
Nata alla fine dell’Ottocento da una modestissima famiglia di artigiani,
è vissuta da sola sin dalla giovane età e in condizioni davvero precarie:
nessun tipo di assistenza sanitaria e con scarsissimi mezzi a disposizione.
Riusciva a sopravvivere con l’aiuto della Provvidenza, dei vicini e di quei
pochi soldi che, ogni fine mese, riceveva dai genitori dei bambini affidati a
lei perché ne avesse cura per l’intera giornata. Si trattava per lo più di
figli di contadini che “a maìstra”, donna davvero ammodo e
dalla grande umanità, seguiva amorevolmente assistendoli nei bisogni e
insegnando loro le prime nozioni di scuola e le preghiere. Alle femminucce, che
da grandi difficilmente avrebbero proseguito negli studi per le difficoltà e le
consuetudini di quei tempi, insegnava l’arte del cucito e del ricamo.
Rosina Vennera, meglio
conosciuta col soprannome “a Cirrilla”, era una donna
rispettata da tutto il vicinato e assai devota alla Madonna. Difficilmente
mancava alle funzioni religiose nella Chiesa di S. Lucia e non tralasciava di recitare quotidianamente il Santo Rosario assieme ai bambini.
Abitava in una casetta composta di due vani sovrastanti, situata ai piedi del
Castello normanno, in Larghetto Strano che si trova all’interno dell’angolo
formato dalle vie Statti e S.S. Salvatore. Nel vano a pianoterra si accedeva tramite
una malridotta porticina alla cui tenuta contribuiva in parte un gradino più
alto del normale che la riparava dall’acqua piovana; il pavimento, in terra
battuta, ospitava l’asilo e, in un angolo, un piccolo pollaio recintato con
listelli di legno e pezzi di rete metallica. Mai che un raggio di sole potesse
filtrare all'interno della stanzetta, conseguentemente poco illuminata e con le
pareti trasudanti umidità; un buco di finestra consentiva il ricambio dell’aria
quando si teneva chiusa la porta d’ingresso per maltempo. L’accesso al vano di
sopra avveniva per mezzo di una piccola scala di pietra, scomoda e pericolosa.
Tale stanzetta serviva al resto: da stanza da letto, da cucina e da ripostiglio
dei contenitori a uso personale. Il tetto in tegole, nei giorni di pioggia, era
per “a Cirrilla” un vero problema giacché l’acqua piovana
s'infiltrava in più punti e lei, poverina, a combattere con tutti quei
recipienti di fortuna per raccoglierla. In quella casetta, lasciatale dal padre
artigiano, viveva - come già detto - da sola. Era nubile.
Una delle sorelle da giovane emigrò in Brasile,
dove convolò a nozze con un facoltoso industriale, facendo così fortuna. Di
lei, come pure degli altri fratelli, si erano perse le tracce durante la guerra
e Donna Rosina si era ormai rassegnata all’idea di essere
rimasta sola, mostrando, comunque, di accettare quella che considerava la
"volontà del Signore", cui era grata per averle assicurato in
compenso l’affetto e la generosità dei vicini. Voleva bene (e ne era ricambiata)
soprattutto a tale Rosa Marinaro, alla quale aveva fatto da comare in occasione
della cresima. La giovane abitava nella casa di fronte, per cui si portava
spesso dalla “maestra” per aiutarla nelle faccende domestiche e per sostituirla
tra i bambini durante le sue occasionali assenze. La vita aveva dato poco a
Donna Rosina, ma lei non se ne lamentava. Era soddisfatta di quel che il Cielo
le aveva destinato. Mai che avesse chiesto qualcosa a qualcuno.
Con serenità e devozione cristiana eseguiva le
attività quotidiane: ascoltare la Santa Messa il mattino presto, accudire ai
bambini e al piccolo pollaio durante il giorno, recitare il Santo Rosario nel
pomeriggio e la sera, ripresi i bimbi dai rispettivi familiari e dopo aver
chiuso l’asilo, di nuovo in chiesa per le funzioni vespertine. Lei è felice di
questo suo vivere tranquillo, sereno, frutto di tanta fede e di tanto affetto
dei vicini. Le avversità non la frustrano mai. La domanda di assistenza e di
previdenza, presentata un giorno da altri a sua insaputa, le è rifiutata. Un
pacco-dono, distribuito ai poveri (una persona amica si era data da fare
per inserirne il nome nell’elenco),
finisce ad altri per omonimia. La sorte sembra accanirsi contro di lei, che
accetta le contrarietà con filosofia e rassegnazione. “È la volontà del
Signore” dice, senza adombrarsi affatto.
Un giorno il postino le recapita una lettera del
tutto inattesa. Essendo analfabeta, prega una vicina di casa perché gliela
legga. Appreso che essa proviene dal Brasile, scoppia a piangere prima di
conoscerne il contenuto. Il pensiero va alla sorella che, a quel punto, suppone
fosse ancora viva. Una forte emozione la coglie, poco manca che non cada per
terra priva di sensi. La lettera inizia così: “Cara zia, mia madre è salita
in Cielo da diversi anni, lasciandomi un gran vuoto nel cuore. Mi parlava
spesso di te ed io ho cercato più volte di rintracciarti, anche tramite il
Consolato italiano. Finalmente ho saputo che vivi a Nicastro e sono riuscita ad
avere il tuo indirizzo. Ti scrivo per dirti che sono tanto felice, che voglio
vederti e abbracciarti presto. Scrivimi subito.”
Da quel giorno le missive s’intrecciano. Poi
l’invito della nipote a Donna Rosina perché si trasferisca in Brasile dove non
avrà problemi di alcun genere. Lei inizialmente è contraria. La voglia di
conoscere la figlia della sorella è tanta, ma ha paura del viaggio e del nuovo
ambiente. Non si era mai allontanata da Nicastro e non aveva mai visto né treno
né nave, mezzi con i quali dover ora raggiungere rispettivamente Napoli e
l’America del Sud. I vicini la incoraggiano, fanno a gara per convincerla ad
accettare l’invito di sua nipote. I consigli ricorrenti sono: “Andate, almeno d’ora in poi potrete vivere
senza pensieri”, “Vorrei averla io la fortuna che vi sta capitando, non
lasciatevela scappare perché bussa una sola volta nella vita”, “Avete sofferto
tanto e qualcuno lassù si è ricordato di voi, offrendovi la possibilità di
altri affetti e di una nuova vita”.
Si convince. Vende a una famiglia benestante,
per alcune decine di biglietti da mille, la casetta. Raccoglie le poche cose
preziose possedute: centrini da tavolo ricamati e qualche oggettino d’oro. Ne
compra degli altri da regalare ai parenti in Brasile. Accompagnata da un vicino
di casa, prende il treno per Napoli. Qui è in corso uno sciopero dei mezzi
pubblici e i due raggiungono il porto partenopeo a piedi, con grande disagio e
appena in tempo per salire sul bastimento già pronto a salpare. Il mare e la
nave la lasciano indifferente. Il suo cuore è rivolto a quel che si sta
lasciando alle spalle, forse per sempre. Si asciuga una lacrima mentre strani
pensieri le passano per la mente e la preoccupano non poco. Per sua fortuna
incontra sul bastimento uno dei bimbi, ormai adulto, che emigra per
lavoro. “Scusate, ma voi non siete donna Rosina?”, le dice il
giovane Francesco avvicinandosi a lei. Si abbracciano e si fanno coraggio a
vicenda. Il viaggio è lungo e stare insieme fa dimenticare le preoccupazioni
per le incognite che il futuro lascia loro ipotizzare. Il giovane annota
su un foglio di carta l'indirizzo di destinazione della cara maestra,
promettendole: “Se le cose andranno per come spero, verrò a trovarvi."
All’arrivo quanta gente sul molo. È un vociare continuo. Tutti salutano tutti.
L’attenzione di Donna Rosina è richiamata da una voce femminile calda,
entusiastica: “Zia, siamo qui”. Ai piedi della scaletta che lungo
abbraccio e quante lacrime di gioia!
Un autista in livrea la invita a salire su una
lussuosa automobile, facendola accomodare sul sedile posteriore, accanto alla
nipote. Dopo un bel tratto di strada, la vettura si ferma davanti al cancello
di una villa maestosa. Donna Rosina si guarda stupita attorno e le viene subito
in mente la favola di Cenerentola, che tante volte ha raccontato ai bimbi. Contrariamente
alla protagonista della bellissima favola che ispirò Perrault e i fratelli
Grimm, lei è più preoccupata che compiaciuta. Avanza come un automa lungo il
viale che conduce alla bellissima dimora. In fondo compare un porticato con
splendide colonne, parte di un’elegante villa immersa in un vasto parco con
tante aiuole e maestose palme. Accogliente e ben arredata la stanza che la
nipote le assegna, mentre un uomo della servitù è a disposizione per ogni
necessità o richiesta. Le persone di servizio in quella villa sono quasi tutti
di pelle scura.
Donna Rosina non ha mai incontrato prima persone
di colore. Avverte disagio davanti a quell’uomo messole a disposizione dalla
nipote: nero come il carbone, labbra carnose, denti bianchissimi e occhi più
grandi dei suoi. In tale ambiente non si trova per niente a proprio agio. Tra
l’altro, la nipote si assenta spesso per lavoro e lei nella villa trascorre
giornate intere da sola, nella sua stanza. Si sente un pesce fuor d’acqua.
Spesso va al balcone, scosta le tendine e guarda lontano. Attraverso i vetri e
con gli occhi velati di pianto, sembra intravedere la sua casetta, i suoi
bimbi, i vicini, la sua chiesa. È triste e copiose lacrime le rigano il volto.
Rimpiange le sue piccole ma tanto care cose lasciate lontano. Non se la sente
di vivere in quel mondo che non è il suo. Meglio tornare alla terra dove è nata
e a lungo vissuta, alla sua casetta, dai suoi vicini. Ma come dirlo alla
premurosa nipote senza toccarne la suscettibilità e l'affetto? Nessuna
occasione le sembra buona per affrontare il delicato discorso e, tra l’altro,
non riesce nella mente a trovare le parole giuste per farlo. Intanto i giorni
passano e la nostalgia si fa più struggente.
Una mattina durante la prima colazione la
padrona di casa, notando la zia particolarmente triste e silenziosa, le chiede:
"Zia, come stai? Non ti senti bene? Hai bisogno di qualcosa?".
E lei, con toni sommessi e parsimonia di parole che sono propri di una persona
umile e timida, risponde: "Ti voglio tanto bene, mia cara. Non
dispiacerti se ti confesso che gradirei tornare al mio paese e riposare, quando
il buon Dio lo vorrà, accanto ai miei genitori.”.
"Vedremo di poterti accontentare -
risponde la nipote - ma per ora non è possibile." La donna sa
che in azienda ci sono dei problemi. Gli affari non vanno più bene. Tra
l'altro, il marito della nipote si è impelagato in operazioni poco pulite per
colpa di un promotore finanziario senza scrupoli. E, difatti, nel giro di poche
settimane, le cose si mettono male. Gran parte del personale viene licenziato e
le spese della gestione familiare contenute al massimo. Sono le prime
avvisaglie, meglio ancora i primi necessari provvedimenti di un crac imminente.
Pochi giorni dopo si trasloca tutti in una dimora ben più modesta. In tale
situazione Donna Rosina si rende conto di essere un peso per i congiunti e si
convince sempre più che il desiderio di tornare in Italia è destinato a restare
un semplice sogno. Si mette l'animo in pace e, da buona cristiana quale è, si
rassegna come in tante altre occasioni all'idea che sia la volontà del Signore".
Un bel giorno bussano alla porta. È Francesco,
il giovane che Donna Rosina qualche anno addietro aveva incontrato sul
bastimento. La informa di aver trovato un buon lavoro, di guadagnare bene e di
essersi sistemato al di là di ogni sua più rosea previsione. Tra le pieghe del
discorso il giovane coglie nello sguardo e nelle parole dell'ex maestra
d'asilo la nostalgia della terra natia. La cosa lo colpisce nel più profondo
dell'animo. Poco dopo si congeda assicurando che tornerà presto. Nel giro di
qualche settimana ritorna con una busta-regalo in mano che consegna a Donna
Rosina. Contiene del denaro e il biglietto per il bastimento prossimo a salpare
per l'Italia, un gesto d'amore di Francesco verso colei che in passato gliene
aveva profuso tanto. Lei non può rifiutare. Travolta da mille emozioni si
avvicina al giovane e lo abbraccia teneramente, mentre si inumidiscono gli
occhi e qualche lacrima sfugge al suo controllo. Rientra finalmente in Italia,
nella sua Nicastro, in Larghetto Strano. Qui si presenta ai cari e vecchi
vicini di casa meno... ricca di quando era partita ma con incommensurata gioia
nel cuore. Qualche effetto personale e nulla più. La cosa è stata subito
notata, ma della nuova situazione lei non ha mai dato spiegato le ragioni.
Quanta riservatezza e che dignità!
La casetta non è più sua, l’ha venduta prima di
partire. È ospitata per alcuni giorni dalla fedele "cummarella” Rosa.
Nonostante le maggiori difficoltà incontrate al rientro in Italia, “’a
Cirrilla” è felice quanto e più di prima, sorretta dall’incrollabile fede
cristiana. Per fortuna, l’affetto e la generosità di tante persone del vicinato
non le mancano. La nobile famiglia, che aveva rilevato la vecchia casetta - in verità solo
per fornire alla brava donna i soldi del viaggio, tant’è che l'abitazione poi è
rimasta sempre chiusa - prende a
cuore il caso e la mette gratuitamente a disposizione dell’ex proprietaria.
Qualche tempo dopo, “a Cirrilla” accusa, suo malgrado, l'ennesimo colpo di
sfortuna: scivola dalle scale e s’infortuna seriamente. Le sue condizioni di
salute sono cagionevoli, anche per l’età avanzata. L’impagabile Rosa non è
nella condizione di poterla assistere, se non dopo l’orario di lavoro (operaia
in un’azienda agricola). Altre persone
amiche s’interessano perché “’a maìstra” trovi ospitalità nella casa di riposo
sul colle di S. Antonio, nei pressi del Santuario. In un primo tempo non è
accettata per via appunto dell’infermità fisica per la quale non sarebbe stata
garantita adeguata assistenza. A distanza di alcuni giorni le porte di quella
struttura si aprono in seguito al fattivo e generoso intervento della predetta
famiglia benestante.
E lì, dopo meno di un anno - è il 1966 – “a
Cirrilla”, dopo tante sofferenze, chiude definitivamente gli occhi e trova tra
le braccia della Divina Misericordia quella serenità, quella gioia e quel
benessere perenne che in vita ha avuto concessi in minime dosi o, addirittura,
soltanto in un incredibile... sogno. Demetrio Russo


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