42 - VITA DI COPPIE: LA GATTA E IL TOPO


­­­­­­­­­­­­­­­­­­GATTA E TOPO… IN ARMONIA? La signora Marisa, pensionata (da giovane si trasferì al Nord dove ha lavorato in una lavanderia), è tornata nel suo paese natio, ai piedi del Reventino, per trascorrere un paio di settimane tra parenti ed ex compaesani. Un pomeriggio all’amica d’infanzia Concetta, venuta a farle visita, descrive le bellezze, la pulizia, i servizi e le soddisfazioni che garantisce il luogo dove ha lavorato per tanti anni e dove abitualmente risiede con la famiglia. Poi la conversazione entra nel privato e ad una impertinente domanda di Concetta riguardante il rapporto col coniuge Domenico, un tipo che da giovane tanti ricordano essere stato un po’ sbarazzino, amante del ballo e delle belle donne, confida : “Cuncè, ìju ccù marìtumma Micùzzu ijàmu d’amùri e d’accùardu, e ti dicu puru ch’a illu, di quandu n’amu spusàto - 35 anni arrìatu – ’ppi quantu m’adùra, mi chiama …gattarèlla mìa” (Concetta, io con mio marito Domenico andiamo d’amore e d’accordo e ti aggiungo che  da quando ci siamo sposati -35 anni addietro – dato che mi adora, mi chiama ..gattina mia). E l’amica, apparentemente compiaciuta ma incredula, con un sorriso che confermi intimità e amicizia, osserva: "Sei stata brava, Marì. Cumu ha’ fattu? Cchi c’ha’ misu: ’a brigghjia alla capu o ’a catìna alli pìadi? (Sei stata abile, Marisa. Come hai fatto: gli hai messo la briglia in testa oppure una catena ai piedi?). Marisa, adeguandosi al tono confidenziale e dando poco peso alla pulce nell’orecchio dell’osservazione cattivella dell’amica, precisa: “Cumu si dici: s’hanu d’usàri ’a carota e lu bastuni. Normalmenti ’u chiàmu…suriciùzzu mìu, ma quandu sgarra MU MANGIU…!!!” (Come si dice: si devono usare carota e bastone. Normalmente lo chiamo…topolino mio, ma quando sgarra ME LO MANGIO…!!!)

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BENEDETTA SUOCERA. Qualcuno ricorda che tanti anni addietro tale Federico M. (un minimo di prudenza non guasta a tutela dei dubbi circa la veridicità della storiella) un muratore residente in zona periferica, scarso di tatto e d’intelligenza, lamentava con un amico la poca dimestichezza della giovane moglie Giuseppina con la cucina. “Da giuvinella – confidava al collega di lavoro – mugghjèrma l’hanu mandata ‘nduvi ’a sarta e ’nte minutàgghjuli du rammìandu s’a cava, ma alli furnèlla è ’na mbranàta” (Da giovane mia moglie è stata mandata da una sarta per apprendere il mestiere e nei piccoli rammendi se la cava abbastanza, ma ai fornelli è un’imbranata). “Ma ti viju bìallu panzùtu. ’Un mi diri ch’a ti duna roba ’nte scatulètte!” (Per la verità ti vedo bello e panciuto, non dirmi che tua moglie ti dà da magiare roba nelle scatolette!), ribatte il collega al quale Federico precisa: “A vo’ sapìri ’a virità? Ccu nua ci sta mia suocera. È ’na rumpi scàtuli, ma ’ppi cucinàri è ’na…bùmba!”
(Con noi abita mia suocera. È una rompiscatole, ma per cucinare è una bomba!).                                                                         
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DUE SONO TROPPE. A proposito di suocere, si racconta di un muratore, tale A. M. residente all’epoca dei fatti (si parla degli anni a cavallo del 1970) in uno dei piccoli centri abitati della pre-Sila, il quale dopo circa un quinquennio di matrimonio con una compaesana, rimase vedovo per la prematura scomparsa della moglie R. P.  affetta da una grave malattia.
Parenti e amici, trascorso un certo tempo, si diedero da fare per accasare il muratore prospettandogli opportunità adeguate, in paese e dintorni, con signorine della sua stessa età, o quasi. Ma lui, A.M., che aveva sentito subito – forse anche prima - palpitare il cuore per una cognatina di alcuni anni più piccola (secondo voci non confermate, interesse e attenzioni corrisposte), fece la sua scelta unendosi in matrimonio con lei.  A coloro che gli proponevano soluzioni… esterne, soleva esprimere parere negativo con questa battuta: “’Na socera m’abbàsta e avànza; dùa? Màncu li cani!”
(Una suocera basta e avanza; due? Per carità!).


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NON È MAI TROPPO TARDI.  Un maturo signore, sposato e senza figli, da qualche tempo accusava problemi alla vista. Più volte si è sottoposto a visita specialistica senza ottenere mai risultati soddisfacenti. Un giorno, capitato in una grande città, nota l’insegna di un ottico su un negozio abbastanza ampio e frequentatissimo. Entra e, venuto il suo turno, chiede al dottore un paio di occhiali nuovi previo un accurato controllo della vista. Il cliente, inforcati gli occhiali, gira lo sguardo intorno per controllarne la visibilità e con grande sorpresa e compiacimento (subito tramutatosi in un malcelato disappunto) nota di vedere benissimo. Appena inquadra il volto della moglie, il sorriso scompare dalle sue labbra e l’iniziale compiacimento si tramuta in un malcelato disappunto. Rivolto alla consorte osserva con un malcelato disappunto: “Avessi avuto questi occhiali quando ti ho conosciuta, anche il giorno prima di sposarti.”



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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari