13 - PREGIUDIZI E MALASANITA'



E’ convinzione alquanto diffusa ormai che quasi tutti gli ospedali del Sud non abbiano una buona fama derivante, a parere di molti, da clamorosi casi di mala sanità spesso dovuti a mancanza di attrezzature adeguate, a personale professionalmente mediocre, a errori o disattenzioni di chirurghi e paramedici, a ritardi nel prestare soccorso, ecc. Per amore di verità, anche al Nord non possono certamente menar vanto di gestire senza pecche la salute pubblica, giacché episodi di vario genere, gravi e clamorosi, hanno trovato sede in alcune di quelle strutture, come quotidiani e telegiornali nazionali hanno riportato quei fatti di cronaca con dovizia di particolari. Quante persone, sperando di trovare rimedi a piccoli o seri problemi, si sono dovute sottoporre a interventi chirurgici uscendone in condizioni ben più serie per dimenticanza di garze, di ferri nelle zone d’intervento, oppure per lesioni di organi sani adiacenti a quelli operati o da operare? E quanti degenti sono stati portati via senza vita da strutture sanitarie nelle quali erano stati ricoverati per malesseri di poco conto? Per non parlare di sperperi, di operazioni di natura economica poco pulite ecc., di acquisti di macchinari costosi e non utilizzati. Aspetti negativi, questi, che hanno dimora in ogni luogo, sia al Sud come al Nord.
In parole povere, al Nord come al Sud in fatto di mala sanità si naviga sulla stessa barca, o quasi. Nel settentrione, per la verità, non sono poi numerosissimi gli istituti di medicina, sia pubblici sia privati, che meritano di essere additati ad esempio per professionalità del personale medico e paramedico, per disponibilità di macchinari all'avanguardia, per lodevole trattamento riservato ai degenti, e così via.  Tuttavia non è da fare di ogni erba un fascio. In tanti centri, da queste e da quelle parti, la sanità funziona abbastanza bene.
L’ospedale lametino, a onore del vero, non è certamente nella lista dei migliori. Le deficienze e i problemi non mancano in tale struttura, però è indubbio che essa sia dipinta più grigia di quanto, in effetti, lo sia. In realtà, pur registrando un dato statisticamente insignificante in materia d’interventi mal riusciti o di episodi di cattiva gestione, si trova sulle spalle una brutta nomea. Per dirla in gergo locale “’na brutta ’ndumminnàta” (una pessima etichetta), che è sicuramente impropria, almeno eccessiva, in rapporto a quanto di negativo è stato purtroppo registrato fino a oggi.
Tutto questo perché, se qualcosa non è andata per il giusto verso in uno o più interventi chirurgici, l’"incidente" non è stato mai commentato in rapporto alla sua effettiva gravità, bensì alimentato e ingigantito a dismisura dai “passa-parola”. Tra l’altro, è capitato che un caso di mala sanità, di cui si è reso responsabile un determinato reparto, sia stato attribuito sommariamente all’intero complesso ospedaliero. E non sta bene. Tale giudizio allargato alla struttura fa "indossare" la maglia nera pure a quei reparti e a quelle risorse umane, la cui operatività è obiettivamente inappuntabile!
Nascono così dei pregiudizi, invero alquanto diffusi, che trovano linfa nel fatto che spesso è data cassa di risonanza a sporadici (per fortuna) casi di mala sanità, mentre passano sotto silenzio - salvo rare eccezioni - i tanti “miracoli” operati da medici, duramente impegnati nel loro quotidiano lavoro svolto con professionalità, con competenza e con encomiabile dedizione, specialmente in ben individuati reparti o divisioni.
Di persone affette da tali pregiudizi ne stanno a bizzeffe dappertutto. E’ da annoverare tra esse, almeno per quanto emerso nella seguente circostanza, la moglie di un pensionato ricoverata in ortopedia per la frattura a un piede. Questo il fatto, avvenuto diversi anni addietro e riferitoci dal coniuge della protagonista: l’anziana signora una mattina, scendendo le scale di casa, cade e si fa male a un piede. Soccorsa e trasportata in ospedale, l’arto interessato è sottoposto a radiografia, nella quale appare evidente l'urgenza di un intervento chirurgico.
L’inferma ha una figlia laureata in medicina, che presta servizio presso un ospedale piemontese. La dottoressa, informata dell’incidente occorso alla madre, la sente al telefono e la tranquillizza con la promessa di fare subito un salto in Calabria. La giovane conosce i giudizi della genitrice sull’efficienza dell'ospedale lametino, in linea con la cattiva fama che da qualche tempo lo etichetta; giudizi rimarcati dal rifiuto della degente di farsi operare in tale nosocomio. E sua figlia, per non contraddirla, assicura che la farà operare al Nord, nella struttura presso la quale lei lavora e che il trasferimento nell’istituto piemontese sarebbe stato eseguito non appena le condizioni dell’inferma lo avrebbero consentito. L’inferma ritrova un po’ di serenità, anche nella prospettiva dell'assistenza filiale durante la degenza in ospedale a Torino.
L’età e lo stato di salute della signora, però, ne sconsigliano il trasporto in quella struttura, tra le altre cose alquanto distante. I familiari convengono con i sanitari lametini sul fatto che non s’intravedono altre soluzioni in alternativa all’intervento chirurgico nel reparto di ortopedia, in loco. La dottoressa, giunta in Calabria, con il padre concorda sull’opportunità di tenere la paziente all’oscuro di tale decisione, perché resti tranquilla e rilassata il più possibile. La mattina del giorno fissato per l’intervento chirurgico, la degente è informata che si stanno predisponendo le cose per il suo trasferimento in Piemonte e che è indispensabile l’anestesia per rendere sopportabile il viaggio in ambulanza. Un infermiere le pratica la puntura di pre-anestesia e poco dopo la porta in barella in sala operatoria, dove ha luogo l’intervento chirurgico. L’operazione è perfettamente riuscita. L’inferma è ricondotta in corsia, ancora sotto l’effetto dell’anestetico. La figlia, seduta accanto al lettino, attende che la madre riprenda conoscenza, tenendole tra le sue la mano sinistra, che accarezza amorevolmente.

Svegliatasi, la degente, prima di guardarsi attorno e rendersi conto di trovarsi nella stessa cameretta lasciata ore prima, incrocia compiaciuta lo sguardo della figlia che la rassicura sull’esito dell’intervento. E lei, convinta di trovarsi in una corsia dell’ospedale torinese, le dice compiaciuta e con un filo di voce: “Menu mali ch’a m’avìti purtàtu a Torino; a ’st’ura a Nicàstru m’avèranu massacràtu …” (Fortuna che mi avete fatto operare a Torino, altrimenti a Lamezia, a quest’ora, mi avrebbero massacrato).  Demetrio Russo 

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari