32 - LE SARDINE SALATE VENDUTE SENZA TESTA




E’ più che ovvio che i proverbi, le frasi fatte e gli aneddoti hanno la loro storia, la loro paternità, i loro protagonisti. Ma non tutti quelli che spesso attingono a tali argomenti conoscono le origini, gli autori, i personaggi e le circostanze che hanno connotato di popolarità storielle e curiosità del passato. Tanto per citare un noto adagio locale,  “’Unn’è ’ppì ’lla crozza da sarda, ma ’ppì ’llu caprìcciu” (non è per la testa della sarda, bensì per il capriccio), piuttosto ricorrente nel dialetto lametino e non solo, quanto eloquente ed efficacissimo nel sottolineare la ripicca di una persona che reagisce, in modo sproporzionato alla reale consistenza dell’oggetto o del tema discusso, sia nei fatti sia con parole, a trattamenti altrui ritenuti scorretti. Quante le persone che ne conoscono la fonte, le circostanze, il nome di quel personaggio (tale etichetta gli spetta di diritto) che per primo lo pronunciò? Certamente pochissime, e tutte di una certa età, essendo la storiella datata – a detta di qualcuno che ne ricorda ogni sfumatura linguistica, datata nei primi anni cinquanta del secolo scorso. Al pari di tanti altri concittadini la disconoscevo, pur avendo pronunciato qualche volta la storica frase. Ne sono stato informato dal signor Nicola Lamberto, un pensionato della Fiat Avio da anni residente a Torino e che da giovane ha vissuto a Nicastro (abitava nella via Braschi) frequentandovi le scuole medie. Siamo entrati in contatto via internet. E’ lui che ricorda la curiosa vicenda di cui fu protagonista, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, un contadino di cui non ricorda il nome e che per comodità chiamerò Pasquale. Questi, descritto come uomo particolarmente puntiglioso, cocciuto, un po’ fessacchiotto e tutt’altro che aperto di mente, risiedeva in una frazione collinare del Nicastrese. Da quelle zone, di buona ora, scendevano tante persone: contadini, artigiani, piccoli negozianti ecc., per vendere o acquistare merce. In Piazza Mercato Vecchio in quelle giornate, generalmente il sabato, c’era di tutto: polli, conigli, uova, formaggi, verdure, cereali e tantissimi altri prodotti. E quell’appuntamento settimanale era anche motivo di festa, perché, a parte i piccoli affari, si completava la giornata con uno spuntino presso le varie osterie disseminate nei dintorni di Piazza Mercato e con una frasca di ulivo per insegna (assai frequentata allora  ’a putìga da Coriverdi ”), dove si affettavano grandi pani e per condimento salame o sarde salate, queste ultime acquistate presso la bottega dei Benincasa posta in un negozio ad angolo della piazza. Il tutto annaffiato da caraffe di buon vino. Nel primo pomeriggio i gruppi riprendevano la strada del ritorno, accompagnati dal suono di organetti, di armoniche da bocca e di tamburelli. Lungo il percorso, erano immancabili delle piccole soste per i classici quattro salti al ritmo di tarantelle. Una di quelle mattine, Pasquale decise di comprare anche lui una "libbra" (antica misura pari a circa 450 gr.) di sarde salate da portare a casa. Avanzò richiesta del piccolo quantitativo alla negoziante la quale, dopo averle pesate e averne staccate le teste – come era solito fare – le avvolse in un foglio di carta oleata e gliele consegnò, riscuotendone il prezzo. Pasquale pagò le sue sarde e si unì agli altri del gruppo per lo spuntino e per il rientro. Lungo la strada, lo sputasentenze, il Cacasenno della situazione (la storiella ben s’incastona nel mondo descritto dal Boccaccio), cioè il mattacchione del gruppo, gli chiese: “Cc’accattàtu?” (cosa hai comprato?). E Pasquale, senza profferir parola, scartocciò i pesci e li mostrò all’altro. A quel punto l’amico, ostentando stupore e solidale indignazione per il comportamento della pescivendola, commentò con apparente serietà: “Pasquà, vidi ch’a signora t’ha pighjàtu ’ppi fissa: t’ha pisàtu i sardi cculla capu e ti l’ha dati senza!” (Pasquale, guarda che la signora Benincasa ti ha fregato: ha pesato le sarde con tutta la testa e poi te le ha date senza). A quel punto, il nostro personaggio come reagì? Sia per il carattere puntiglioso che per l’effetto del vino tracannato, montò su tutte le furie e, accingendosi a tornare sui propri passi per recarsi in pescheria e mettere in chiaro ogni cosa, pronunciò quella che poi divenne una delle battute più popolari: “’Unn’è ‘ppi la crozza da sarda, ma ’ppi ’llu crapicciu”. 
Demetrio Russo




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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari