08 - DIEGO MENNITI, primario



Non mi sono certo mancate le occasioni di frequentare Don Diego Menniti, falernese di nascita e lametino di adozione, primario del reparto di ortopedia nell'ospedale in Lamezia e chirurgo molto noto e apprezzato sia in Calabria che fuori. I nostri rapporti, erano dovuti quasi esclusivamente alla comune attività e passione sportiva: lui quale presidente della Vigor Lamezia Calcio ed io di cronista sportivo della "Gazzetta del Sud". I contatti erano quasi giornalieri, specie nel periodo estivo a cavallo di due stagioni agonistiche. Difatti , andavo a trovarlo nella sua villa in località Cartolano, tra Falerna Lido e Nocera Scalo, per apprendere le ultime novità in materia di programmi e di campagna cessioni-acquisti. E lì l’accoglienza è stata sempre ispirata da grande cordialità e affettuosa ospitalità. Fisico robusto, un po’ di pancetta, faccia rotonda e stempiata, labbro inferiore alquanto pronunciato e un occhio non perfettamente in linea con l’altro, pochi capelli brizzolati sulle tempie, portamento signorile, carattere gioviale, battuta pronta sulle labbra.
Era uomo e professionista di grosso spessore, dotato di grande umanità e di vasta cultura. Tra le altre cose, amava sovente attingere ad autori classici e declamare frasi latine perfettamente calzanti con situazioni e/o discorsi particolari. “Excusatio non petita, accusatio manifesta” (di fronte a scuse non richieste, la colpa è palese), era una delle ricorrenti che rivolgeva bonariamente a chi si preoccupava di trovare plausibili giustificazioni a ritardi o inadempienze nei rapporti con lui. Amava tanto il calcio per il quale ha profuso molto, sia in termini di tempo sia di energie e di denaro. Era anche uno dei fedelissimi al motto del grande Totò: “Non è vero ma ci credo”. Credeva - almeno per come sosteneva e si comportava - al malocchio e ne temeva gli influssi. Quando ne percepiva l’ombra o meglio ’a puzza, ricorreva alle opportune contromisure; spesso a quelle personali più a portata di mano. Per neutralizzare ipotetiche quanto temutissime “magarìe” (iatture) di qualche menagramo - nomea appiccicata sulle spalle di alcuni personaggi locali - correva a ripari dal presunto potere … sterilizzante. Almeno così sperava, tra il serio e il faceto.
Non so se in altri settori della vita quotidiana usasse ricorrere a simili espedienti, ma in quello calcistico non perdeva certo occasione per farlo. E così, prima di ogni partita, una puntatina a centrocampo e nelle aree di porta era d’obbligo farla per spargervi, secondo un rituale tutto suo, manciate di bianco salgemma. Accompagnava il gesto anti-jattura con la frase “il fine giustifica i mezzi” di machiavelliana memoria. A far da spalla in questa scaramantica cerimonia era solitamente il prof. Peppino Cristiano, altro dirigente vigorino appartenente alla medesima corrente di pensiero in fatto di superstizione; mentre dai bordi del campo il direttore sportivo Nicola Samele e i consiglieri Angelo Falvo e Michele Mercuri osservavano la scena con malcelato compiacimento. Il prof. Menniti, da buon adepto, era altresì sensibile a circostanze che avessero - a suo giudizio - parvenza di portafortuna. Ne cito una in particolare. Don Diego ordinò a un gruppetto di amici di partecipare tutti i martedì sera a una cena-incontro, pagamento … alla romana (ognuno per sé), nel solito ristorante in Falerna Lido.
Era convinto che la cosa - almeno così sosteneva - portasse bene alla squadra di calcio, sulla falsariga della splendida vittoria per due a uno da essa ottenuta al “Celeste” di Messina sulla formazione di casa. In quell’occasione la trasferta era stata preceduta per l’appunto da un’occasionale cenetta del gruppo e il professor Menniti valutò la circostanza di buon auspicio, alla stessa stregua di un portafortuna. E così l’incontro conviviale del martedì divenne una piacevole e scaramantica consuetudine, anche se poi non sempre le gare della Vigor Lamezia ne furono favorevolmente ... condizionate. La parola d’ordine era: stesso giorno, stessa cena, stesso ristorante, stessi partecipanti, stesso menù. A quei periodici incontri prendevano parte, come ospiti, due strumentisti d’eccezione: l’imprenditore edile Giuseppe Sesto alla fisarmonica e il compianto messo municipale e stimato poeta dialettale, Salvatore Borelli alla chitarra. Quest’ultimo, tra l’altro, era dotato di uno spirito di osservazione e di una vena creativa straordinari. Ne è prova la poesia in vernacolo “A cumbrìccula du marti” (la combriccola del martedì) inserita dal Borelli nel libro “Cumu ‘nu sùannu” (come un sogno) e dedicata proprio a quella comitiva e a quelle circostanze.
Un altro simpatico aneddoto, raccontato dallo stesso prof. Menniti, ebbe luogo tanti anni fa in una corsia dell’ospedale lametino, che allora era dislocato nel fabbricato adiacente al Santuario di S. Antonio. Una mattina, mentre eseguiva la prevista visita ai ricoverati nel reparto di ortopedia, notò la presenza su un lettino di un nuovo degente, un giovane ricoverato la sera precedente per sospetta frattura alla gamba destra a seguito d’incidente stradale. E domandò a uno degli assistenti se erano stati eseguiti gli esami radiologici. Avuta risposta affermativa, il prof. Menniti chiese di avere in visione la lastra. L’infermiere che spingeva il carrello contenente cartelle, radiografie e altro materiale sanitario, intervenne prontamente:
- “Prifissù, senza ch’a vidìti. L’haiju già guardata iju ed è tutt'a postu. Ruttùri ’un c'indè” (Professore, non c’è bisogno che la guardiate. L’ho esaminata io ed è tutto a posto, non vi sono fratture). Allora Don Diego, in tono scherzoso ma con l’intenzione di mettere in chiaro determinate cose, chiese all’infermiere:
- “A quale università ti sei laureato, perché in quella da me frequentata non ti ho mai visto?”.
Quello capì l’antifona, prese la cartella con la lastra e la porse al primario. Il professore, per non far pesare più di tanto la gaffe del pur bravo paramedico e volendo togliere questi da una situazione di evidente imbarazzo, diede una rapida occhiata alla radiografia e, nel restituirgliela, aggiunse: “Avevi ragione, non ci sono fratture. Meglio così”.

E si spostò col gruppo verso altro paziente. à Demetrio Russo

5 commenti:

  1. Sono il nipote del prof Diego Menniti... Mio nonno non credeva in nessun malocchio; era cattolico praticante!!!

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    1. Ciao, sono il vero nipote di Diego Menniti, chiamato Diego Menniti. Volevo risponderti che mio nonno era cattolico e non so se credeva del Malocchio.

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  2. Ciò che lei afferma sono solo aspetti superficiali della vita di una persona che lei conosceva ben poco sig. Russo...

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  3. Nessuna intenzione di scrivere la biografia dello stimatissimo prof. Diego Menniti che non conoscevo abbastanza, ma sicuramente più del nipote in considerazione dell’età che questi aveva prima del decesso del congiunto; né metterne in discussione la fede cristiana che, in tantissimi casi, convive con chi del malocchio, per scherzo o per vero, mostra di appartenere al noto motto “non è vero, ma ci credo”. Comunque, prima di parlare di inesattezze e di superficialità, il giovane Menniti avrebbe fatto bene a sentire anche una sola delle persone citate nell’articolo (loro hanno di certo conosciuto il professore meglio di entrambi) per avere conferma di quanto sostenuto dal sottoscritto.

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  4. Questo costa l’onorario del fratello Diego

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari