Alcune storielle locali, che hanno buone fondamenta di verità, nel momento
in cui si sceglie di renderle pubbliche devono seguire il principio secondo il
quale “si dice il peccato e non il peccatore”. Il riserbo sul nome e su
altri particolari, che potrebbero far risalire ai protagonisti, è legittimato
non soltanto dal rischio di toccare la suscettibilità loro o di loro familiari,
quanto principalmente da quello di prendere lucciole per lanterne; il rischio,
cioè, di attribuirne la paternità a persone che non hanno avuto nulla da
spartire con essi. Per la verità la presente storiella in fatto di autenticità
- considerata la testimonianza di un professionista serio e rispettabilissimo -
non offre certo il destro a molte perplessità. Essa risale agli anni 50/60 e
soltanto piccoli dettagli potrebbero non avere la piena rispondenza con i fatti
realmente accaduti, appunto per il lungo tempo trascorso. La memoria, com'è
noto, qualche volta fa … cilecca, o quasi.
Il succo della storiella resta comunque integro ed essa tornerà certamente
gradita ai lettori che di aneddoti e curiosità simili sono particolarmente
ghiotti. E non è da escludere che alcuni concittadini, ovviamente in età
matura, la rammenteranno, magari con qualche dettaglio sbiadito o dimenticato
del tutto. Si tratta di una vicenda maturata tanti anni addietro e che ha avuto
per protagonisti due professori di francese, uno dei quali, Bernardo (nome
di fantasia), dalla quasi maniaca autostima, non perdeva occasione per
menar vanto della perfetta conoscenza di quell’idioma; l’altro, Federico (altro
nome di comodo), un pacioccone, un tipo allegro e buono come il pane e, dal
punto di vista professionale, ritenuto dal collega di livello inferiore al suo.
Questi e altri succulenti “ingredienti” contiene l’episodio ascritto ai
due insegnanti meritevoli, per l’appunto, d’inserimento nel novero dei “Personaggi
nostrani tra storia e umorismo”. Andiamo ai fatti. Uno dei figli del prof.
Federico, che chiameremo Giacomino, a scuola non è un mostro di bravura e in
francese, materia nella quale è stato rimandato a settembre, ha bisogno di un
sostegno durante il periodo estivo. Il papà decide di mandarlo a scuola privata
da un collega, anziché interessarsi direttamente del problema, ritenendo
giustamente che tra padre e figlio le lezioni di recupero difficilmente
avrebbero avuto egual profitto. E scrive un bigliettino all’altro insegnante,
in termini confidenziali più per appartenenza alla categoria che per
frequentazione:
“Caro Bernardo, so che ti manderò per aria le meritate vacanze e la cosa
non ti farà certamente piacere, ma non posso esimermi dal chiederti un grande
favore: mio figlio ha necessità di lezioni private dovendo affrontare gli esami
di riparazione. A chi affidare tale compito se non a te?”.
Il giorno dopo, sempre a mezzo
comunicazione scritta, il prof. Bernardo risponde al collega di non poter
soddisfare la sua richiesta in quanto ha già programmato un periodo di riposo e
di altre attività non scolastiche durante l'estate. Al ché il prof. Federico,
senza indugiare un solo istante, butta poche righe su un bigliettino per
perorare quanto richiesto col precedente, concludendo:
“….Scusami se insisto, ma gradirei che lo seguissi tu in quanto
convintissimo di affidarlo in buone mani”.
In tempi strettissimi arriva la risposta, sempre per iscritto: “Caro
Federico, sai bene quanto bisogno ho di riposarmi durante l’estate, per cui
avrei ben volentieri fatto a meno di assumere qualsiasi impegno lavorativo.
Considerate l’insistenza e la stima che mostri nei miei confronti, non posso
dirti di no. Mandami il ragazzo domani pomeriggio alle 16,00”.
Il prof. Bernardo prende a cuore la situazione. Mette in piedi una serie di
lezioni che impegnano nello studio il giovane, al termine delle quali questi
acquisisce una preparazione tale da superare con un bel voto l’esame di
riparazione. Suo padre, appena venuto a conoscenza dell’esito positivo degli
esami, prende da un cassetto della scrivania un altro bigliettino e,
visibilmente compiaciuto, l'invia allo stimato e valente collega. Non è dato
conoscere il nome del … postino; ruolo probabilmente affidato allo studente.
“Caro Bernardo, ti ringrazio per quel che hai fatto e ti accludo la somma
di lire trentamila per ripagarti del lavoro svolto con risultati eccellenti”.
La risposta non si fa attendere, sempre a mezzo dell’ennesimo “pizzino”
(passi il termine simpaticamente richiamato esclusivamente per il mezzo e la
frequenza dello scambio di comunicazioni tra due rispettabilissime persone che
non sono minimamente da accostare a quelle per le quali è stato coniato).
“Caro Federico, ti ringrazio del pensiero e ti ricordo che le trentamila
lire le considero un acconto. Per il saldo, cioè altre settantamila,
provvederai a versarlo sul mio conto corrente … ecc. ecc.”).
A tale puntualizzazione il prof. Federico fa – come suole dirsi – buon viso
a cattivo gioco. Stupito per l’esosa richiesta e non potendo d’altro canto
esimersi dal soddisfarla, risponde con una punta di ironia e una (poi)
disillusa speranza:
“Caro Bernardo, non sapevo che la scuola privata rendesse così tanto! Ti
accludo, comunque, la differenza di denaro da te pretesa e con l’occasione
avrei da chiederti un altro favore: quando ti capiterà qualche studente
bisognoso di lezioni private di francese, indirizzalo a me. Te ne sarò
immensamente grato”. Cosa ribatte il collega a quest’ultima mezza ...
supplica?
“Caro Federico, grazie per avermi
mandato la rimanenza del mio onorario. Per quanto riguarda la richiesta di
indirizzarti alunni a lezione privata ti prometto che lo farò, ma prima devi
dimostrarmi di avere frequentato corsi di aggiornamento a Parigi, a Grenoble, a
Lillà, a Lione, ecc., altrimenti non se ne parla nemmeno. Mi sono spiegato?” Demetrio
Russo
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