Un
curioso battibecco – la fonte è
quella di un anziano artigiano che in fatto di aneddoti e curiosità ascritti a
nostri concittadini ne sa un sacco e una sporta – sarebbe avvenuto
all’interno di una macelleria, all’epoca operante in una delle piazzette più
frequentate della città. Il condizionale è d’obbligo per ovvie ragioni, anche
se colui che lo racconta asserisce di tratti di un episodio veramente accaduto.
Tale aneddoto lo riferisco ai lettori ai quali molto probabilmente tornerà
gradito perché esso, a prescindere dall’autenticità o no, contiene delle
battute straordinariamente gustose ed esilaranti. Da questo punto di vista un momento
di relax e di sano umorismo quantomeno è garantito.
Aldo (nome
fittizio per non correre il rischio di toccare la suscettibilità sua e degli
altri protagonisti o di loro parenti), giovane garzone di una
calzoleria, entra nella macelleria sita nella piazzetta poco distante con in
mano un involto. Davanti al bancone si trovano altre persone per degli
acquisti. Senza attendere il proprio turno, vuoi per la fretta raccomandatagli
dal suo datore di lavoro vuoi anche per carenza di educazione, egli richiama
l’attenzione del commerciante intento a pesare e ad incartare delle costolette
di maiale richieste da un cliente. “Don Franco – dice con tono un po’ sostenuto mentre si fa
largo tra le persone che gli stanno davanti e allunga la mano destra per
poggiare sul bancone l’involucro - m’ha mandatu ’u mastru ppìmmu ci vutàti i
sordi ca ’sta carni chi ci avìavu datu stamatina è tosta cumu ’u cùoju chi
usàmu nùa ’ppi cunsàri ‘’i scarpi da genti” (Don Franco, mi ha mandato il mio principale
con la richiesta di restituirgli i soldi di questa carne comprata stamattina e
che ha trovato dura come il cuoio da noi usato per riparare le scarpe della
gente).
Il
negoziante si fa scuro in volto e mastica amaro. Trova quantomeno inopportuni
quel richiamo ad alta voce e in particolar modo quel giudizio dispregiativo sulla
sua merce alla presenza di abituali acquirenti. Nel tentativo di far buon viso
a cattivo gioco e ribadire la qualità dei suoi prodotti, risponde per le rime
con una trovata geniale e umoristicamente gradevole, come avrebbe confermato il
sorrisetto di qualcuno dei presenti. “Aldù – ribatte a chiare lettere il macellaio - dicci
allu mastru: prima mu si fha aggiustàri a dintìara e pùa mu si mangia ’a bistecca
mia. Dopu po' dire s’è tènnara o no! ’A carni ch’a vìndu ìju, null’ha nissun’autra
macelleria”. (Aldo, dì al maestro di farsi prima sistemare
la dentiera e poi mangi la mia bistecca. Dopo potrà dire se è tenera oppure no!
La carne che vendo io non l’ha nessun’altra macelleria).
Subito
dopo, per stemperare il clima d’imbarazzo nel locale e…condire meglio la
risposta da dare all’artigiano, aggiunge: “O Aldù, aspetta ’nu pocu:
dicci puru a numi mìu allu mastru scarpàru tùa c’ha truvatu ’i fhetti d’arrùstu
duri cumu ’nu cùoju, ppicchì null’ha usati mu risùola ’nu pari ’i scarpi vecchi
chi teni ’nta putìga?” (Aldo, aspetta un po’: riferisci a nome mio
al tuo calzolaio come mai, avendo trovato le due fettine di arrosto dure come
il cuoio, non le ha usate per risuolare un paio delle tante scarpe vecchie che
tiene nella bottega?).
Il giovane garzone se
ne torna indietro con in mano la carne contestata e riferisce al principale il
motivo del rifiuto e le osservazioni, parola per parola, fatte dal macellaio. Il
ciabattino, che in fatto di battute spiritose non è certamente secondo alla
“controparte”, riprende suo malgrado il
pacchetto con le bistecche contestate e rimanda Aldo in macelleria con questo
messaggio: “M’ha dittu u mastru mu vi dico ch’a ci ha pruvàtu ccu ‘nu paru
’i stivali, ma si cci hanu sturtigghjàtu i simìgi!” (Don
Franco, mi ha detto il mastro di dirci che ha provato con un paio di stivali,
ma si sono piegati i chiodini!).
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