3 - 1945: I RICORDI DI LUIGI

Nella memoria di tanti anziani sono indelebili, anche se in parte sbiaditi dal tempo, i ricordi legati agli anni della gioventù e, soprattutto, a quelli segnati da particolari eventi, buoni e cattivi, come lo furono gli anni durante i quali esplose la seconda guerra mondiale. Difatti diverse persone, oggi di età non inferiore ai 75-80 anni, non avranno certo dimenticato le paure i patimenti e i problemi di quel periodo. Ricorderanno certamente la crisi economica, la difficoltà di trovare generi alimentari (il pane era razionato e distribuito tramite tessera), il proliferare del “mercato nero” assai penalizzante per le famiglie meno abbienti, i mezzi corazzati in sosta in ogni angolo della città o in transito sulle principali vie. Non avranno dimenticato soprattutto i pericoli corsi sotto i bombardamenti cui fu sottoposta la vicina stazione ferroviaria di S. Eufemia, ecc.- Tanti di quei tragici eventi sono ben presenti nella mente di chi fu testimone e/o protagonista di quella tristissima pagina per gli Italiani, e non solo.
     Anche Luigi (nome di comodo su esplicita richiesta dell’interessato), che all’epoca aveva appena 7-8 anni, rammenta benissimo episodi e momenti drammatici di quel periodo. Egli, nel riandare indietro con la memoria, vede scorrere le immagini di un…film del quale fu testimone e anche protagonista, ovviamente nel ruolo consentitogli dalla giovanissima età. La ricostruzione mnemonica degli eventi che hanno lasciato in lui tracce indelebili, è integrata da notizie e fatti fornitigli in seguito da altri. Dai fratelli maggiori apprese che in famiglia – come del resto in tantissime altre – non mancarono momenti tristi e problemi di vario genere, gestiti encomiabilmente da una madre eccezionale, sorretta nel suo continuo prodigarsi da generosità, senso pratico, da un grande amore per i figli e, non ultima da tanta fede in Dio. Una guida esemplare per la famiglia accentuata tra l’altro dalla necessità di doversi prendere cura di esse in tutto e per tutto essendo il marito partito militare.
     Luigi ricorda l’assordante suono delle sirene, preludio all’arrivo di mezzi aerei carichi di bombe, e vede scorrere nitide nella mente le immagini degli apparecchi inglesi volare a bassa quota e con i piloti impegnati a scaricare grandi quantitativi di bombe sull’importante nodo ferroviario. Un ordigno, forse per errore di calcolo, esplode nei presi della Pietà, a ridosso dell’ex palazzo Mauro, lasciando sul terreno una grossa buca e sui muri segni evidenti di schegge. In tali momenti di panico ha luogo un fuggi-fuggi generale. La gente, raccolte in fretta e furia poche cose, esce in strada incerta sul da farsi. Nel vocio diffuso si odono nomi urlati per rintracciare familiari smarriti tra la folla. Madri con piccoli in braccio o che trascinano per mano, corrono in direzione dei più disparati ripari. Nessuno si preoccupa degli abiti che indossa: nella fretta la gente ha preso gli indumenti più a portata di mano e con quelli si è coperta alla meglio. La folla si allontana dal centro abitato diretta verso le colline o le campagne ritenute improbabile bersaglio dei bombardieri anglo-americani.
     Luigi si rivede in braccio a una sorella maggiore. Assieme agli altri componenti la famiglia (madre e tre fratelli) e a centinaia di persone, di ogni età e sesso, raggiunge il boschetto situato in località Calvario, a poche centinaia di metri da via Conforti. Gli sfollati si sistemano l’uno accanto all’altro ai piedi di secolari querce sperando di non essere visti dall’alto. In quei momenti di terrore non si pensa se si tratta di aerei amici o nemici, importante è salvare la pelle. Tra quella gente in preda alla paura e alla disperazione c’è una donna in costume nicastrese con sottocoda di un rosso purpureo segno di persona sposata. Quella tinta troppo appariscente potrebbe essere notata da qualche pilota di aereo, la qualcosa mette in apprensione un altro sfollato e dal brusio di pianti e di sommesse preghiere si sente chiaro e forte il suo grido:” O tu ccùllu pannu russu, cuvèriti sinnò ni vidini e n’ammazzanu…” Tu che indossi un abito rosso, copriti altrimenti ci vedono e ci bombardano). Momenti e scene davvero inimmaginabili per chi quella esperienza e quelle paure ha avuto la fortuna di non vivere. Luigi e i suoi familiari, nel periodo più caldo della guerra, trovano temporanea ospitalità nella frazione Fronti.
