18 - AL MERCATO: IL COCOMERO ... MALATO



Sempre negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, si è verificata un'altra curiosa scenetta in città, davanti alla bancarella di una fruttivendola, sistemata a ridosso della pescheria un tempo esistente in piazza Mercato Vecchio. Si era in estate e tutti gli spazi adiacenti ai vari punti di vendita erano occupati da mucchi di cocomeri in bella mostra. Era ed è questo il frutto più venduto da giugno a settembre, quando il caldo, specie al Sud, si fa particolarmente sentire. Difatti, durante la stagione estiva l'anguria è uno dei frutti più gradevoli al palato delle persone; tra l'altro, essa rinfresca la bocca ed è consigliata da medici e dietologi. Tale frutto sulla tavola della gente, ricca o povera che sia, non manca mai. Tanti lo mangiano anche lontano dai pasti, soprattutto nelle giornate particolarmente afose. I negozianti del settore, in tale periodo, fanno buoni affari non certo per il costo, che è alla portata di tutti (le primizie sono un altro discorso), quanto per la quantità smerciata. A onore del vero, i cocomeri di quegli anni post-bellici, per chi ne ha memoria, erano di ben altra... pasta: avevano una forma più rotonda, la buccia di un verde scuro e, all’interno, una polpa color rosso vivo e dolce come lo zucchero; varietà da qualche tempo scomparsa. Comunque, l'anguria rimane sempre un frutto gustoso e sicuramente fra i più apprezzati da grandi e piccini.
Torniamo alla storiella, cosa che più interessa al lettore. Essa è avvenuta di prima mattina, in uno dei chioschi adibiti alla vendita di ortaggi e frutta, nei pressi della pescheria - spazio adesso occupato da una caratteristica (si fa per dire) fontana senza acqua! - e ha avuto per protagoniste la fruttivendola e una sua cliente.
Racconto il fatto al presente per rendere bene atmosfera e ... sceneggiatura. Una partita di angurie di varia grandezza, scaricata la sera prima da un carro trainato da buoi, è ammucchiata accanto a un bancone, su cui troneggia una malandata bilancia a due piatti agganciati con catenelle a un braccio metallico oscillante all’interno di un telaio di legno, alla cui base è predisposto un cassetto per la custodia del denaro e dei pesi.
Una massaia di via Belvedere, in abiti da “pacchiana” (tradizionale costume nicastrese), si avvicina al chiosco. Domanda subito il prezzo al chilogrammo delle angurie e, trovatolo in linea col mercato del giorno, getta sul mucchio di cocomeri uno sguardo solo apparentemente disinteressato . In realtà la donna è si è avvicinata al punto vendita per l'acquisto di un cocomero e sta cercando nel mucchio quell’anguria che, a occhio e croce, ha la pezzatura in rapporto alla somma da sborsare. Dopo un’occhiata panoramica, essa individua il cocomero che ritiene risponda approssimativamente alle sue esigenze. Lo prende, lo gira e rigira tra le mani e poi con le nocche delle dita picchia su più punti per valutarne il suono e determinare il livello di maturazione (metodo antico e ancora adesso in uso). Le "manovre" della cliente vanno per le lunghe, tanto da irretire la fruttivendola che, abituata a parlar chiaro e a ... sparare battute edulcorate ma efficacissime, non senza una punta di fastidio, sbotta:
- “’O bella quatrara, cchì ci stavìti fhacìandu: analisi? ’Unn’è malata. E' bella e sanìzza!”
(O bella giovane, cosa fai all’anguria: le analisi? Non è malata. Si presenta bene e non è guasta.)
Poi, attenuando il tono della voce e usando parole meno aspre per stimolare l’acquisto, aggiunge: -“Senza ch’a riminiàti tutta, pigghjativìlla ch’è duci e sapurìta.”
(Senza girarla e rigirarla tra le mani, compratela che è dolce e squisita).
E la massaia, quasi a volere giustificare la scrupolosa cura nella scelta dell’anguria, confida alla fruttivendola:
-“L’àutra vota l’hàju patùta: di fhora parìa bona, ’mbeci ’i dintra era ’na fhitinzìa. L’haju avùta di jittàri sana sana ...” 
(L’altra volta mi è andata male: di fuori sembrava buona invece dentro si è rivelata una schifezza, tant’è che l’ho dovuta buttare tutta).
La venditrice tira dal taschino del grembiule - in dialetto “u mantisìnu” - uno stropicciato fazzoletto. Fingendo di pulirsi il naso, in realtà con l'intenzione di ...schermare la piccola bugia che abbozza a propria discolpa per quanto sostenuto dalla cliente, tra un mezzo starnuto e con un filo di voce, precisa: “Chissà ’nduvi l’avìavu pigghjàta, ccà no di sicùru...!”
(Chissà dove l’avevate comprata, qui no di certo).  Demetrio Russo 


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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari