GATTA E TOPO… IN ARMONIA? La signora Marisa, pensionata (da
giovane si trasferì al Nord dove ha lavorato in una lavanderia), è tornata
nel suo paese natio, ai piedi del Reventino, per trascorrere un paio di
settimane tra parenti ed ex compaesani. Un pomeriggio all’amica d’infanzia
Concetta, venuta a farle visita, descrive le bellezze, la pulizia, i servizi e
le soddisfazioni che garantisce il luogo dove ha lavorato per tanti anni e dove
abitualmente risiede con la famiglia. Poi la conversazione entra nel privato e ad
una impertinente domanda di Concetta riguardante il rapporto col coniuge
Domenico, un tipo che da giovane tanti ricordano essere stato un po’ sbarazzino,
amante del ballo e delle belle donne, confida : “Cuncè, ìju ccù marìtumma Micùzzu ijàmu d’amùri e d’accùardu, e ti
dicu puru ch’a illu, di quandu n’amu spusàto - 35 anni arrìatu – ’ppi quantu
m’adùra, mi chiama …gattarèlla mìa” (Concetta, io con mio marito Domenico andiamo d’amore e d’accordo e
ti aggiungo che da quando ci siamo
sposati -35 anni addietro – dato che mi adora, mi chiama ..gattina mia). E
l’amica, apparentemente compiaciuta ma incredula, con un sorriso che confermi
intimità e amicizia, osserva: "Sei stata brava, Marì. Cumu ha’ fattu?
Cchi c’ha’ misu: ’a brigghjia alla capu o ’a catìna alli pìadi? (Sei stata abile, Marisa. Come hai
fatto: gli hai messo la briglia in testa oppure una catena ai piedi?). Marisa,
adeguandosi al tono confidenziale e dando poco peso alla pulce nell’orecchio
dell’osservazione cattivella dell’amica, precisa: “Cumu si dici: s’hanu d’usàri ’a
carota e lu bastuni. Normalmenti ’u chiàmu…suriciùzzu mìu, ma quandu sgarra MU
MANGIU…!!!” (Come si
dice: si devono usare carota e bastone. Normalmente lo chiamo…topolino mio, ma
quando sgarra ME LO MANGIO…!!!)
* * *
BENEDETTA SUOCERA. Qualcuno
ricorda che tanti anni addietro tale Federico M.
(un minimo di prudenza non guasta a tutela dei dubbi circa la veridicità della
storiella) un muratore residente in zona periferica, scarso di tatto e
d’intelligenza, lamentava con un amico la poca dimestichezza della giovane
moglie Giuseppina con la cucina. “Da giuvinella –
confidava al collega di lavoro – mugghjèrma l’hanu mandata ‘nduvi ’a sarta e ’nte minutàgghjuli du
rammìandu s’a cava, ma alli furnèlla è ’na mbranàta” (Da giovane mia moglie è stata mandata da
una sarta per apprendere il mestiere e nei piccoli rammendi se la cava
abbastanza, ma ai fornelli è un’imbranata). “Ma ti viju bìallu panzùtu. ’Un mi diri ch’a ti duna roba ’nte
scatulètte!” (Per la
verità ti vedo bello e panciuto, non dirmi che tua moglie ti dà da magiare roba
nelle scatolette!), ribatte il
collega al quale Federico precisa: “A vo’ sapìri ’a virità? Ccu nua ci sta mia suocera. È ’na rumpi scàtuli,
ma ’ppi cucinàri è ’na…bùmba!”
(Con noi abita mia suocera. È una rompiscatole, ma per cucinare è una
bomba!).
* * *
* * *
DUE SONO TROPPE. A proposito di suocere, si racconta di un muratore, tale A. M. residente all’epoca dei fatti (si parla degli anni a cavallo del 1970) in uno dei piccoli centri abitati della pre-Sila, il quale dopo circa un quinquennio di matrimonio con una compaesana, rimase vedovo per la prematura scomparsa della moglie R. P. affetta da una grave malattia.
Parenti e amici, trascorso un certo tempo, si diedero da fare per
accasare il muratore prospettandogli opportunità adeguate, in paese e dintorni,
con signorine della sua stessa età, o quasi. Ma lui, A.M., che aveva sentito subito
– forse anche prima - palpitare il cuore per una cognatina di alcuni anni più
piccola (secondo voci non confermate, interesse e attenzioni corrisposte), fece
la sua scelta unendosi in matrimonio con lei.
A coloro che gli proponevano soluzioni… esterne, soleva esprimere parere
negativo con questa battuta: “’Na socera m’abbàsta e avànza; dùa? Màncu li cani!”
(Una suocera basta e avanza; due? Per
carità!).
*
* *
NON È MAI TROPPO TARDI. Un maturo signore, sposato e senza figli, da qualche tempo
accusava problemi alla vista. Più volte si è sottoposto a visita specialistica
senza ottenere mai risultati soddisfacenti. Un giorno, capitato in una grande
città, nota l’insegna di un ottico su un negozio abbastanza ampio e frequentatissimo.
Entra e, venuto il suo turno, chiede al dottore un paio di occhiali nuovi
previo un accurato controllo della vista. Il cliente, inforcati gli occhiali,
gira lo sguardo intorno per controllarne la visibilità e con grande sorpresa e
compiacimento (subito tramutatosi in un malcelato disappunto) nota di vedere
benissimo. Appena inquadra il volto della moglie, il sorriso scompare dalle sue
labbra e l’iniziale compiacimento si tramuta in un malcelato disappunto.
Rivolto alla consorte osserva con un malcelato disappunto: “Avessi
avuto questi occhiali quando ti ho conosciuta, anche il giorno prima di sposarti.”
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