Farà sicuramente
sorridere la curiosa e simpatica presa in giro ai danni di un anziano artigiano
effettuata da un suo amico commerciante con la collaborazione di una
“comparsa”, per usare un termine caro ai cineasti. La storiella risalirebbe – l’uso del condizionale giustifica il pur minimo dubbio - agli anni dell’immediato dopoguerra e avrebbe
avuto luogo nel periodo del “Giugno Nicastrese” con protagonisti due noti
personaggi di quegli anni, dei quali prudenzialmente si citano i nomi e le sole
iniziali dei cognomi. A raccontarcela è stato qualche tempo fa il pensionato
Domenico C., appunto colui che nella vicenda sarebbe stato il testimone o
meglio il terzo componente del…cast. Questo il canovaccio dell’aneddoto portato
alla ribalta da Domenico, persona rispettabile e a parer mio credibile
nonostante sia un tipo aperto, scherzoso e amante delle amenità. Peppino R.
l’irrisore e Salvatore A. l’irriso esercitavano le rispettive attività a poca
distanza l’uno dall’altro per cui i contatti erano piuttosto frequenti e anche cordiali.
Il primo, un tipo dalla corporatura abbondante, epa un po’ pronunciata,
simpatico ed estroverso, amava prendere in giro garbatamente amici e abituali clienti, toccandone i punti deboli, fisici o
comportamentali.
Per citare un
esempio: quando davanti al suo negozio passava una persona di sua conoscenza
appartenente a quella categoria di superstiziosi etichettata dal grande Totò “non è vero, ma ci credo”, Peppino la
informava mentendo: “Mi sembra che ti
cercasse…” e gli faceva il nome di qualcuno noto come ‘iettatore’. Subito
dopo rideva di gusto nel vedere l’altro teso in volto e lesto a trarre da tasca
il presunto antidoto (corno
rosso, gobbo, oggettini in ferro, ecc.) o a ricorrere ai classici…bottoni.
Il secondo, di
qualche decina d’anni più grande, era un artigiano assai stimato per serietà
e professionalità nel lavoro. Carattere diverso dall’altro: serio, rispettoso
verso tutti, sostanzialmente schivo in fatto di burle e di prese in giro. Per
via dell’età avanzata e di acciacchi a essa connessi, alternava talvolta
momenti di amnesia a momenti di lucidità; un punto ‘debole’, questo, facile bersaglio
degli scherzi e delle battute di spirito da parte di Peppino. Il commerciante nei
frequenti incontri coglieva l’occasione per architettare le sue burle, fatte di
parole e atteggiamenti apparentemente seri, sempre con garbo e senza andare mai
sopra le righe. E mai che la ‘vittima’ ne avesse a male.
Un giorno il
burlone ne architettò una davvero curiosa, simpatica, un po’ banale ma
umoristicamente gradevole. Questa la trama. Si è ai primi di giugno e nelle
principali vie cittadine fervono i preparativi per le festività di Sant’Antonio
e dei Santi Pietro e Paolo. Affidato temporaneamente alla moglie il negozio,
Peppino e Domenico, la “comparsa”, si recano su Corso Numistrano per ammirare
le luminarie in allestimento e soprattutto il nuovo palco realizzato dal grande
artista Giuseppe Conte, di cui si ricordano anche i dipinti sacri in Cattedrale
e le tante opere eseguite per conto di enti pubblici e privati. A un certo
punto Peppino, notato a distanza il sopraggiungere dell’artigiano, decide di far
scattare una delle sue…trappole burlesche. Suggerisce a Domenico di chinarsi assieme
a lui e fingere di cercare qualcosa per terra. Salvatore, raggiunti i due amici,
saluta cordialmente e subito domanda:
“Cc’avìti pirdùtu? (Cosa avete perso?)”. E Peppino, assumendo
atteggiamento di persona nervosa e irritata per quel che gli sarebbe successo,
risponde prontamente: “Sugnu arrabbiàtu
ch’a m’è cadùtu ’u riòggiu da sacca ch’a l’avìa di purtàri mu cònsanu ‘ndùvi
Capùtu alla sagghjùta di F.lli Maruca (Sono arrabbiato
perché mi è caduto dalla tasca l’orologio che dovevo portare ad aggiustare da
Caputo sulla salita dei F.lli Maruca)”.
Risultate
ovviamente infruttuose le ricerche, Salvatore chiede: “Pippì, ma si sicùru ch’a t’è cadùtu ccà, o t’ha scurdàtu alla casa? (Peppino,
sei sicuro che ti è caduto qui o lo avrai dimenticato a casa?)”.
Il burlone
chiarisce: “Alla casa, prima di niscìri,
l’hàju misu ’nta sacca e a Piazza d’Armi m’hàjiu addunàtu ch’a ’un l’avìa cchiù (A casa, prima di uscire, lo
aveva messo nella tasca, poi a Piazza d’Armi mi sono accorto di non averlo più)”.
Nel momento di
lucidità Salvatore osserva giustamente: “Oh
Pippì, allùra ppicchì ’u cìarchi ccà, supra ’stu corsu, e no là, a piazza
d’Armi? (Oh Peppino, allora come mai lo
cerchi qua e non lì?)”.
Pronta la
simpatica ‘trovata’ del commerciante: “Ti
l’hàjiu dittu ch’ha l’avìa d’aggiustàri, ch’a jìa deci minuti avanti!” (Te lo aveva detto che dovevo
farlo aggiustare perché andava dieci minuti avanti!)
L’artigiano, in
un momento di appannamento in testa e ritenendo motivato il luogo della
ricerca, imitando gli altri due dà anche lui uno sguardo per terra in cerca dello
‘smarrito’ orologio. Dopo un po’, allargando le braccia ipotizza: “Pippì, ‘unnè ‘ppi casu ch’a ccù tutta ’sta
genti chi c’è supra stu corsu, ancùnu l’ha truvàtu e s’ha pigghjàtu?”. (Peppino,
per caso non sarà che con tutte queste persone sul corso, qualcuno l’avrà
trovato e l’avrà preso?”).
Il negoziante
solleva lo sguardo da terra, finge di condividere l’ipotesi dell’irriso e dice:
“Sarvatù, fhòrsi ha raggiùni tu: si l’ha
pigghjiàtu ancùnu fhìgghiu ’i bona mamma (Salvatore, forse
hai ragione tu: lo avrà preso qualche figlio di buona donna)”.
E mentre
Salvatore prosegue per la sua strada, il mattacchione Peppino strizza l’occhio
a Domenico con sulle labbra un sorrisetto di vivo compiacimento.
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