Due articoli pubblicati dal giornale “Il Popolo” di Roma nel lontano 1936,
entrambi siglati G. F., resero omaggio al comportamento eroico in guerra del
giovane caporalmaggiore Armando Bevilacqua, ritenuto all’epoca il primo soldato
nicastrese ad essere rimasto seriamente ferito nei combattimenti in Africa
Orientale.
Ne riportiamo alcuni stralci non per rispolverare uno dei periodi più
controversi della storia italiana, bensì per ricordare un concittadino, da
qualche lustro scomparso, partito volontario appena ventenne, come tantissime
altre giovani leve, sulle ali dell’entusiasmo e di prospettive risultate alla
fine aleatorie e per nulla gratificanti; soprattutto per lui che per tutta la
vita sopportò nel corpo e nello spirito il peso di una esuberanza giovanile
segnata da permanenti ferite, per le quali in seguito non ha avuto il
riconoscimento riservato a invalidi di guerra. Così sostiene un figlio,
Rossano, che conserva gelosamente queste storiche testimonianze, di cui ho
ricevuto copia.
Si legge in uno dei servizi di quel giornale: “Questa città – ovvio riferimento a Nicastro – che alla guerra europea offrì in olocausto alla Patria oltre
duecento morti e che a centinaia e centinaia contò gli eroici feriti, apprendo
con legittimo orgoglio che un suo figliuolo prediletto, il caporalmaggiore
Bevilacqua Armando di Francesco, del 12° artiglieria, in Africa Orientale, nel
combattimento dell’Endertà è stato ferito alla gamba sinistra e al braccio
destro. L’eroico giovinetto, appena ventenne, essendo nato nel 1915, è
volontario di guerra, e quando sentì premere nel suo cuore quasi infantile il
bisogno di difendere la Patria, attraverso una seconda domanda di volontario,
ha potuto vedere le sue aspirazioni esaudite.”
Prosegue l’articolista: “Le sue lettere inviate adesso ai parenti e
agli amici, rigurgitano di entusiasmo e mentre con esse non si lagna delle
sofferenze patite per il piombo nemico che ha lacerato le sue fresche carni,
dichiara di non vedere l’ora di riprendere la sua attività…(omissis) di soldato umile e senza pretese.”
Nel pezzo a firma G. F., è riportata la lettera che il caporalmaggiore
nicastrese inviò al fratello maggiore Alberto, assai noto in città per la
cordialità e correttezza dimostrate in tanti anni di lavoro come ragioniere
presso la Ditta Bruno Bertucci.
In essa si legge: “Alberto carissimo…se
ben ricordi, ti scrissi che per la presa di Amba Aradam avremmo trovato delle
resistenze; e come infatti fu proprio così. La mattina del … (il numero non
è chiaro) profittando della nebbia che
copriva il monte, facemmo l’avanzata, quando verso le dieci, allorché eravamo a
metà di raggiungere la vetta, incominciammo a sentire i primi colpi abissini
che fischiavano sulle nostre teste con accanita resistenza di più gruppi
situati in diverse località. Allora il generale, verso le undici, diede
l’ordine di avanzare e di superare il monte. Vidi allora quello che non credevo:
più sparavamo e più abissini si vedevano comparire davanti a noi e da ogni lato
come se sorgessero dalla terra stessa. Figurati che erano 80 mila. Alle dodici
demmo l’assalto. Nella fuga pazza, per raggiungere al più presto la sommità del
monte, passavamo sopra i cadaveri dei nemici, calpestandoli spesso, essendo
numerosi, più di ventimila. Mi trovavo a pochi passi da loro, quando
all’improvviso sento come un gran colpo scoppiare poco distante da me; mi
sentii tutto tremare ma pur facendo subito coraggio, dopo sette o otto passi,
caddi a terra e mi vidi insanguinato. Ero ferito alla gamba sinistra e al braccio
destro e dal fianco mi usciva anche del sangue. Immediatamente portato al primo
posto di soccorso fui medicato. Poi mi hanno portato all’ospedale di Macallè e
da questo ad Asmara, dove mi trovo quasi guarito”.
Armando Bevilacqua del
12° artiglieria in Africa Orientale – conclude il servizio giornalistico sul “Popolo” di Roma – due volte volontario ed eroico giovane di Calabria, figliuolo
prediletto di Nicastro, è stato il primo a dare il suo sangue per la patria, e
vogliamo sperare che egli possa nuovamente tornare in trincea”.
Il nostro concittadino nacque a Nicastro il 10 ottobre del 1915. Al ritorno
dall’Africa, segnato da ferite fisiche e psicologiche, trovò assistenza e
conforto in famiglia, soprattutto nel matrimonio con la leggiadra signorina Maria
Tavella dalla quale ha avuto tre figli: Elena, Franco e Rossano. Alcuni anni
prima di convolare a nozze fu assunto come impiegato dal locale ufficio del
Consorzio di Bonifico, andando in pensione dopo quarant’anni di apprezzato
lavoro. L’ex caporalmaggiore è venuto meno all’affetto dei suoi cari nel
febbraio del ’98, confortato dai figli e dalla moglie, quest’ultima scomparsa alcuni
anni più tardi (giugno 2012).
Nessun commento:
Posta un commento