    Altri cittadini si sistemano in vari posti della pre-Sila catanzarese, tenendosi lontani dalla SS 18 per tema di incontrare automezzi e soldati tedeschi in risalita lungo la Penisola. Ci si inerpica con evidente disaggio e difficoltà lungo scorciatoie disseminate di grossi massi e pietrisco con tratti invasi da nodose radici di querce e castagni che fanno da ombrello alla collina. Si percorrono viottoli che sembrano fondi di aridi torrenti in forte pendenza dove è davvero massacrante procedere in salita avendo per mano o sulle spalle pesi di ogni genere. Le scorciatoie utilizzate dagli sfollati per raggiungere le colline alle spalle del castello Normanno sono due: una è quella che s’imbocca nei pressi della fontana di Niola, l’altra è più a monte poco distante dal mulino. Mesi più tardi, a guerra ancora in corso ma con pericoli minori, si ritorna in città. Vi è una calma apparente, tace la stridula sirena, limitato il traffico su Via Conforti che è una tratto di strada interessato al transito dei militari, prima tedeschi o poi americani.
I ragazzini tornano in strada per i loro giochi. Si divertono un mondo nello slargo da cui si dipartono via dei Normanni e via Statti. In un angolo dello spiazzo da una troupe di cineoperatori dell’Istituto Luce è stato abbandonato un furgoncino perché a secco di carburante. Ignoti, dopo aver asportato dal mezzo parti e attrezzature utilizzabili, lo riducono a un vero e proprio catorcio tant’è che i Tedeschi, soliti nel sequestrare di tutto lungo il loro percorso, non lo degnano di uno sguardo. Quella carcassa metallica torna invece utile ai ragazzini che trovano con essa nuove opportunità per divertirsi: vi salgono sul tetto, entrano all’interno per degli sportelli sgangherati, usano il tetto e il cofano a mo’ di scivoli. Nel ricordo di Luigi vi è anche un caduta con tanto di bernoccolo in testa.
     A un certo punto – è l’otto settembre, giorno dell’armistizio – l’attenzione di quei piccoli è richiamata dal suono stridente di un clacson. Proviene da sud. In fondo alla strada intravedono una motocicletta con sidecar condotta da un graduato tedesco con casco e grandi occhiali scuri. Nel carrozzino un ufficiale che proprio all’altezza del bivio con via Statti ordina una sosta alla colonna (la motocicletta precede una lunga teoria di veicoli: camionette, furgoncini, autoblindo, autocarri pieni di soldati, mezzi per trasporto di cannoni, mitragliatrici e quanto altro in dotazione). E’ il grosso di una divisione tedesca che risale la Penisola incalzata dagli Alleati, mentre altri reparti giunti all’altezza del Ponte S. Antonio vengono deviati per via Garibaldi, Santa Lucia e via Statti per unirsi alla colonna in sosta su via Conforti. I ragazzini della zona, più curiosi che impauriti, si ritirano dal centro della carreggiata per trovare posto d’osservazione nell’ampio portone di casa Fragale, un bel fabbricato che fa angolo nello slargo adiacente l’imbocco di via Statti. Da una finestra della casa difronte una preoccupatissima signora, madre di uno dei ragazzini, spiando da dietro un’anta socchiusa, li sollecita a entrare dentro e chiudere il portone, minacciandoli col gesto di una mano tra i denti. Non tutti ubbidiscono. Per alcuni la curiosità è tanta che restano sulla soglia a guardare stupiti e affascinati quella teoria di mezzi e di soldati.
     Quegli uomini in uniforme grigio scuro, con armi in spalla ed elmetti squadrati sul davanti in testa, quei veicoli gommati o cingolati dalle forme e dimensioni più strane, sfilano davanti ai loro occhi spalancati. La colonna rallenta, si ferma. L’ufficiale della moto-staffetta dispone la sosta per il rancio, cogliendo anche l’opportunità di avere delle fontane vicine: una a ridosso del muro a sud del fabbricato attiguo a quello della famiglia Fragale e un’altra in località Niola, qualche centinaio di metri più sopra, alle spalle del castello che fu di Federico Barbarossa e che collega il Rione San Teodoro al piccolo agglomerato urbano ai piedi della chiesetta dedicata alla Madonna delle cucchiarelle. La colonna si sistema lungo il margine sinistra della strada. I soldati scendono dai loro mezzi per sgranchirsi le gambe e fumarsi una sigaretta. Gli addetti alle cucine tirano fuori da un carrello agganciato al camion con le provviste, un mezzo bidone adattato a fornello; un paio di essi attingono acqua alle fontana più vicina e la mettono a bollire in un pentolone annerito dal fumo. IL rancio del giorno è costituto da riso bollito, carne in scatola e fette di pane. I militare fanno la fila davanti al pentolone e attendono il turno con la gavetta in mano. Un sergente di ritorno con la sua razione di cibo scorge quei piccoli e con modi paterni si avvicina e offre loro del riso. Ne accarezza il più piccolo pensando forse ai figli lontani. Poi scompare dietro un autoblindo.
    La colonna riparte, artificieri in coda minano ponti e li fanno saltare per ostacolare l’inseguimento delle forze alleate. Qualche giorno dopo truppe inglesi, precedute da un reparto di Scozzesi nei loro caratteristici costumi e al suono di cornamuse, entrano in città dopo aver riparato ponti, ripristinato strade, risistemato linee ferrate. Anche loro percorrono via Conforti intasata ai margini da gente esultante e plaudente nei confronti dell’esercito di liberazione. La giornata è di quelle che difficilmente si dimenticano, allietata tra l’altro da uno splendido sole. Gli “Yankees” salutano la folla con la v delle dita. Una jeep con quattro militari in divisa color marrone e casco in testa sul cassone, sfreccia su quel tratto di strada. Uno dei quattro, un soldato di colore, tira fuori da uno zaino derrate alimentari di vario genere e le lancia verso la folla assiepata sul margine destro, all’altezza dello slargo. Sa che quelle persone hanno sofferto molto e lui offre quel che ha sulla jeep. In strada piovono tavolette di cioccolato, pacchetti di caramelle, gomme da masticare, scatolette di carne e sardine. Un grosso pane è raccolto da un giovane mossosi con scatto fulmineo e con una buona dose di temerarietà per il continuo sopraggiungere di automezzi. Una scatoletta con qualche etto di contenuto, rotolando tra i piedi delle persone chine sull’asfalto per contendersi quel po’ di ben di Dio, sfugge alla vista dei grandi e termina la sua corsa nell’angolino dello slargo, tra casa Fragale e il muretto che delimita il sottostante giardino. Quel piccolo oggetto di latta è notato da due ragazzini, da Luigi e Albertino (nomi fittizi) i quali si avventano da rivali letteralmente su di esso, dimenticando amicizia e giochi in comune.
   A uscire a mani vuote e con tanto di muso lungo è Albertino, più grande di qualche anno di Luigi, forse perché penalizzato in sveltezza da zoppia infantile. Il vincitore rientra in casa particolarmente euforico ed esibisce la scatoletta più come un trofeo che per il valore del suo contenuto. Ai familiari spiega da chi l’ha avuta, ma tace riguardo alla competizione con Albertino portatore di handicap per tema di rimprovero e di cessione del mal tolto.  Il tempo passa, la guerra fortunatamente è stata soppiantata dalla pace. Quei ragazzini diventano grandi e seguono ciascuno la strada che la sorte ha assegnato. Dalla mente di Luigi ogni tanto affiorano quei ricordi di guerra e le immagini della innocente rivalità col compagno di “ruga”. E, soprattutto, non ha dimenticato le circostanze e la grande gioia per il ritorno a casa del papà, da alcuni dato per disperso in guerra e da altri addirittura per caduto in uno scontro a fuoco. E’ proprio lui, Luigi, a incontrarlo per primo. Sta osservando i fratelli De Pino, noti boscaioli intenti a tagliare grossi tronchi di alberi con una sega dentata di grandi dimensioni, manovrata da due addetti: uno in piedi sulla parte alta del tronco tenuto inclinato e l’altro da terra. Tale lavoro è svolto nello spiazzo adiacente la dimora del maestro Guzzi e posto a un centinaio di metri più a sud dello slargo di via Conforti.
    A un certo momento Luigi nota un soldato, zaino in spalla e in divisa malridotta, sopraggiungere a passo lento lungo il margine opposto della carreggiata. Riconosce nel reduce il padre visto soltanto in foto (il ragazzino aveva appena un anno quando il papà partì militare). Non gli va incontro, ne ha soggezione. Corre subito a casa a portare in famiglia la bellissima notizia e a coinvolgere tutti nell’incontenibile gioia.
Demetrio Russo



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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari