E’ più che ovvio che i proverbi, le frasi fatte e gli
aneddoti hanno la loro storia, la loro paternità, i loro protagonisti. Ma non
tutti quelli che spesso attingono a tali argomenti conoscono le origini, gli
autori, i personaggi e le circostanze che hanno connotato di popolarità
storielle e curiosità del passato. Tanto per citare un noto adagio locale,
“’Unn’è ’ppì ’lla crozza da sarda, ma ’ppì ’llu caprìcciu” (non è per la testa della sarda,
bensì per il capriccio), piuttosto ricorrente nel dialetto lametino e non
solo, quanto eloquente ed efficacissimo nel sottolineare la ripicca di una
persona che reagisce, in modo sproporzionato alla reale consistenza
dell’oggetto o del tema discusso, sia nei fatti sia con parole, a trattamenti
altrui ritenuti scorretti. Quante le persone che ne conoscono la fonte, le
circostanze, il nome di quel personaggio (tale etichetta gli spetta di
diritto) che per primo lo pronunciò? Certamente pochissime, e tutte di una
certa età, essendo la storiella datata – a detta di qualcuno che ne ricorda
ogni sfumatura linguistica, datata nei primi anni cinquanta del secolo scorso.
Al pari di tanti altri concittadini la disconoscevo, pur avendo pronunciato
qualche volta la storica frase. Ne sono stato informato dal signor Nicola
Lamberto, un pensionato della Fiat Avio da anni residente a Torino e che da
giovane ha vissuto a Nicastro (abitava nella via Braschi) frequentandovi
le scuole medie. Siamo entrati in contatto via internet. E’ lui che ricorda la
curiosa vicenda di cui fu protagonista, negli anni successivi alla seconda
guerra mondiale, un contadino di cui non ricorda il nome e che per comodità
chiamerò Pasquale. Questi, descritto come uomo particolarmente puntiglioso,
cocciuto, un po’ fessacchiotto e tutt’altro che aperto di mente, risiedeva in
una frazione collinare del Nicastrese. Da quelle zone, di buona ora, scendevano
tante persone: contadini, artigiani, piccoli negozianti ecc., per vendere o
acquistare merce. In Piazza Mercato Vecchio in quelle giornate, generalmente il
sabato, c’era di tutto: polli, conigli, uova, formaggi, verdure, cereali e tantissimi
altri prodotti. E quell’appuntamento settimanale era anche motivo di festa,
perché, a parte i piccoli affari, si completava la giornata con uno spuntino
presso le varie osterie disseminate nei dintorni di Piazza Mercato e con una
frasca di ulivo per insegna (assai frequentata allora “ ’a
putìga da Coriverdi ”), dove
si affettavano grandi pani e per condimento salame o sarde salate, queste
ultime acquistate presso la bottega dei Benincasa posta in un negozio ad angolo
della piazza. Il tutto annaffiato da caraffe di buon vino. Nel primo pomeriggio
i gruppi riprendevano la strada del ritorno, accompagnati dal suono di
organetti, di armoniche da bocca e di tamburelli. Lungo il percorso, erano
immancabili delle piccole soste per i classici quattro salti al ritmo di
tarantelle. Una di quelle mattine, Pasquale decise di comprare anche lui una
"libbra" (antica misura pari a circa 450 gr.) di sarde salate da portare a casa.
Avanzò richiesta del piccolo quantitativo alla negoziante la quale, dopo averle
pesate e averne staccate le teste – come era solito fare – le avvolse in un
foglio di carta oleata e gliele consegnò, riscuotendone il prezzo. Pasquale
pagò le sue sarde e si unì agli altri del gruppo per lo spuntino e per il
rientro. Lungo la strada, lo sputasentenze, il Cacasenno della situazione (la
storiella ben s’incastona nel mondo descritto dal Boccaccio), cioè il
mattacchione del gruppo, gli chiese: “Cc’accattàtu?” (cosa hai comprato?). E Pasquale, senza profferir parola,
scartocciò i pesci e li mostrò all’altro. A quel punto l’amico, ostentando
stupore e solidale indignazione per il comportamento della pescivendola,
commentò con apparente serietà: “Pasquà,
vidi ch’a signora t’ha pighjàtu ’ppi fissa: t’ha pisàtu i sardi cculla capu e
ti l’ha dati senza!” (Pasquale,
guarda che la signora Benincasa ti ha fregato: ha pesato le sarde con tutta la
testa e poi te le ha date senza). A quel punto, il nostro personaggio come
reagì? Sia per il carattere puntiglioso che per l’effetto del vino tracannato,
montò su tutte le furie e, accingendosi a tornare sui propri passi per recarsi
in pescheria e mettere in chiaro ogni cosa, pronunciò quella che poi divenne
una delle battute più popolari: “’Unn’è
‘ppi la crozza da sarda, ma ’ppi ’llu crapicciu”.
Demetrio Russo
Demetrio Russo
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