A un gruppo di
amici seduti al bar per il solito caffè, una mattina Aurelio Notte che di
storie e storielle nicastresi ne sa un sacco e una sporta, ha raccontato un
episodio curioso e divertente con protagonista un giovane contadino, Felice V. (per ovvi motivi solo l’iniziale del cognome), invaghitosi di
una signorina intravista qualche giorno prima al balcone di casa nel rione
Croci. Il fatto secondo la fonte risalirebbe agli anni immediatamente
successivi alla seconda guerra mondiale quando Nicastro (ora Lamezia Terme) non aveva l’estensione
edilizia attuale. Oggi palazzi, negozi e strade hanno soppiantato gli orti, gli
agrumeti e i giardini di allora. Viale “1° maggio” e le abitazioni costruite su
entrambi i lati, per parlare del luogo della storiella, sono sorti in epoca
meno remota su un appezzamento di terreno coltivato a ortaggi da una famiglia
di contadini. Costoro erano soliti concimare l’orto con il letame che uno dei
figli, il citato Felice, andava spesso a ritirare in via San Giovanni, zona alle spalle di Corso
Numistrano, da una stalla ricavata in un ampio magazzino e che ospitava quattro
o cinque mucche al massimo. Il vaccaro, tale F. L., vendeva il latte ai clienti
che ogni mattina di buonora facevano la fila davanti all’ingresso e aspettavano
che lui terminasse di mungere le vacche e riempisse con un misurino metallico
da mezzo litro i loro contenitori, secondo capacità e richiesta. Tale attività
fu esercitata fino all’entrata in vigore di precise normative che prevedevano
il trasferimento dal centro alla periferia di esercizi legati alla pastorizia,
all’agricoltura e all’artigianato. Il lattaio si vide costretto a chiudere
baracca e burattini ed emigrò in America, cogliendo l’occasione offertagli da
alcuni parenti ivi residenti. Alla pulizia della stalla, fino a quando essa rimase
operativa, collaborava il giovane Felice con il compito di raccogliere il
letame e riempirne due capaci tinozze legate al basto dell’asino. Appena giunto
nell’orto, scaricava temporaneamente il fertilizzante in un angolo e la mattina
seguente assieme al papà lo spargeva sul terreno. Giovane prestante,
estroverso, dotato di una bella voce e gran lavoratore, l’ortolano era
conosciuto e stimato anche per la qualità e il prezzo degli ortaggi venduti
quotidianamente sul posto. Nei riguardi del gentil sesso mostrava interesse, ma
anche disagio e un po’ di vergogna specialmente nell’incontrare sue
rappresentanti, proprio per via di quel lavoro con l’asino carico del maleodorante stallatico.
L’amico Aurelio ricordava che il giovane contadino, quando transitava con il
somaro davanti casa di Lisetta (nome di fantasia), una coetanea
vista al balcone di un fabbricato di rione Croci e di cui si era invaghito,
seguiva a distanza l’animale come se non fosse suo. Ripercorreva puntualmente il
tragitto da piazza San Giovanni a viale “1° maggio”, passando per via Isonzo e
rione Croci; l’animale avanti e lui dietro, a…debita distanza.
A metà percorso,
dopo che l’asino aveva oltrepassato l’ingresso dell’abitazione di Lisetta e lui
ancora no, Felice intonava una canzone allora in voga e da lui opportunamente
modificata, nella speranza di vedere comparire la sua “bella”:
“Nel tepor
della notte stellata, al balcon ti vorrei affacciata…”.
Colui che ci
raccontò la curiosa storiella non ricordava se Cupido avesse colpito con le sue
frecce anche il cuore di Lisetta, né se lei qualche sera avesse gradito la
serenata e raccolto l’invito. Rammentava invece che quell’atmosfera romantica creata
da Felice, veniva spesso “squarciata” brutalmente dal seguente richiamo urlato,
per burla o per fastidio, da un ignoto abitante del rione attraverso una
finestra socchiusa: “Lisetta, affacciati. C’è il tuo principe azzurro”.
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