Qualche decennio addietro è deceduto uno dei personaggi più
simpatici del Lametino, di cui si citano le sole iniziali, A. M., più per
rispetto alla memoria che per opportunità di riserbo. La sua fisionomia e
il suo carattere l’hanno reso ben noto ai concittadini e oggi sono in tanti a
ricordarlo con affetto e simpatia per la giovialità, la gentilezza e per il
saluto rivolto a chiunque, amici o illustri sconosciuti. Altri pregevoli
aspetti del suo carattere erano la generosità e la disponibilità a soddisfare –
ovviamente, nei limiti del possibile - qualsiasi richiesta di consigli o di
aiuti da parte di chiunque. Tuttavia, nel renderlo autentico personaggio del
Lametino, e non solo, hanno avuto particolare incidenza alcune simpaticissime
storielle: alcune con solide fondamenta di verità e altre, sempre a lui
ascritte, senza il conforto di prove o testimonianze attendibili. Era un tipo
alla buona, un po’ stravagante, un tantino sbarazzino, amante delle frivolezze
e con un debole quasi maniacale per le donne, ammirate e desiderate solo con
gli occhi e con la bocca, data la sua età abbastanza avanzata; un debole per il
gentil sesso il suo probabile retaggio di giovanili avventure. Altezza normale
e fisico asciutto, pochi capelli bianchi sulla nuca e la tempia, baffetti
maliziosi, immancabili occhiali da sole e costante sorriso a fior di labbra.
Aveva occhi e complimenti per tutte le donne, belle e brutte, anziane e
giovani. Non disdegnava di seguirne alcune lungo le vie cittadine, sempre a
rispettosa distanza e senza andare mai sopra o sotto le righe in tema di
apprezzamenti e di gesti galanti. In definitiva, una sorta di don Giovanni in
età senile nella forma e non nella sostanza. Alcune storielle confermano queste
sue peculiarità in fatto di carattere e di comportamento. E’ stato, in poche
parole, un autentico personaggio.
Tra le altre cose, don Totò (nome di fantasia) era
solito “indossare” spesso e volentieri i panni del padre di alcuni studenti i
quali, colpevoli di scarso profitto o di assenze ingiustificate, gli chiedevano
di accompagnarli a scuola per essere riammessi in classe, non avendo alcuna
intenzione di rivolgersi a quello naturale. Ovviamente, i genitori degli alunni
in questione erano completamente all’oscuro del fatto che qualcuno, disponibile
a rendersi utile - ma senza avere valutato, nella circostanza, la delicatezza
della “missione” - li rappresentasse in un ambiente di loro esclusiva e
responsabile pertinenza. Ed è in questa veste che il simpatico concittadino
diversi anni addietro è stato al centro di un siparietto davvero simpatico. Si
racconta che un giorno uno studente, Giuseppe (altro nome fittizio),
tanto svogliato quanto restio a seguire le lezioni a scuola che marinava spesso, non poté esimersi
dall’eseguire l’ultimo, perentorio invito del docente: “Domani sarai ammesso in classe
solo se ti farai accompagnare da uno dei genitori, altrimenti qui non si
entra”.
Messo alle strette e non osando far sapere ai familiari
quanto di negativo in condotta e in profitto avrebbero appreso sul suo conto da
un colloquio col professore, Giuseppe ebbe un’idea … luminosa. Chi meglio di
don Totò – pensò - avrebbe potuto toglierlo dalla difficile situazione? E così,
rintracciatolo, lo pregò di assumere le veci del papà assente per lavoro (questa
la giustificazione della richiesta ),
e di accompagnarlo il giorno dopo a scuola.
All’indomani lo studente e suo “padre” si presentarono
nell’istituto per assolvere l’obbligo disposto dal professore il quale, non
avendo conosciuto il padre naturale dello studente e lontano dal sospettare una
sostituzione di persona, informò l’uomo presentatosi in quella veste di tutte
le marachelle e dello scarso profitto ascritti al giovane.
Don Totò, vuoi per conferire più attendibilità al ruolo
assunto, vuoi anche per un rigurgito di responsabilità (ha pensato per un
momento a quando i suoi figli andavano a scuola), s’immedesimò a tal punto
nella parte di padre che, irritato per le cose apprese, liberò un manrovescio
in faccia al “figlio” con tanta forza da procurargli una ferita al labbro
superiore accompagnando il gesto con la frase: “Alla casa ti dùgnu ’u rìastu (a casa ti darò il resto)”. Il
professore, invero un tantino sorpreso per l'imprevista reazione dell'uomo, si
compiacque in cuor suo di aver informato e richiamato alle proprie
responsabilità il ... familiare dello svogliato studente, confidando che da
quell'incontro il rapporto del giovane con la scuola sarebbe stato diverso.
Fuori dall’Istituto Giuseppe, con il fazzoletto ancora
premuto sulla ferita sanguinante, rivolgendosi al “padre” commentò con un certo
disappunto:
“N’àutru pocu mi mandàvavu allu 'spitali …! (per poco non mi mandavate all’ospedale!) ”.
E lui, don Totò, tra
il serio e il dispiaciuto: “Giusè, ’a manu m’à ’nu pocu scappàtu, però
t’ammiritàvi àutru c’a ’nu cazzuttùni! (Giuseppe,
per la verità la mano mi è scappata, ma tu avresti meritato altro che un
cazzotto!)”. Demetrio Russo
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