. Da qualche
tempo a questa parte si riscontra nella qualità degli ingredienti un certo
scadimento, dovuto forse all’incremento dei consumi e della produzione, per cui
è favorita la quantità rispetto alla qualità. Un chiaro esempio è dato dalla
mozzarella che - almeno nella maggior parte dei casi - non si scioglie più in
bocca; non è filante e saporita come una volta. Oggi, appena la pizza giunge
sui tavoli, la mozzarella solidifica subito, diventa una massa che scivola
sulla passata di pomodoro come corpo a sé. E gli aromi: il basilico, l’origano,
ecc.? Sono coltivati nelle serre e, per via dei concimi, non hanno più la
fragranza, il profumo, il sapore del passato. Stesso discorso per quanto
riguarda l’olio che, in molti casi, non è extra vergine, ma di ben altra
natura.
Oggi per gustare una pizza degna della
migliore tradizione napoletana si fa veramente fatica a trovare il forno
giusto. La pizza di Don Achille,
diciamolo francamente, era tutt’altra cosa. Come spiegava tanto successo della
sua “margherita” l’indimenticato ristoratore napoletano? Al presentatore di una
manifestazione che gliene chiedeva la ragione, un giorno rispose con un
auto-elogio: “Pizzaiùlo n'un s’invent ra sera 'a matìna, ce vò ’na vita
comm’ammè... ” (Pizzaiolo non ci si inventa dalla
sera alla mattina; occorre una vita intera per imparare il mestiere, come ho
fatto io).E non aveva tutti i torti. Sul lavoro il compianto Cioffi era un
autentico robot. Le pizze le sfornava una dietro l’altra con una sveltezza e
una disinvoltura sorprendenti. Buttava un’occhiata alla pagnottella ben
lievitata sul piccolo bancone e un’altra alle pizze in cottura. Per
quest’ultima incombenza infilava la testa quasi fin dentro la bocca del forno.
Non imprudenza ma necessità... visiva. Ovviamente sudava parecchio - certi
goccioloni! - senza però che se ne preoccupasse più di tanto. Persona
simpaticissima, sempre allegra, pronta allo scherzo e alla battuta facile: una
bella sagoma, insomma, da autentico personaggio napoletano. Statura quasi
normale, ben messo in carne, pancetta pronunciata, capelli alla Mascagni e
occhi divergenti. Era, infatti, strabico la qualcosa spesso metteva a disagio
chi gli stava di fronte: questi non capiva se l’occhio buono era il destro
oppure l’altro. La vista di Achille Cioffi negli ultimi tempi cominciava ad
abbassarsi, a giudicare anche da una svista (scusate
il bisticcio di parole) che
generò il seguente, curioso ... incidente.
La pizzeria era stata ricavata, come
anzidetto, al piano terra di una vecchia costruzione. E per la signora Filomena
Cioffi nata Jannaccone, appesantita da una corporatura abbondante e con seria
difficoltà di deambulazione, era una faticaccia mantenere pulito quel locale,
per cui poteva talvolta capitare qualcosa d’imprevisto, come nell’episodio che
sto per riferirvi. Una sera io ero in attesa di una pizza. Stavo accanto al
piccolo bancone, accanto a un ragazzo che mi precedeva nel turno. Alle spalle
altri avventori. Una golosa formichina in... perlustrazione stava attraversando
pian pianino l’infarinato ripiano sul quale Don Achille, con consumata abilità
e sveltezza, costruiva le sue saporitissime pizze. In che modo? Prima vi posava
la pagnottella, poi stendeva l’impasto con le dita con movimenti dal centro
verso l’esterno e in senso rotatorio, di tanto in tanto afferrava la
“schiacciata” e la lanciava all’altezza del viso al fine di dare morbidezza,
forma e spessore voluti. Impegnato in queste manovre, sempre con ostentato
compiacimento, Cioffi non si avvide di quel “passaggio” e con la pagnottella
schiacciò il malcapitato insetto. Il ragazzo, pregustando la gioia di addentare
quella sua pizza in lavorazione, non staccava occhio da essa. Non gli sfuggì,
quindi, la brutta fine della formichina. Se ne rabbuiò. Dopo un po’ prese
coraggio e, con tatto e pure timidezza, si rivolse così al … distratto
pizzaiolo:
- “O
don Achì, vidìti ch'a ’nta pizza c’è jiùta ’na surmìcula” (O don Achille, guardate che nella
pizza è finita una formica). Cioffi
si fermò un attimo. Poi, rivolto l’occhio buono verso il ragazzo e l’... altro
sui restanti avventori (o viceversa?) e
ostentando la solita disinvoltura, con sorprendente prontezza di spirito
commentò ad alta voce: “Né
guagliò, ’n coppa ’a pizza n’addùre ’e cchiù, nun guast. Stàtt zitt e lass fa'
amme...” (Giovanotto, sulla pizza un
aroma in più non guasta. Fai silenzio e lascia fare me). Gli altri
avventori, ignari di quanto realmente accaduto e ipotizzando che il Cioffi
avesse inserito altro aroma nella pizza "contestata", con cenni di
assenso mostrarono di condividere l’auto-ribadita competenza del pizzaiolo,
trovando meno fastidiosa l’attesa del proprio turno. Quella sera rinunciai alla
mia pizza, dichiarando al simpatico pizzaiolo di essere stato colto da un
improvviso mal di pancia. Appena fuori però, smaltito l’iniziale disagio, mi
trovai a ridere di gusto, pensando a don Achille e alla sua geniale e azzeccata
scappatoia. à Demetrio Russo


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