
Sempre negli anni successivi alla seconda guerra mondiale,
si è verificata un'altra curiosa scenetta in città, davanti alla bancarella di
una fruttivendola, sistemata a ridosso della pescheria un tempo esistente in
piazza Mercato Vecchio. Si era in estate e tutti gli spazi adiacenti ai vari
punti di vendita erano occupati da mucchi di cocomeri in bella mostra. Era ed è
questo il frutto più venduto da giugno a settembre, quando il caldo, specie al
Sud, si fa particolarmente sentire. Difatti, durante la stagione estiva
l'anguria è uno dei frutti più gradevoli al palato delle persone; tra l'altro,
essa rinfresca la bocca ed è consigliata da medici e dietologi. Tale frutto
sulla tavola della gente, ricca o povera che sia, non manca mai. Tanti lo
mangiano anche lontano dai pasti, soprattutto nelle giornate particolarmente
afose. I negozianti del settore, in tale periodo, fanno buoni affari non certo
per il costo, che è alla portata di tutti (le primizie sono un altro discorso),
quanto per la quantità smerciata. A onore del vero, i cocomeri di quegli anni
post-bellici, per chi ne ha memoria, erano di ben altra... pasta: avevano una
forma più rotonda, la buccia di un verde scuro e, all’interno, una polpa color
rosso vivo e dolce come lo zucchero; varietà da qualche tempo scomparsa.
Comunque, l'anguria rimane sempre un frutto gustoso e sicuramente fra i più
apprezzati da grandi e piccini.
Torniamo alla storiella, cosa che più interessa al lettore.
Essa è avvenuta di prima mattina, in uno dei chioschi adibiti alla vendita di
ortaggi e frutta, nei pressi della pescheria - spazio adesso occupato da una
caratteristica (si fa per dire) fontana senza acqua! - e ha avuto per
protagoniste la fruttivendola e una sua cliente.
Racconto il fatto al presente per rendere bene atmosfera e
... sceneggiatura. Una partita di angurie di varia grandezza, scaricata la sera
prima da un carro trainato da buoi, è ammucchiata accanto a un bancone, su cui
troneggia una malandata bilancia a due piatti agganciati con catenelle a un braccio
metallico oscillante all’interno di un telaio di legno, alla cui base è
predisposto un cassetto per la custodia del denaro e dei pesi.
Una massaia di via Belvedere, in abiti da “pacchiana”
(tradizionale costume nicastrese), si avvicina al chiosco. Domanda subito il
prezzo al chilogrammo delle angurie e, trovatolo in linea col mercato del
giorno, getta sul mucchio di cocomeri uno sguardo solo apparentemente disinteressato . In
realtà la donna è si è avvicinata al punto vendita per l'acquisto di un cocomero e sta cercando nel
mucchio quell’anguria che, a occhio e croce, ha la pezzatura in rapporto alla
somma da sborsare. Dopo un’occhiata panoramica, essa individua il cocomero che
ritiene risponda approssimativamente alle sue esigenze. Lo prende, lo gira e
rigira tra le mani e poi con le nocche delle dita picchia su più punti per
valutarne il suono e determinare il livello di maturazione (metodo antico e
ancora adesso in uso). Le "manovre" della cliente vanno per le
lunghe, tanto da irretire la fruttivendola che, abituata a parlar chiaro e a ...
sparare battute edulcorate ma efficacissime, non senza una punta di fastidio,
sbotta:
- “’O
bella quatrara, cchì ci stavìti fhacìandu: analisi? ’Unn’è malata. E' bella e
sanìzza!”
(O bella giovane, cosa fai all’anguria: le analisi? Non è
malata. Si presenta bene e non è guasta.)
Poi, attenuando il tono della voce e usando parole meno
aspre per stimolare l’acquisto, aggiunge: -“Senza
ch’a riminiàti tutta, pigghjativìlla ch’è duci e sapurìta.”
(Senza girarla e rigirarla tra le mani, compratela che è
dolce e squisita).
E la massaia, quasi a volere giustificare la scrupolosa
cura nella scelta dell’anguria, confida alla fruttivendola:
-“L’àutra vota l’hàju patùta: di fhora parìa bona, ’mbeci
’i dintra era ’na fhitinzìa. L’haju avùta di jittàri sana sana ...”
(L’altra volta mi è andata male: di fuori sembrava buona
invece dentro si è rivelata una schifezza, tant’è che l’ho dovuta buttare
tutta).
La venditrice tira dal taschino del grembiule - in dialetto
“u mantisìnu” - uno stropicciato fazzoletto. Fingendo di pulirsi il naso, in
realtà con l'intenzione di ...schermare la piccola bugia che abbozza a propria
discolpa per quanto sostenuto dalla cliente, tra un mezzo starnuto e con un
filo di voce, precisa: “Chissà
’nduvi l’avìavu pigghjàta, ccà no di sicùru...!”
(Chissà dove l’avevate comprata, qui no di certo). Demetrio Russo


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