06 - ACHILLE CIOFFI, pizzaiolo



Era nato a Nocera Inferiore nel lontano 1914. A Nicastro si trasferì dopo che dall’unione con Filomena Jannaccone nacquero i tre figli Gaetana, Angelo e Giuseppe. Sistematosi in città, ha lavorato nel campo della ristorazione e segnatamente come pizzaiolo, sulla scia della migliore tradizione napoletana. Nel suo campo Don Achille Cioffi era un maestro nel vero significato della parola. Giudizio condiviso da molti concittadini che hanno avuto modo e occasione di conoscerlo e di apprezzarne le specialità culinarie. Al pari di tanti altri personaggi del passato che sono delle autentiche icone nell’immaginario albo d’oro locale, egli ha lasciato un buon ricordo di sé e delle sue gustosissime pizze. Infatti, chi ne ha memoria lo considera a giusto titolo uno dei Nicastresi, ovviamente d’adozione, più noti in quel periodo; tant’è che, ancora oggi, a distanza di diversi anni, basti pronunciare due paroline, “don Achille”, e il riferimento al signor Cioffi è fuori discussione. La sua notorietà, allargata a tanti centri vicini, non solo era ed è dovuta alla simpatia e pure alla particolare conformazione fisica, quanto principalmente alla bontà della sua pizza che richiamava buongustai da tutto il circondario. Il suo piccolo locale in via E.&R. de’ Medici, la sua ultima sede di lavoro in città, era un punto di riferimento per tantissimi giovani e anche per i grandi che ordinavano le sue specialità da mangiare per cena in famiglia. E capitava spesso che davanti a quel bancone si dovesse fare la fila.
Cioffi si era ben integrato in città, solo che si esprimeva esclusivamente in stretto dialetto napoletano che, per la verità, ad amici e clienti tornava oltremodo gradevole. Trasferitosi in età relativamente matura dalla Campania nella città della Piana, aveva acquisito in buona misura la classe, l’esperienza e la fantasia dei pizzaioli napoletani, tanto da ben rappresentare la categoria ed essere considerato il numero uno. Era considerato “’o rre de’ ppizze” (il re delle pizze), per dirla alla napoletana, idioma che nonostante la lunga assenza dalla terra natia, non ha mai tradito né annacquato, sia in fatto di terminologia sia di cadenza. A tutt’oggi – ed è passata una quindicina d’anni dalla morte! - lo scettro regale, metaforicamente s’intende, non è passato nelle mani di nessuno. Manca un valido successore al trono. In parole povere non si vede in giro chi può considerarsi meritevole di occuparne il posto all’ipotetico vertice della categoria. Alcuni operatori del settore, che - a parer di alcuni – sfornano delle buone pizze, non reggono certamente il confronto, in fatto di bontà e qualità del prodotto, con il loro ex collega. Tanti consumatori della specialità gustata ai tempi di Achille Cioffi, avrebbero sicuramente fondati motivi per rimpiangere il defunto pizzaiolo napoletano e la sua profumata quanto gustosissima “schiacciata”.
Don Achille aveva una vasta clientela e di pizze ne sfornava parecchie nel corso dell'intera giornata. La maggior parte erano pizze da asporto perché gli acquirenti, anche da soli, preferivano consumarle fra le mura domestiche e non in quel locale che, a onore del vero, lasciava un tantino a desiderare dal punto di vista igienico-ricettivo. Esso, in effetti, era stato ricavato alla meglio in una vecchia e fatiscente costruzione in via E.&R. de’ Medici, nell’angusto atrio d’ingresso dell’ex pensione “La Rosa bianca” a fianco dell'allora rivendita tabacchi di Andrea Proto. L’immobile, in seguito ristrutturato dai proprietari, dal punto di vista delle comodità non reggeva certamente il confronto con gli altri della zona, in genere più nuovi e meglio attrezzati. In effetti, l’arredo della saletta e del locale con il forno era modesto, limitato all’indispensabile: il forno, un frigorifero per le bibite, pochi tavoli e un bancone dalle ridotte dimensioni posto quasi a ridosso del portoncino d’ingresso. Sul ripiano del bancone operavano il pizzaiolo e sua moglie, la signora Filomena, incaricata di ricevere le prenotazioni e di incassare il denaro alla consegna della merce. L’attigua saletta era poco frequentata, mentre l’atrio era spesso intasato - specialmente il sabato sera – da gente in attesa delle pizze in lavorazione o da ordinare.
Quella di Achille Cioffi era “la” pizza e non “una” pizza. Lo attestano anche importanti premi e riconoscimenti a lui conferiti in più parti e in più occasioni. Oggi - è questa la verità - un’ottima pizza che tenga bene il confronto con quella di don Achille, non si degusta più. Eppure locali e pizzaioli sono cresciuti come funghi in ogni angolo di strada, in città e nei centri vicini. La maggiore concorrenza esistente nel settore da diversi anni avrebbe dovuto e dovrebbe garantire al consumatore un prodotto di primissima qualità. Purtroppo non è così. E' fuor di dubbio che il prodotto attuale non è più quello di una volta. Si possono trovare delle imitazioni - passi il termine - più e meno accettabili, però con le pizze di Cioffi nessun paragone. Le sue erano di ben altra... pasta! E' sufficiente considerare il particolare che nei piatti allora non si lasciava nulla, mentre oggi non è così. Quante persone si alzano dal tavolo lasciando nel proprio piatto il bordo o parti di pizza? E non certo per la quantità. L’antenata era una signora pizza: pasta digeribilissima, mozzarella filante, un filo d’olio di oliva extravergine, qualche pezzetto di acciuga e una spolverata d’origano oppure, nella specialità margherita, “’na cimuzza” (un rametto) di profumatissimo basilico. Roba da leccarsi i baffi! In parole povere la “napoletana” odierna ha solo il nome e la forma di quella di ieri, della quale agli anziani buongustai sono rimasti, purtroppo, il ricordo e il rimpianto.
Ai tempi di Don Achille pure altri suoi ex colleghi (ne cito uno per tutti: Totò Mercuri titolare della pizzeria “Al Semaforo”) sfornavano ottime pizze e anche i loro locali registravano un apprezzabile flusso di acquirenti, segno evidente che allora si lavorava con ingredienti più genuini, meno artefatti, più gradevoli al palato. Da qualche tempo a questa parte si riscontra nella qualità degli ingredienti un certo scadimento, dovuto forse all’incremento dei consumi e della produzione, per cui è favorita la quantità rispetto alla qualità. Un chiaro esempio è dato dalla mozzarella che - almeno nella maggior parte dei casi - non si scioglie più in bocca; non è filante e saporita come una volta. Oggi, appena la pizza giunge sui tavoli, la mozzarella solidifica subito, diventa una massa che scivola sulla passata di pomodoro come corpo a sé. E gli aromi: il basilico, l’origano, ecc.? Sono coltivati nelle serre e, per via dei concimi, non hanno più la fragranza, il profumo, il sapore del passato. Stesso discorso per quanto riguarda l’olio che, in molti casi, non è extra vergine, ma di ben altra natura.
Oggi per gustare una pizza degna della migliore tradizione napoletana si fa veramente fatica a trovare il forno giusto. La pizza di Don Achille, diciamolo francamente, era tutt’altra cosa. Come spiegava tanto successo della sua “margherita” l’indimenticato ristoratore napoletano? Al presentatore di una manifestazione che gliene chiedeva la ragione, un giorno rispose con un auto-elogio: “Pizzaiùlo n'un s’invent ra sera 'a matìna, ce vò ’na vita comm’ammè...  (Pizzaiolo non ci si inventa dalla sera alla mattina; occorre una vita intera per imparare il mestiere, come ho fatto io).E non aveva tutti i torti. Sul lavoro il compianto Cioffi era un autentico robot. Le pizze le sfornava una dietro l’altra con una sveltezza e una disinvoltura sorprendenti. Buttava un’occhiata alla pagnottella ben lievitata sul piccolo bancone e un’altra alle pizze in cottura. Per quest’ultima incombenza infilava la testa quasi fin dentro la bocca del forno. Non imprudenza ma necessità... visiva. Ovviamente sudava parecchio - certi goccioloni! - senza però che se ne preoccupasse più di tanto. Persona simpaticissima, sempre allegra, pronta allo scherzo e alla battuta facile: una bella sagoma, insomma, da autentico personaggio napoletano. Statura quasi normale, ben messo in carne, pancetta pronunciata, capelli alla Mascagni e occhi divergenti. Era, infatti, strabico la qualcosa spesso metteva a disagio chi gli stava di fronte: questi non capiva se l’occhio buono era il destro oppure l’altro. La vista di Achille Cioffi negli ultimi tempi cominciava ad abbassarsi, a giudicare anche da una svista (scusate il bisticcio di parole) che generò il seguente, curioso ... incidente.
La pizzeria era stata ricavata, come anzidetto, al piano terra di una vecchia costruzione. E per la signora Filomena Cioffi nata Jannaccone, appesantita da una corporatura abbondante e con seria difficoltà di deambulazione, era una faticaccia mantenere pulito quel locale, per cui poteva talvolta capitare qualcosa d’imprevisto, come nell’episodio che sto per riferirvi. Una sera io ero in attesa di una pizza. Stavo accanto al piccolo bancone, accanto a un ragazzo che mi precedeva nel turno. Alle spalle altri avventori. Una golosa formichina in... perlustrazione stava attraversando pian pianino l’infarinato ripiano sul quale Don Achille, con consumata abilità e sveltezza, costruiva le sue saporitissime pizze. In che modo? Prima vi posava la pagnottella, poi stendeva l’impasto con le dita con movimenti dal centro verso l’esterno e in senso rotatorio, di tanto in tanto afferrava la “schiacciata” e la lanciava all’altezza del viso al fine di dare morbidezza, forma e spessore voluti. Impegnato in queste manovre, sempre con ostentato compiacimento, Cioffi non si avvide di quel “passaggio” e con la pagnottella schiacciò il malcapitato insetto. Il ragazzo, pregustando la gioia di addentare quella sua pizza in lavorazione, non staccava occhio da essa. Non gli sfuggì, quindi, la brutta fine della formichina. Se ne rabbuiò. Dopo un po’ prese coraggio e, con tatto e pure timidezza, si rivolse così al … distratto pizzaiolo:

- “O don Achì, vidìti ch'a ’nta pizza c’è jiùta ’na surmìcula” (O don Achille, guardate che nella pizza è finita una formica). Cioffi si fermò un attimo. Poi, rivolto l’occhio buono verso il ragazzo e l’... altro sui restanti avventori (o viceversa?) e ostentando la solita disinvoltura, con sorprendente prontezza di spirito commentò ad alta voce: “Né guagliò, ’n coppa ’a pizza n’addùre ’e cchiù, nun guast. Stàtt zitt e lass fa' amme...” (Giovanotto, sulla pizza un aroma in più non guasta. Fai silenzio e lascia fare me). Gli altri avventori, ignari di quanto realmente accaduto e ipotizzando che il Cioffi avesse inserito altro aroma nella pizza "contestata", con cenni di assenso mostrarono di condividere l’auto-ribadita competenza del pizzaiolo, trovando meno fastidiosa l’attesa del proprio turno. Quella sera rinunciai alla mia pizza, dichiarando al simpatico pizzaiolo di essere stato colto da un improvviso mal di pancia. Appena fuori però, smaltito l’iniziale disagio, mi trovai a ridere di gusto, pensando a don Achille e alla sua geniale e azzeccata scappatoia. à Demetrio Russo

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari