Nella memoria di tanti
anziani sono indelebili, anche se in parte sbiaditi dal tempo, i ricordi legati
agli anni della gioventù e, soprattutto, a quelli segnati da particolari
eventi, buoni e cattivi, come lo furono gli anni durante i quali esplose la
seconda guerra mondiale. Difatti diverse persone, oggi di età non inferiore ai 75-80 anni, non avranno certo dimenticato le paure i patimenti e i problemi
di quel periodo. Ricorderanno certamente la crisi economica, la difficoltà di
trovare generi alimentari (il
pane era razionato e distribuito tramite tessera), il proliferare del
“mercato nero” assai penalizzante per le famiglie meno abbienti, i mezzi
corazzati in sosta in ogni angolo della città o in transito sulle principali
vie. Non avranno dimenticato soprattutto i pericoli corsi sotto i bombardamenti
cui fu sottoposta la vicina stazione ferroviaria di S. Eufemia, ecc.- Tanti di
quei tragici eventi sono ben presenti nella mente di chi fu testimone e/o
protagonista di quella tristissima pagina per gli Italiani, e non solo.
Anche Luigi (nome di comodo su esplicita richiesta dell’interessato), che all’epoca aveva
appena 7-8 anni, rammenta benissimo episodi e momenti drammatici di quel
periodo. Egli, nel riandare indietro con la memoria, vede scorrere le immagini
di un…film del quale fu testimone e anche protagonista, ovviamente nel ruolo
consentitogli dalla giovanissima età. La ricostruzione mnemonica degli eventi
che hanno lasciato in lui tracce indelebili, è integrata da notizie e fatti
fornitigli in seguito da altri. Dai fratelli maggiori apprese che in famiglia –
come del resto in tantissime altre – non mancarono momenti tristi e problemi di
vario genere, gestiti encomiabilmente da una madre eccezionale, sorretta nel
suo continuo prodigarsi da generosità, senso pratico, da un grande amore per i
figli e, non ultima da tanta fede in Dio. Una guida esemplare per la famiglia
accentuata tra l’altro dalla necessità di doversi prendere cura di esse in
tutto e per tutto essendo il marito partito militare.
Luigi ricorda l’assordante suono delle
sirene, preludio all’arrivo di mezzi aerei carichi di bombe, e vede scorrere
nitide nella mente le immagini degli apparecchi inglesi volare a bassa quota e con i
piloti impegnati a scaricare grandi quantitativi di bombe sull’importante nodo
ferroviario. Un ordigno, forse per errore di calcolo, esplode nei presi della
Pietà, a ridosso dell’ex palazzo Mauro, lasciando sul terreno una grossa buca e
sui muri segni evidenti di schegge. In tali momenti di panico ha luogo un
fuggi-fuggi generale. La gente, raccolte in fretta e furia poche cose, esce in
strada incerta sul da farsi. Nel vocio diffuso si odono nomi urlati per
rintracciare familiari smarriti tra la folla. Madri con piccoli in braccio o
che trascinano per mano, corrono in direzione dei più disparati ripari. Nessuno
si preoccupa degli abiti che indossa: nella fretta la gente ha preso gli
indumenti più a portata di mano e con quelli si è coperta alla meglio. La folla
si allontana dal centro abitato diretta verso le colline o le campagne ritenute
improbabile bersaglio dei bombardieri anglo-americani.
Luigi si rivede in braccio a una sorella maggiore.
Assieme agli altri componenti la famiglia (madre e tre fratelli) e a centinaia di persone, di ogni età e sesso, raggiunge il
boschetto situato in località Calvario, a poche centinaia di metri da via
Conforti. Gli sfollati si sistemano l’uno accanto all’altro ai piedi di
secolari querce sperando di non essere visti dall’alto. In quei momenti di
terrore non si pensa se si tratta di aerei amici o nemici, importante è salvare
la pelle. Tra quella gente in preda alla paura e alla disperazione c’è una
donna in costume nicastrese con sottocoda di un rosso purpureo segno di persona
sposata. Quella tinta troppo appariscente potrebbe essere notata da qualche
pilota di aereo, la qualcosa mette in apprensione un altro sfollato e dal
brusio di pianti e di sommesse preghiere si sente chiaro e forte il suo grido:”
O tu ccùllu pannu russu, cuvèriti sinnò
ni vidini e n’ammazzanu…” Tu che indossi un abito rosso, copriti altrimenti ci vedono e ci bombardano). Momenti e scene davvero inimmaginabili per chi
quella esperienza e quelle paure ha avuto la fortuna di non vivere. Luigi e i
suoi familiari, nel periodo più caldo della guerra, trovano temporanea
ospitalità nella frazione Fronti.
Altri cittadini si sistemano in vari posti della pre-Sila catanzarese, tenendosi lontani dalla SS 18 per tema
di incontrare automezzi e soldati tedeschi in risalita lungo la Penisola. Ci si
inerpica con evidente disaggio e difficoltà lungo scorciatoie disseminate di
grossi massi e pietrisco con tratti invasi da nodose radici di querce e
castagni che fanno da ombrello alla collina. Si percorrono viottoli che
sembrano fondi di aridi torrenti in forte pendenza dove è davvero massacrante
procedere in salita avendo per mano o sulle spalle pesi di ogni genere. Le
scorciatoie utilizzate dagli sfollati per raggiungere le colline alle
spalle del castello Normanno sono due: una è quella che s’imbocca nei pressi
della fontana di Niola, l’altra è più a monte poco distante dal mulino. Mesi
più tardi, a guerra ancora in corso ma con pericoli minori, si ritorna in
città. Vi è una calma apparente, tace la stridula sirena, limitato il traffico
su Via Conforti che è una tratto di strada interessato al transito dei
militari, prima tedeschi o poi americani.
I ragazzini tornano in
strada per i loro giochi. Si divertono un mondo nello slargo da cui si
dipartono via dei Normanni e via Statti. In un angolo dello spiazzo da una
troupe di cineoperatori dell’Istituto Luce è stato abbandonato un furgoncino
perché a secco di carburante. Ignoti, dopo aver asportato dal mezzo parti e
attrezzature utilizzabili, lo riducono a un vero e proprio catorcio tant’è che
i Tedeschi, soliti nel sequestrare di tutto lungo il loro percorso, non lo
degnano di uno sguardo. Quella carcassa metallica torna invece utile ai
ragazzini che trovano con essa nuove opportunità per divertirsi: vi salgono sul
tetto, entrano all’interno per degli sportelli sgangherati, usano il tetto e il cofano a mo’ di scivoli. Nel ricordo di
Luigi vi è anche un caduta con tanto di bernoccolo in testa.
A un certo punto – è l’otto settembre,
giorno dell’armistizio – l’attenzione di quei piccoli è richiamata dal suono
stridente di un clacson. Proviene da sud. In fondo alla strada intravedono una
motocicletta con sidecar condotta da un graduato tedesco con casco e grandi
occhiali scuri. Nel carrozzino un ufficiale che proprio all’altezza del bivio
con via Statti ordina una sosta alla colonna (la motocicletta precede una lunga teoria di
veicoli: camionette, furgoncini, autoblindo, autocarri pieni di soldati, mezzi
per trasporto di cannoni, mitragliatrici e quanto altro in dotazione). E’ il
grosso di una divisione tedesca che risale la Penisola incalzata dagli
Alleati, mentre altri reparti giunti all’altezza del Ponte S. Antonio vengono
deviati per via Garibaldi, Santa Lucia e via Statti per unirsi alla colonna in
sosta su via Conforti. I ragazzini della zona, più curiosi che impauriti, si
ritirano dal centro della carreggiata per trovare posto d’osservazione
nell’ampio portone di casa Fragale, un bel fabbricato che fa angolo nello
slargo adiacente l’imbocco di via Statti. Da una finestra della casa difronte
una preoccupatissima signora, madre di uno dei ragazzini, spiando da dietro
un’anta socchiusa, li sollecita a entrare dentro e chiudere il portone,
minacciandoli col gesto di una mano tra i denti. Non tutti ubbidiscono. Per
alcuni la curiosità è tanta che restano sulla soglia a guardare stupiti e
affascinati quella teoria di mezzi e di soldati.
Quegli uomini in uniforme grigio scuro,
con armi in spalla ed elmetti squadrati sul davanti in testa, quei veicoli gommati o cingolati dalle forme e dimensioni più strane, sfilano davanti ai
loro occhi spalancati. La colonna rallenta, si ferma. L’ufficiale della
moto-staffetta dispone la sosta per il rancio, cogliendo anche l’opportunità di
avere delle fontane vicine: una a ridosso del muro a sud del fabbricato attiguo
a quello della famiglia Fragale e un’altra in località Niola, qualche centinaio
di metri più sopra, alle spalle del castello che fu di Federico Barbarossa e
che collega il Rione San Teodoro al piccolo agglomerato urbano ai piedi della
chiesetta dedicata alla Madonna delle cucchiarelle.
La colonna si sistema lungo il margine sinistra della strada. I soldati
scendono dai loro mezzi per sgranchirsi le gambe e fumarsi una sigaretta. Gli
addetti alle cucine tirano fuori da un carrello agganciato al camion con le
provviste, un mezzo bidone adattato a fornello; un paio di essi attingono acqua
alle fontana più vicina e la mettono a bollire in un pentolone annerito dal
fumo. IL rancio del giorno è costituto da riso bollito, carne in scatola e
fette di pane. I militare fanno la fila davanti al pentolone e attendono il
turno con la gavetta in mano. Un sergente di ritorno con la sua razione di cibo
scorge quei piccoli e con modi paterni si avvicina e offre loro del riso. Ne
accarezza il più piccolo pensando forse ai figli lontani. Poi scompare dietro
un autoblindo.
La colonna riparte, artificieri in coda
minano ponti e li fanno saltare per ostacolare l’inseguimento delle forze
alleate. Qualche giorno dopo truppe inglesi, precedute da un reparto di
Scozzesi nei loro caratteristici costumi e al suono di cornamuse, entrano in
città dopo aver riparato ponti, ripristinato strade, risistemato linee ferrate.
Anche loro percorrono via Conforti intasata ai margini da gente esultante e
plaudente nei confronti dell’esercito di liberazione. La giornata è di quelle
che difficilmente si dimenticano, allietata tra l’altro da uno splendido sole.
Gli “Yankees” salutano la folla con la v delle dita. Una jeep con quattro
militari in divisa color marrone e casco in testa sul cassone, sfreccia su quel
tratto di strada. Uno dei quattro, un soldato di colore, tira fuori da uno
zaino derrate alimentari di vario genere e le lancia verso la folla assiepata
sul margine destro, all’altezza dello slargo. Sa che quelle persone hanno
sofferto molto e lui offre quel che ha sulla jeep. In strada piovono tavolette
di cioccolato, pacchetti di caramelle, gomme da masticare, scatolette di carne
e sardine. Un grosso pane è raccolto da un giovane mossosi con scatto fulmineo
e con una buona dose di temerarietà per il continuo sopraggiungere di
automezzi. Una scatoletta con qualche etto di contenuto, rotolando tra i piedi
delle persone chine sull’asfalto per contendersi quel po’ di ben di Dio, sfugge
alla vista dei grandi e termina la sua corsa nell’angolino dello slargo, tra
casa Fragale e il muretto che delimita il sottostante giardino. Quel piccolo
oggetto di latta è notato da due ragazzini, da Luigi e Albertino (nomi fittizi) i quali si avventano
da rivali letteralmente su di esso, dimenticando amicizia e giochi in comune.
A uscire a mani vuote e con tanto di muso
lungo è Albertino, più grande di qualche anno di Luigi, forse perché
penalizzato in sveltezza da zoppia infantile. Il vincitore rientra in casa
particolarmente euforico ed esibisce la scatoletta più come un trofeo che per
il valore del suo contenuto. Ai familiari spiega da chi l’ha avuta, ma tace
riguardo alla competizione con Albertino portatore di handicap per tema di
rimprovero e di cessione del mal tolto.
Il tempo passa, la guerra fortunatamente è stata soppiantata dalla pace.
Quei ragazzini diventano grandi e seguono ciascuno la strada che la sorte ha
assegnato. Dalla mente di Luigi ogni tanto affiorano quei ricordi di guerra e
le immagini della innocente rivalità col compagno di “ruga”. E, soprattutto, non ha dimenticato le
circostanze e la grande gioia per il ritorno a casa del papà, da alcuni dato
per disperso in guerra e da altri addirittura per caduto in uno scontro a
fuoco. E’ proprio lui, Luigi, a incontrarlo per primo. Sta osservando i
fratelli De Pino, noti boscaioli intenti a tagliare grossi tronchi di alberi
con una sega dentata di grandi dimensioni, manovrata da due addetti: uno in
piedi sulla parte alta del tronco tenuto inclinato e l’altro da terra. Tale
lavoro è svolto nello spiazzo adiacente la dimora del maestro Guzzi e posto a
un centinaio di metri più a sud dello slargo di via Conforti.
A un certo momento Luigi nota un soldato,
zaino in spalla e in divisa malridotta, sopraggiungere a passo lento lungo il
margine opposto della carreggiata. Riconosce nel reduce il padre visto soltanto
in foto (il ragazzino aveva
appena un anno quando il papà partì militare). Non gli va incontro,
ne ha soggezione. Corre subito a casa a portare in famiglia la bellissima
notizia e a coinvolgere tutti nell’incontenibile gioia.
Demetrio Russo
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