35 - IL CAPPOTTO SENZA MANICHE




Di alcuni protagonisti di storielle divertenti (invero non tutte con solide basi di autenticità, ma possibile frutto della fantasia del solito buontempone), che appartengono – come l’attendibile “fonte” assicura – al passato più o meno recente, si potrebbero fare i nomi, anche perché i fatti non contengono elementi tali da toccare la suscettibilità loro o di loro parenti. Tuttavia, la mancata citazione dei personaggi coinvolti in curiose vicende non inficia più di tanto il loro contenuto, per cui preferisco mantenere un certo riserbo, limitandomi alle sole iniziali.
Ed ecco due storielle davvero curiose avvenute diversi anni addietro (si parla di almeno quattro lustri fa). La prima riguarda lo scambio di esilaranti battute all’interno di un negozio di abbigliamento tra il cliente V.C., un giovane impiegato statale – oggi rispettabile pensionato - e l’ex commesso del reparto, R. M., due persone gioviali, aduse a facezie e “sparate” simpaticissime.
Si era in piena stagione invernale e nelle vetrine della ben avviata azienda commerciale, sita su Corso G. Nicotera, dei manichini facevano sfoggio di alcuni cappotti di qualità e all’ultima moda. Ai loro piedi, al contrario di oggi, non vi erano i cartellini con i prezzi, per cui Valentino (nome di fantasia), interessato all’acquisto di uno di quegli indumenti o anche per semplice curiosità, entrò nel locale e al commesso, che conosceva e rispettava pure per la maggiore età, chiese:
“Don Battì, (altro nome di comodo), quantu custa chìllu cappottu nìguru ’nta vitrìna?” 
(Don Battista, mi dite per favore il prezzo del cappotto nero in vetrina?)
Giuvinò, ’ppi cchìllu ci vùanu ottucìantuquarantamìlalìri
(Giovanotto, per quel capo occorrono 840.000 lire) fu la risposta dell’addetto al reparto. Un prezzo che il giovane trovò esorbitante, di molto sopra la somma che eventualmente sarebbe stato disposto a sborsare. Tentò di mascherare la sorpresa e la delusione portando il discorso sullo scherzo con atteggiamento serioso. “E senza ’i mànichi?” (E senza le maniche?) intervenne prontamente con questa seconda, straordinaria, simpaticissima e, ovviamente, disinteressata domanda.
Allora il commesso, adeguandosi al tono simpaticamente spiritoso del giovane, di rimando disse: “A chìllu cappottu ’i manichi ’un si càccianu, avèri ’i chiamàri tu ’nu sartu. Ma pùa, ccù ’stu frìddu, di ’nu cappòttu senza mànichi cchi ti ’n davèri ’i fhàri…!” (Le maniche di quel cappotto non sono staccabili. Per farlo dovresti incaricare tu un sarto. Ma poi, cosa farne di un cappotto senza maniche con questo freddo?). Valentino, restando al gioco delle parti e attingendo al proprio inesauribile bagaglio di battute spiritose, sulle labbra un sornione sorrisetto, aggiunse:
“’U vulìa sapìri ch'a mi putèra sirvìri senza manichi: a sintìri chìllu prìazzu, m’hànu cadùtu ’i vràzza…” (Lo vorrei sapere perché potrebbe servirmi senza le maniche giacché, al sentire quel prezzo mi sono cadute le braccia).
                                                                       * * *

La seconda storiella ha avuto per protagonista lo stesso dipendente statale, alias Valentino, autore di un avvertimento che andrebbe annoverato tra le “frasi storiche”. Una domenica d’estate da un amico fu invitato con la famiglia (moglie e figlio di pochi anni) a trascorrere una giornata insieme a Nocera Terinese Marina. Al mattino tutti sulla spiaggia a fare il bagno o a godersi la brezza marina sotto l’ombrellone. Ad un certo punto la moglie dell’amico, un’ottima nuotatrice, avendo appreso che il figlio di Valentino, qui indicato col nome di Battista, contrariamente ai suoi tre rampolli, non sapeva nuotare e se ne stava sulla sabbia mentre gli amichetti giocavano in mare, prese per mano il piccolo e lo condusse a fare una nuotatina. Battista era felice come una pasqua e sbatteva sull’acqua le manine che la signora di tanto in tanto lasciava invitando il piccolo a muoversi da solo. Valentino, persona particolarmente apprensiva, non perdeva di vista suo figlio e camminava sulla battigia seguendo preoccupato i movimenti dei due. Accortosi a un certo punto che il bambino, sempre controllato da vicino dalla signora, si stava allontanando di qualche metro dalla riva, Valentino lo ammonì con questa frase curiosa e indimenticabile: “O Battì, ’un t’alluntanàri ch’a si t’affùchi iju pùa t’ammàzzu...!” (Battista, stai attento: non ti allontanare perché se affoghi io poi ti ammazzo...!)  Demetrio Russo




3 commenti:

  1. Alla luce della storiella sopraindicata mi viene in mente quando mio padre negli anni 50 cercando casa a Nicastro ne trovò una il cui prezzo era esorbitante e rivolgendosi al proprietari le domando...e senza cucina il prezzo quanto fà? Quello incuriosito le chiese come mai senza cucina? Mio padre rispose che praticamente tutto lo stipendio lo avrebbe utilizzato per pagare l'affitto e quindi la cucina non le sarebbe più servita!

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  2. E' un aneddoto davvero gustoso. Complimenti al giornalista per la descrizione gradevole e umoristicamente interessante.

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  3. La vita è piena di aneddoti di tal genere: alcuni curiosi e piacevoli, altri meno. Grazie per il giudizio positivo espresso nei miei confronti.

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari