
Diversi anni fa, in uno dei tre ex comuni che Lamezia Terme
ha accorpato, viveva un coltivatore diretto particolarmente restio nel metter
mano al proprio portafoglio che, comunque, conteneva solitamente del contante
in misura irrisoria, giusto il necessario per fare fronte, eventualmente, a
piccole spese. Era davvero difficile che qualcuno o qualcosa lo spingesse a scucire
quattrini, se non per approfondite e accertate necessità familiari. Il resto
era da lui ritenuto superfluo, tutt’al più procrastinabile nel tempo, in
definitiva alle classiche calende. Unico strappo al suo morboso sforzo di
mantenere serrati i cordoni della borsa, era costituito dall’esborso (purtroppo
per lui non a costo zero) di pochi spiccioli per concedersi un piccolo sfizio:
l’irrinunciabile tazzina di caffè, che consumava tutte le mattine nel solito
bar del centro, poco prima di recarsi al lavoro. Per il resto, tutto sotto
controllo, tutto sotto … chiave.
In parole povere, egli aveva ben poco da invidiare ad
Arpagone, prototipo degli avari di Molieriana memoria e del quale ha, in certo
qual senso, calcato le orme e la scelta di vita. La sua spilorceria era nota a
molti concittadini. E non sono certamente pochi coloro che di lui ricordano
fatti e circostanze, in cui tale sua peculiarità era particolarmente evidente.
La storiella, che a parer di molti lo vuole protagonista, è abbastanza nota ed
è considerata la … ribalta di questa incarnata, morbosa tendenza al risparmio,
una vera prova del nove della lapalissiana avarizia. Il riferimento è al
simpatico aneddoto con centro della scena la classica tazzina di caffè
(probabilmente unico suo debole, non a costo zero!) che, in quella circostanza,
è stata regolarmente sorbita e non pagata per … crediti maturati secondo
valutazioni e calcoli, a dir poco, strani; aneddoto che ha fatto sorridere,
oltre al gestore e agli altri occasionali avventori, tutte le persone che in
seguito ne sono venute a conoscenza. La storiella è autentica nei contenuti e
nei contorni. Ne è fonte una persona degna della massima attendibilità e, tra
l’altro, coinvolta direttamente nell’episodio, nel quale svolse il ruolo di
semplice “comparsa”. Di essa, per ovvie ragioni, si tralasciano le generalità e
tutti quegli altri elementi che possano portare alla sua identificazione.
Stesso riserbo, ovviamente, va mantenuto nei confronti del primo attore, vale a
dire del novello … Arpagone.
Questo il fatto: un sabato, per com’è solito fare anche
negli altri giorni, il signor Saverio (nome di fantasia) si avvia verso il bar
per sorbire l’aromatica bevanda. Mentre si accinge a entrare nel locale,
s’imbatte in un collega. Lo saluta con l’abituale cordialità e, date le
circostanze, non può proprio esimersi dall’invitarlo a consumare una tazzina di
caffè. L’ospite, conoscendone la nota taccagneria, abbozza un sorrisetto, da
cui traspare lo stupore per la “novità”, e segue l’amico all’interno del bar. Saverio,
rivolgendosi al banconista, ordina:
“Due caffè: uno per me, il solito (amaro e in bicchiere) e uno per questo mio amico”.
Sorbito il suo buon “nero”, si reca alla cassa per pagare. Estrae da una tasca
il portamonete e preleva - selezionandole scrupolosamente una per una - le
monetine pari all’ammontare del costo di un caffè. Poi, senza chiedere il conto
come prassi vuole, le lascia cadere nella vaschetta posta a fianco del
registratore di cassa, accompagnando il gesto con le seguenti parole rivolte al
gestore:
“Pago soltanto il caffè dell’amico, il mio no.” Il titolare del bar, conoscendo bene il cliente e non
avendo alcuna intenzione di fare polemiche per pochi spiccioli, con garbo
risponde:
“Fate come credete, non c’è alcun problema. Toglietemi,
però, la curiosità: perché ne volete pagare soltanto uno, quando ne avete
ordinati due?”.
E il signor Saverio, per nulla imbarazzato dalla presenza
dell’ospite e di altri occasionali avventori (salvaguardare la tasca, prima di
tutto!), senza scomporsi precisa: “E’ tutta la settimana che consumo il
caffè completamente amaro. Niente zucchero per cinque giorni e, quindi, almeno
un caffè mi spetta gratis ….”.Facendo buon viso a cattivo gioco, il gestore
risponde: “Avete perfettamente ragione, un caffè vi spetta di diritto …” e, mentre il gongolante cliente si
allontana, rivolgendo lo sguardo verso gli altri avventori e accennando un
sarcastico sorrisetto, aggiunge a fior di labbra “… diritto di tirchieria”.
Demetrio
Russo
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