28 - IN SCHEDINA SOLTANTO 1,X,2 ? NO, ANCHE "CINQU"...



Negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale l’analfabetismo, specie nel Meridione, era alquanto diffuso. Gente laureata, persone con un minimo di studi alle spalle, uomini di cultura erano davvero pochi, si potevano contare – si fa per dire - sulle dita di una mano. E se di strafalcioni linguistici se ne sentivano a iosa nelle case, nelle botteghe, nei negozi e in ogni angolo di strada, è altrettanto vero che quel periodo fu caratterizzato anche da geniali artigiani e operatori del commercio, come pure da contadini dalle classiche “scarpe grosse e cervello fino”, i quali alla sintassi e alla grammatica contrapponevano una pratica, quasi in tutti i casi, di livello apprezzabilissimo. Per molti di costoro non c’erano le condizioni economiche e neppure il tempo per dedicarsi agli studi. Necessità contingenti imposero loro di trascurare la scuola e badare alla sostanza, cioè al lavoro e al pane da portare a casa. Nessuna meraviglia né alcuna intenzione di prendere in giro chi, per certi versi, ha dato un’impronta ben precisa al quotidiano parlare, ricco di vocaboli travisati e di grossolane sgrammaticature, ma infiorato da battute straordinariamente simpatiche e che hanno fatto … storia, ovviamente in ambito locale. Vale la pena, quindi, di citarne alcune per la loro genialità e vis comica. Ai lettori, molti dei quali ghiotti di certi … bocconi, propongo delle “performance” di personaggi del passato che qualcuno, ormai in età avanzata, ricorda benissimo. Diversi Lametini hanno ancora ben nitida nella loro mente la figura, ad esempio, di quel commerciante (se ne citano le iniziali: F.B.) che ha operato a cavallo degli anni ’40/50. Egli è ricordato per il colorito dialetto e, in particolare, per alcune geniali uscite verbali in particolari circostanze. Un giorno, parlava di politica con un cliente all’interno del proprio negozio. Ricorrendo all’uso di termini storpiati e spesso di ben altro significato, pose il seguente interrogativo:
A cchìni vulìa i(a)llùdari ’u Duci, quandu parràva ’i chilli chi stavìanu arrìatu le quin(z)e?” 
(A chi si riferiva il Duce quando parlava di quelli che stavano dietro le quinte?).
Un’altra sua "perla". Nei giorni successivi alla celebrazione di un matrimonio in famiglia, per il quale aveva fatto le cose in grande e speso anche tanto giacché di soldini ne aveva parecchi, gli venne chiesto da un amico: “Cùmu ha jùtu ’u ’sposalìzziu da fìghja vostra? M’hanu dittu ch’a durcirìa ha fatta tutta Tre Misceli…” (Com’è andato il matrimonio di vostra figlia? Ho saputo che per la fornitura dei dolci se l’è vista il “Tre Miscele”…). E il commerciante, disconoscendo il nome della pasticceria, precedentemente incaricata dallo sposo per il dessert, per l’appunto l’ex bar Tre Miscele, in Corso Nicotera, e ritenendo che l’interlocutore si riferisse a tre tipi di dolciumi, replicò con grande enfasi: “Ma cchi tri misceli e tri misceli...! Ci su’ stati quattru misceli, cinqu misceli, deci misceli. Cchi vi dicu: ’na vasta gam(b)a di durci e di licùari!” (Ma che tre miscele e tre miscele! Ci sono state quattro miscele, cinque miscele, dieci miscele. Che dico: un’ampia gamma di dolci e di liquori!).

* * *
E cosa aggiungere al sorprendente quanto “storico” pronostico che la signora Carmela (nome di fantasia), ignorando le sole tre possibilità (1,X,2) ammesse per ogni singola partita inserita nella schedina del totocalcio, diede al consorte, lo stesso commerciante di cui sopra, competente - a modo suo - anche di calcio? Lui, che seguiva le partite radiotrasmesse e acquisiva informazioni da un quotidiano sportivo, immancabile sul bancone del negozio, s'interessava di squadre, di giocatori, di incontri diretti, di tattiche calcistiche e puntualmente giocava la sua brava schedina, nonostante la sorte, nello specifico settore delle scommesse, non gli fosse stata mai benevola! Comunque, sapeva bene – come, del resto, tutti i giocatori del Totocalcio e di qualsiasi altro concorso a pronostici – che, più della conoscenza, occorreva e occorre tuttora il classico colpo di fortuna. Non capita a tutti, se non a qualcuno nato con la classica camicia, azzeccare uno dietro l’altro tutti e tredici gli esiti delle partite.
Il protagonista del presente aneddoto era un giocatore tenace, oserei dire incallito, pur scommettendo, di volta in volta, una somma quasi irrisoria. Era solito, infatti, presentare al botteghino una schedina compilata in sole due colonne. Solo di tanto in tanto sborsava delle lire in più, avendo inserito qualche “doppia” o “tripla”, per degli incontri in schedina dalle possibili, diverse soluzioni. In buona sostanza, giocava un sistema ridottissimo. Niente di più. E, come qualcuno dei suoi ex amici ricorda, non riusciva a totalizzare più di sette-otto punti, sui tredici o dodici, i soli – salvo casi particolari - che consentivano agli scommettitori di riscuotere le vincite ad essi abbinate. Una mattina d’inverno, in occasione di una tornata calcistica, pensò di tentare la sorte per … altra via. Postosi all’ingresso del negozio e, con in mano schedina e penna, agli sporadici passanti chiedeva: “Bologna-Napoli?”. Il pronostico del primo interpellato fu “due”; per il secondo la “x” era d’obbligo a fronte dell’attesissimo derby tra laziali e romanisti. E via discorrendo. Raccolse, quindi, le previsioni di altri concittadini sulle restanti partite. Rimaneva da coprire una sola casella, lasciata giustamente per ultima giacché gli procurava incertezza, essendo la gara aperta ad ogni risultato. Non vedendo arrivare persone, alle quali chiedere il mancante pronostico, e volendo completare la schedina prima di procedere alla ormai imminente chiusura del negozio per la pausa pranzo, si orientò su quello della moglie Carmela, intenta a indossare il cappotto per il rientro a casa.
Ppi Torinu-Juventus  le chiese, quasi a bruciapelo - cchi nùmaru ci mintu?” (Per la partita Torino-Juventus quale numero vuoi che metta?). E la donna, che di tutto sapeva tranne che di calcio, se ne uscì con una risposta secca, imprevedibile e tale da far sbellicare dalle risa il simpaticissimo consorte: “Cìnqu!… (cinque)”.  Demetrio Russo




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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari