
Un anziano operaio del settore edile, tale Domenico V.,
avrebbe raccontato a un suo amico – la condizionale è d’obbligo, in assenza di
prove certe o di testimonianze dirette – di essere stato co-protagonista, in
età tra i dieci e i dodici anni, di un episodio davvero curioso. E’ da
premettere, altresì, che l’attendibilità del suo amico, tramite il quale io sono
venuto a conoscenza della storiella, non è da sottoscrivere a occhi bendati,
trattandosi di persona allegra, scherzosa, dalla battuta facile e custode di tantissimi
aneddoti, veri o inventati che siano. Per tali motivi è sempre valido il
consiglio per i lettori di prendere la cosa con le classiche pinze. Mi limito,
pertanto, al semplice fatto che è umoristicamente gustoso, lasciando al lettore
la facoltà di credere se realmente accaduto oppure no.
La storiella in sé è di una banalità unica, tuttavia la
battuta, che l’allora collaboratore ecclesiastico avrebbe udito dalle labbra
del sacerdote, è uno “zuccherino”, gradevole verosimilmente al palato dei
lettori. In uno di quei giorni festivi, dopo la celebrazione della sacra
funzione, cosa sarebbe avvenuta? Il tutto è compendiato nella buffa, esilarante
e geniale battuta attribuita al sacerdote di quella comunità montana, un
anziano prete (omesse le generalità), il classico curato di campagna,
subentrato da appena una settimana al defunto predecessore. Il nuovo parroco
non aveva avuto ancora il tempo di conoscere bene le sue "pecorelle"
e neppure l’arredo in dotazione alla parrocchia. Quella mattina, poco prima di
celebrar messa, cercò inutilmente in sagrestia un cestino o qualcosa di simile
per la questua. Senza scomporsi più di tanto, indicò al chierichetto il proprio
cappello appeso a un chiodo, perché lo utilizzasse per la raccolta delle
offerte.
Domenico, quando fu il momento, passò con quel contenitore
di … fortuna tra le due file di panche, sulle quali avevano preso posto non più
di sette otto persone, per lo più vecchietti. Quei fedeli, però, non scucirono
neppure un soldo, un po’ per tirchieria e un po’ per le difficili condizioni
economiche post-belliche in cui versavano quasi tutte le famiglie di quel
piccolo centro, in pratica composte di contadini (proprietari di piccoli
appezzamenti di terreno) con le rispettive mogli e numerosa prole a carico, da
artigiani e operai dal lavoro in molti casi saltuario.
Al rientro in sagrestia, mentre si toglieva i sacri
paramenti, il reverendo diede una sbirciatina all’interno del cappello, che il
chierichetto teneva ancora nelle mani. Costatò che era vuoto. Ne rimase
sorpreso e rabbuiato. Poi, animato da religiosa rassegnazione, con voce
sommessa e un pizzico di moderato sarcasmo, prese il copricapo e nel
riappenderlo al chiodo, commentò: “Meno male che è tornato indietro il
cappello!” Demetrio
Russo


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