25 - STUDENTE SVOGLIATO E "PADRE" MANESCO


Qualche decennio addietro è deceduto uno dei personaggi più simpatici del Lametino, di cui si citano le sole iniziali, A. M., più per rispetto alla memoria che per opportunità di riserbo. La sua fisionomia e il suo carattere l’hanno reso ben noto ai concittadini e oggi sono in tanti a ricordarlo con affetto e simpatia per la giovialità, la gentilezza e per il saluto rivolto a chiunque, amici o illustri sconosciuti. Altri pregevoli aspetti del suo carattere erano la generosità e la disponibilità a soddisfare – ovviamente, nei limiti del possibile - qualsiasi richiesta di consigli o di aiuti da parte di chiunque. Tuttavia, nel renderlo autentico personaggio del Lametino, e non solo, hanno avuto particolare incidenza alcune simpaticissime storielle: alcune con solide fondamenta di verità e altre, sempre a lui ascritte, senza il conforto di prove o testimonianze attendibili. Era un tipo alla buona, un po’ stravagante, un tantino sbarazzino, amante delle frivolezze e con un debole quasi maniacale per le donne, ammirate e desiderate solo con gli occhi e con la bocca, data la sua età abbastanza avanzata; un debole per il gentil sesso il suo probabile retaggio di giovanili avventure. Altezza normale e fisico asciutto, pochi capelli bianchi sulla nuca e la tempia, baffetti maliziosi, immancabili occhiali da sole e costante sorriso a fior di labbra. Aveva occhi e complimenti per tutte le donne, belle e brutte, anziane e giovani. Non disdegnava di seguirne alcune lungo le vie cittadine, sempre a rispettosa distanza e senza andare mai sopra o sotto le righe in tema di apprezzamenti e di gesti galanti. In definitiva, una sorta di don Giovanni in età senile nella forma e non nella sostanza. Alcune storielle confermano queste sue peculiarità in fatto di carattere e di comportamento. E’ stato, in poche parole, un autentico personaggio.
Tra le altre cose, don Totò (nome di fantasia) era solito “indossare” spesso e volentieri i panni del padre di alcuni studenti i quali, colpevoli di scarso profitto o di assenze ingiustificate, gli chiedevano di accompagnarli a scuola per essere riammessi in classe, non avendo alcuna intenzione di rivolgersi a quello naturale. Ovviamente, i genitori degli alunni in questione erano completamente all’oscuro del fatto che qualcuno, disponibile a rendersi utile - ma senza avere valutato, nella circostanza, la delicatezza della “missione” - li rappresentasse in un ambiente di loro esclusiva e responsabile pertinenza. Ed è in questa veste che il simpatico concittadino diversi anni addietro è stato al centro di un siparietto davvero simpatico. Si racconta che un giorno uno studente, Giuseppe (altro nome fittizio), tanto svogliato quanto restio a seguire le lezioni a scuola che marinava spesso, non poté esimersi dall’eseguire l’ultimo, perentorio invito del docente: “Domani sarai ammesso in classe solo se ti farai accompagnare da uno dei genitori, altrimenti qui non si entra”.
Messo alle strette e non osando far sapere ai familiari quanto di negativo in condotta e in profitto avrebbero appreso sul suo conto da un colloquio col professore, Giuseppe ebbe un’idea … luminosa. Chi meglio di don Totò – pensò - avrebbe potuto toglierlo dalla difficile situazione? E così, rintracciatolo, lo pregò di assumere le veci del papà assente per lavoro (questa la giustificazione della richiesta ), e di accompagnarlo il giorno dopo a scuola.
All’indomani lo studente e suo “padre” si presentarono nell’istituto per assolvere l’obbligo disposto dal professore il quale, non avendo conosciuto il padre naturale dello studente e lontano dal sospettare una sostituzione di persona, informò l’uomo presentatosi in quella veste di tutte le marachelle e dello scarso profitto ascritti al giovane.
Don Totò, vuoi per conferire più attendibilità al ruolo assunto, vuoi anche per un rigurgito di responsabilità (ha pensato per un momento a quando i suoi figli andavano a scuola), s’immedesimò a tal punto nella parte di padre che, irritato per le cose apprese, liberò un manrovescio in faccia al “figlio” con tanta forza da procurargli una ferita al labbro superiore accompagnando il gesto con la frase: “Alla casa ti dùgnu ’u rìastu (a casa ti darò il resto)”. Il professore, invero un tantino sorpreso per l'imprevista reazione dell'uomo, si compiacque in cuor suo di aver informato e richiamato alle proprie responsabilità il ... familiare dello svogliato studente, confidando che da quell'incontro il rapporto del giovane con la scuola sarebbe stato diverso.
Fuori dall’Istituto Giuseppe, con il fazzoletto ancora premuto sulla ferita sanguinante, rivolgendosi al “padre” commentò con un certo disappunto: 
“N’àutru pocu mi mandàvavu allu 'spitali …! (per poco non mi mandavate all’ospedale!) ”.

 E lui, don Totò, tra il serio e il dispiaciuto: “Giusè, ’a manu m’à ’nu pocu scappàtu, però t’ammiritàvi àutru c’a ’nu cazzuttùni! (Giuseppe, per la verità la mano mi è scappata, ma tu avresti meritato altro che un cazzotto!)”. Demetrio Russo

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari