
Negli anni ‘50, gli apparecchi telefonici
nelle abitazioni si potevano contare sulle dita di una mano. Erano davvero
poche le famiglie che potevano permettersene uno. Disporre di un telefono in
casa era considerato un lusso più che una necessità. La gente, che ne era
priva, nei casi di effettivo bisogno si serviva dei posti telefonici pubblici.
Nelle frazioni e nei piccoli paesi il servizio era affidato ai titolari di bar
o di altri esercizi commerciali. In collina, alle spalle di Sambiase (uno dei
tre ex Comuni di Lamezia Terme), una curiosa scenetta è avvenuta proprio
all’interno di quel posto telefonico.
E’ andata così: un giorno nel locale si
presenta un anziano contadino con pochissima, o meglio nessuna dimestichezza
con la... cornetta, poiché fino a quel momento non ha mai avuto modo e
occasione di usarla. Pur tuttavia, ritenuto da parenti e conterranei il più
indicato a sbrigare faccende con quel mezzo, anche in considerazione degli
studi fatti (aveva conseguito la licenza di terza elementare) e dell’invidiabile
parlantina fornitagli da madre natura, da uno zio gli è affidato il compito di
tastare il polso a un ex vicino di casa, ora in altro continente, in merito
alla vendita o meno di un terreno attiguo al suo.
L’incarico, pur suscitando in lui un po’
di apprensione dovuta all’incognita del "nuovo", è accolto con
compiacimento, con orgoglio e pure con un certo entusiasmo, non fosse altro per
la prospettiva di un maggiore credito presso i parenti in termini di stima, di
fiducia e, forse anche di regalie. Il signor Giovanni (nome fittizio), tutto
impettito, si avvia verso il bar-alimentari distante qualche centinaio di
metri, dove si trova la cabina pubblica. Varcata la soglia, saluta cordialmente
il signor Vincenzo, proprietario del locale e suo compare, e, nel mostrargli un
pezzo di carta con scritto un numero a tante cifre, domanda:
- “Cumpàre Vicì, avèra de parràri ccù
’na pirsùna chi se tròva ’nt’Australia, a Merbùrn. ’U nùmeru, chi m’hànu datu,
è cchìstu. Dicìtimme cc’hàju ’e fhàre .” (Compare
Vincenzo, dovrei telefonare a uno in Australia, a Melbourne. Ho qui il numero
che mi hanno fornito. Ditemi come fare per telefonargli).
Il signor Vincenzo gli dà indicazioni
dettagliate: una volta nel box, sollevare la cornetta e attendere il segnale di
linea libera, digitare il numero e, quindi, conversare. Il cliente, con piede
comprensibilmente incerto, entra nella cabina e sgancia la cornetta. Prima di
chiudersi la porta alle spalle e comporre il numero segnato sul foglietto, si
gira verso il banco e, approfittando dei buoni rapporti col gestore, chiede
ancora:
-“Pirdunàtemme cumpà, 'un me dicìti:
quàntu se ppàga ppe parràri 'ccù l’Australia?” (Perdonatemi compare, ditemi: quanto si paga per telefonare
in Australia?).
- “’U
telèfhunu - risponde quello - se
ppàga secùndu quante scàtte se ffànu: cchiù parràte e cchiù pagàte” (La
telefonata costa in base agli scatti fatti: più parlate e più pagate). Il
contadino, volendo sbrigare al meglio l’incarico ricevuto, pensa al modo come
fare risparmiare lo zio sul costo della telefonata. Le ultime parole del
compare gli frullano in testa e, mentre si chiude all’interno della cabina,
trova la soluzione … giusta. Accertatosi che dall’altro capo del filo vi è la
persona cercata, dice subito:
- “’U zzù Mìcu vulèra accattàre a terra
vostra. Dicìtemme vùa...” (Mio
zio Domenico vorrebbe comprare il vostro terreno. Parlate voi …).
L’emigrato si dichiara disposto alla
vendita del terreno solo che, avendolo in comproprietà con altri due fratelli,
dovrà logicamente conoscere pure le loro intenzioni in merito. L’australiano
assicura Giovanni che nei giorni successivi proverà a sentirli e farà conoscere
al più presto la comune decisione. La conversazione va un po’ per le lunghe,
poiché l’australiano coglie l’occasione per chiedere notizie su alcuni parenti
e amici rimasti in Italia. Giovanni ascolta educatamente anche se avrebbe
preferito chiuderla lì e alle varie domande risponde con attenta e giustificata
parsimonia di ... fiato.
Conclusa la telefonata e appesa la
cornetta, Giovanni esce dalla cabina visibilmente soddisfatto per come ha
gestito la conversazione e si presenta alla cassa. Il titolare del locale gli
domanda se la linea ha funzionato bene. Risponde di sì. Ringrazia per la
cortesia e chiede il conto.
- “Cumpà,
m’avìte ’e dàre settemìlaquattrucìantuliri” (Compare, mi dovete settemila e
quattrocento lire), dice il signor Vincenzo dopo aver guardato il conta-scatti
e fatto il dovuto calcolo.
- “Ccùlle
càzze...! Avìa capìtu ch'a menu se pàrra e mènu se ppàga; tant'è ch’a ìju haju
parràtu pocu e nente, 'mbece !” (Caspita!
Avevo capito che meno si parla e meno si paga, per cui ho parlato poco o
niente) osserva Giovanni a mezza voce, tra il sorpreso e il deluso.
Poi, quasi controvoglia, tira fuori da una
tasca interna della giacca di fustagno un fazzoletto con dentro del denaro e ne
scioglie il nodo. Dispiega sul banco una banconota da diecimila e la porge al
compare. In attesa di avere il resto, il suo pensiero corre sul...filo: va al
signore, in Australia, col quale poco prima ha parlato. E con una punta di
curiosità (non soddisfatta) e di sadica consolazione, aggiunge tra sé e sé:
- “Chissà
a cchìllu quàntu l’è custàta?” (Chissà
a quello quanto sarà costata ?). Demetrio Russo
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