1 - un
battesimo…(im)possibile
Un'anziana donna benestante, non
avendo parenti stretti, vive da sola in un decoroso appartamento in pieno
centro assieme ad una cagnolina alla quale giornalmente riversa cure e affetto.
Un pomeriggio si reca in parrocchia per parlare col sacerdote. "Don
Vincenzo - dice con voce riverente e implorante - ho bisogno
di un grosso favore. Non potete dirmi di no".
- "In che cosa posso esservi
utile" risponde il reverendo, mostrando attenzione e
disponibilità verso la sua affezionata parrocchiana. "Voi
lo sapete che vivo da sola e non ho altri affetti in casa se non quelli per
questa mia bestiolina, che si chiama Titti e che vorrei fosse da voi
battezzata".
- "Mia cara signora -
ribatte subito don Vincenzo - sapete benissimo che la cosa non è
fattibile: la Chiesa non ammette che si battezzino anche gli animali".
- "Dovete farmelo questo
favore, don Vincenzo. Ve lo chiedo con tutto il cuore e per disobbligarmi ho
preparato questa busta con una discreta offerta (10.000 euro) per i bisogni
della parrocchia".
Nel profferire tali parole
l'anziana donna porge al sacerdote l'involucro con dentro il denaro. Il prete
allunga la mano, prende la busta e, apparentemente imbarazzato, dichiara:
- "Vediamo cosa si può fare.
Aspettatemi un attimo". Don Vincenzo prende l'aspersorio in sagrestia
e soddisfa la richiesta della signora raccomandandole caldamente di non farne
parola con alcuno per evitare che altre richieste simili siano fatte per cani,
gatti, ecc., ecc.
Durante la notte il sacerdote non
riesce a prender sonno. E' assalito da tanti scrupoli e da senso di colpa. Di
primo mattino si reca in diocesi. Al presule racconta il fatto ammettendo la
propria debolezza nell'aderire alla richiesta della parrocchiana e
nell'accettare il denaro per i noti bisogni della parrocchia (urgenti lavori da
fare alla struttura).
Il vescovo, dopo un formale richiamo
sulle cose che si possono fare e su quelle che non si dovrebbero fare, avuta
anche assicurazione che l'episodio rimarrà circoscritto e nel più assoluto
riserbo, chiude l'incontro con la seguente raccomandazione:
- "Don Vincenzo, quando
rivedrai la signora, ricordale che la cresima di Titti la farò io. Non te ne
dimenticare".
2 - Orecchio mancante e lenti a contatto.
Il primo
giorno di scuola entra in una terza classe delle Elementari il nuovo maestro,
un tipo bassino e grassottello, dal carattere scontroso e tutt'altro che
disponibile al sorriso. Caratteristica questa dovuta quasi certamente alla
menomazione in viso: gli è stato amputato tutto il padiglione dell’orecchio
destro in seguito ad un incidente stradale. Posata la borsa sulla cattedra,
osserva con sguardo intimidatorio gli scolari, alcuni dei quali si scambiano
battute, commenti e sorrisi di scherno con riferimento al nuovo arrivato e alla
sua infermità. L’insegnante, intenzionato a ristabilire in classe serietà, ordine
e ruoli, rivolto a uno dei più attivi in fatto di disturbo, gli urla: “Come ti chiami e cosa hai da
ridere?”. Antonello, lo studente in
questione, fornisce le proprie generalità e poi con tutta sincerità ammette
che, non avendo mai visto una persona priva di un orecchio, la cosa gli è
sembrata davvero buffa. Il maestro non la prende bene e ordina allo scolaro di
raggiungere subito l’angolo dietro la lavagna. Il docente prende di mira un
altro, Giandomenico, compagno di banco e di... risate di Antonello. “E tu – gli grida – spiegami questo tuo comportamento da scemo matricolato.
Lo sai che il riso abbonda sulla bocca degli stolti?”. Lo scolaro, senza mostrare preoccupazioni o
timori di sorta, risponde candidamente: “Prifhissù,
’a vulìti sapìri a virità? Vidìri ad unu ccù n’arìcchia sè e n’autra no, mi fha
ridìri. Chi cci pùazzu fhàri” (Professore, volete sapere la verità?
Vedere una persona con un orecchio sì e l’altro no, mi fa ridere. Che cosa
posso farci). Anche per lui scatta la
punizione del maestro che lo spedisce fuori dell’aula. Come primo giorno di
scuola evidente che le cose non promettono nulla di buono nei rapporti tra
insegnante e alunni. Per la verità, dopo quell’impatto col neo maestro, la
scolaresca assume un comportamento meno irrispettoso per tema di altri
provvedimenti disciplinari. Un terzo ragazzo seduto in ultima fila e con la
ribaltina del banco alzata nella speranza di non essere visto, sottovoce sta
ridacchiando e confabulando con il collega accanto. Dal maestro, cui non sono
sfuggiti gesti e risolini in fondo all’aula, il ridanciano Claudio (nome di
fantasia) è invitato a raggiungere la cattedra. Gli viene subito chiesto: “Che cosa stavate dicendo o commentando, tu
e il tuo compagno, da motivare le risatine sottobanco?”. E lo scolaro, per
non essere da meno di coloro che l’hanno preceduto in termini di spavalderia,
ma nella speranza di evitare provvedimenti disciplinari, la prende come suole
dirsi alla larga rispetto ai due che lo hanno preceduto. Rivolto lo sguardo
verso gli occupanti dei banchi in prima fila, confessa con toni tra il serio e
il faceto: “Prifhissù, ci dicìa a Micùzzu, ’u cumpàgnu ’i bancu,
c’a vùa purtàti sicuramenti i lenti a cuntàttu” (Professore, stavo dicendo a Domenico, mio compagno di banco, che voi
portate certamente lenti a contatto). Il maestro, sorpreso da questa
risposta che ha preciso riscontro nella realtà, chiede con curiosità: “E come te ne sei accorto?”. Pronta la
battuta di Claudio, tra le risate della scolaresca alla quale da autentico birbone
ha strizzato l’occhio: “Senza ’na ’rìcchia
l’occhiali normali cumu ’i putèravu purtàri!” (Senza un orecchio come avreste potuto portare gli occhiali normali!)
3 - Infortuni…visivi.
In un ufficio postale di
periferia opera un’anziana signora con problemi agli occhi. A causa della
crescente miopia porta occhiali da vista con lenti molto spesse. Per leggere o
firmare deve spesso abbassare il capo o sollevare il documento in esame fin
quasi a toccarlo con la punta del naso. Una mattina entra nell’ufficio un
giovane operaio per pagare un’utenza con bollettino postale precompilato. Non
ci sono altre persone nel settore riservato al pubblico e lui attende
educatamente che l’impiegata termini di completare un’operazione interna. Il
tempo passa e lei non sospende il lavoro che sta facendo per servire la gente
allo sportello. L’uomo alquanto spazientito la sollecita a sbrigarlo dovendo
riprendere il lavoro: “Oh signò – le dice con deciso tono di
voce - sbrigàtimmi ch’a vaàju i prèscia” (Signora,
servitemi perché vado di fretta). L’impiegata alza il capo e a causa della
vista che le crea brutti scherzi, è convinta che davanti allo sportello vi
siano più persone. Pertanto, replica al neo arrivato invitandolo a pazientare
finché lei non finisca di completare la pratica in corso e, comunque, ad
attendere il proprio turno. L’operaio controlla ancora l'orologio e avendo
rilevato un ritardo maggiore del tollerabile, con modi poco urbani borbotta
frasi poco comprensibili, frutto di rabbia e d’impazienza. Ma l’altra non dà
alcun peso a quelle rimostranze. Non ha alcuna intenzione di interrompere
l’operazione e abbassa il capo sul documento per completarlo. A un certo punto
il giovane, stanco di aspettare, perde le staffe. Non riesce a trattenere la
rabbia che ha in corpo e batte forte il pugno sul bancone. La signora, che
sorda non è, alza la testa e guardando attraverso il tondino nel vetro
divisorio, domanda con aria di minaccia: “Chi è stato?”. L’operaio,
capito l’infortunio…visivo dell’impiegata e intenzionato a cogliere l’occasione
di prestarsi al gioco e chiuderla lì, se ne esce con una simpaticissima
battuta: “Oh signò, unn’è ch’a ccù tutta sta genti chi c'è 'cca dintra, mo’
v’ha pigghjàti ccu mmìa?” (Signora,
non è che tra tutta questa gente qui dentro, adesso incolpate me?).
4 - Vista corretta in ritardo.
Un maturo signore, sposato e senza figli, da
qualche tempo accusava problemi alla vista. Più volte si è sottoposto a visita
specialistica senza ottenere mai risultati soddisfacenti. Un giorno, capitato
in una grande città, nota l’insegna di un ottico su un negozio abbastanza ampio
e frequentatissimo. Entra e, venuto il suo turno, chiede al dottore un paio di
occhiali nuovi previo un accurato controllo della vista. Il cliente, inforcati
gli occhiali, gira lo sguardo intorno per controllarne la visibilità e con
grande sorpresa e compiacimento nota di vedere benissimo. Appena inquadra il volto della moglie, il sorriso
scompare dalle sue labbra e l’iniziale compiacimento si tramuta in un malcelato
disappunto. Rivolto alla consorte osserva storcendo il muso: “Avessi avuto questi occhiali prima di
sposarti.”
5 - Un prete amico di…Bacco.
Il sagrestano della
chiesetta sita nella frazione collinare di un piccolo paese del cosentino, noto
come “Mastru ’Ntoni ’u scarpàru” (normalmente
svolgeva l’attività di ciabattino) una mattina di domenica nel predisporre
paramenti e quant’altro necessario per la celebrazione della santa Messa da
parte del parroco Don Arcangelo, si
accorge che non c’è vino sia nell’ampolla e sia nella bottiglia di scorta. Fa
presente il problema al sacerdote che subito ne
trova (almeno ne è convinto) la soluzione: sollecita l’aiutante a recarsi nella
casa colonica, sita qualche centinaio di metri di distanza, e chiedere la
solita bottiglia alla padrona di casa, la signora Concetta, una parrocchiana di sana fede e di sana…economia. L’uomo
entra nella cascina e trova la donna intenta a preparare il mangime per le
galline che razzolano nel recinto posto in un angolo. Le dice con tono cortese
e deciso: “Mi manda don Arcangelo per una bottiglia di vino. Stamattina mi
sono accorto che non ne abbiamo per il sacro rito e lui mi ha detto di
rivolgermi a voi che avreste senz’altro provveduto”. La contadina tira
fuori dall’interno della camicetta uno sgualcito foglietto di notes e fa
rilevare all’altro la fornitura alla canonica di ben undici bottiglie ancora
non pagate. Alza le mani e storce il muso per esprimere la decisione di non
fare altro credito. Subito dopo al sagrestano, rimasto quasi di sasso per il
diniego di una cosa destinata al sacro culto, affida l’incarico di questo
preciso messaggio da riferire al sacerdote: “Mastru ’Ntò, a don Arcàngilu
dicìti ch’à l’ultima s’ha pigghiàta ièri sìra; ’ppìmmu 'a furnìsci ‘ppìmmu
s’attàcca alla buttìgghia e ’mu s’ha scùla tutta. Ieri sira ’na ’ntìcchia ha
putìa pùru lassàri ’ppi ’stà matìna, o no?” (Maestro Antonio, dite a don
Arcangelo che appena ieri sera ne ha ritirata una e di smetterla di attaccarsi
alla bottiglia e scolarsela tutta. Un po’ di vino avrebbe potuto anche lasciarlo
per questa mattina, o no?). Subito dopo da buona parrocchiana al ciabattino
che si sta allontanando dal podere per tornare in parrocchia a mani vuote,
rivolge ad alta voce e con tono conciliante la seguente preghiera: “Mastru
Ntò, sintìti a ‘mmìa: iàti ‘nta sacristìa e purtàtimmi ampullìna ch’a va
lìnchiu. Buttìgghji 'un c’ìndi dùgnu cchiù” (Maestro Antonio,
ascoltatemi: andate in sagrestia e portatemi l’ampolla che ve la riempirò.
Bottiglie - evidente il riferimento al sacerdote - non gliene
darò più).
6 - Quando il monaco ne sa più del…diavolo.
Nella facoltà di giurisprudenza di un ateneo non molto distante da
Lamezia insegnava (si parla di diversi lustri addietro) diritto privato un
professore universitario preparato, esigente e particolarmente severo con gli studenti
che si presentavano agli esami senza aver mai assistito alle lezioni da lui
tenute. Tra questi ultimi un padre cappuccino di origine toscana
impossibilitato a frequentare l’ateneo per gli impegni legati al proprio ministero.
Tuttavia in convento il tempo libero lo dedicava allo studio tant’è che aveva
acquisito una preparazione in giurisprudenza, e non solo, tale da aver poco o
nulla da invidiare a tanti professionisti del ramo e forse anche allo stesso
docente. Sedutosi per sostenere gli esami di diritto davanti al titolare della
cattedra, il padre cappuccino è sottoposto a un’incalzante serie di domande,
una più difficile dell’altra, con l’evidente scopo di scoprirne eventuali
lacune. Ma il laureando aveva a ognuna di esse la risposta giusta, di tanto in
tanto inframmezzata da piccole pause. Tale comportamento è interpretato male
dal docente, che in tali occasioni interviene e domanda con un malcelato
sadismo: “Ma lei suda, ha difficoltà
nell’esposizione, probabilmente non è convinto di quello che dice…”. Osservazione
fatta più volte durante l’esame al quale hanno assistito diversi universitari
interessati ai temi trattati. A un certo punto, infastidito dall’atteggiamento
del professore ritenuto persecutorio e disumano, il padre cappuccino si alza e,
poggiate le mani sulla cattedra, afferma con forza: “Mio caro professore, io sudo perché ho tanto caldo; siamo nel mese
di luglio e tra l’altro porto quest’abito”. E dopo aver asciugato la fronte
con un fazzoletto e preso fiato, aggiunge: “Le
assicuro che se fossi stato io al suo posto, l’avrei fatta sudare e come! Anche
d’inverno”.
7 - Un antifurto … garantito.
In una città del nord dove da anni era emigrato, il tecnico sessantenne
Gennaro P. è rimasto vittima di un grave infortunio sul lavoro.
Ricoverato in ospedale è stato subito sottoposto a un delicato intervento
chirurgico. Le sue condizioni però sono andate peggiorando e qualche ora più
tardi ha cessato di vivere. Dopo le formalità di rito, familiari dello
sfortunato operaio hanno affidato incarico a un’agenzia di pompe funebri del
posto per portare la salma nel paese natio, un grosso centro del catanzarese. Giunto
in periferia della città calabrese, l’autista accosta la vettura davanti
all’ingresso di una piccola abitazione per chiedere alla padrona di casa, una
vecchietta seduta su una sporgenza del muro esterno e intenta a lavorare a
maglia, la via da seguire per raggiungere la destinazione indicatale. La donna
non conosce né il recapito né la strada da seguire e suggerisce all’uomo di
recarsi nel bar poco distante, dietro l’angolo dell’isolato di fronte, dove
qualcuno probabilmente sarebbe stato in grado di fornirgli indicazioni giuste. L’autista,
considerata la corta distanza, decide di raggiungere a piedi il bar e prima di
avviarsi chiede alla vecchietta di guardare il carro funebre per tema che
qualche ladro possa soffiarglielo. E quella, con tono tra il faceto e il
rassicurante, afferma: “Ma chini vùa ‘ppìmmu su pìgghia? C’è pùru ‘u mùartu
dintra…!” (Ma chi vuoi che te lo
rubi? C’è tra l’altro il morto dentro.!). E da buona seguace del noto motto
napoletano “non è vero, ma ci
credo”, nel pronunciare la frase, strofina tra pollice e indice
della mano destra una forbicina metallica. Prudenza scaramantica: non si sa
mai!
8
- Un gradino malizioso.
Un giorno un impiegato delle ferrovie da qualche anno in pensione, nome di
comodo Giacomo, si sente male. È chiamato un medico che, giunto poco dopo, non
può che costatarne la morte. Il giorno dopo si procede ai funerali: il
poveraccio è sistemato nella bara portata sulle spalle da dipendenti della
ditta di pompe funebri incaricata. Nello scendere il gradino della porta
d'ingresso, uno dei portantini inciampa e il feretro finisce per terra. Salta
il coperchio e, strano a credersi, il morto risuscita. Evidentemente la morte
diagnosticata era solo apparente, una sorta di catalessi. Tutti contenti, un
po' meno la moglie del "defunto",
i cui rapporti coniugali negli ultimi tempi erano stati tutt'altro che
idilliaci. La signora, comunque, fa buon viso a cattivo gioco, riprendendo la
vita di tutti i giorni e nel solito clima. Qualche anno più tardi Giacomo,
colpito da collasso, muore per davvero. Bara sulle spalle dei portantini che
escono dalla casa diretti in Chiesa per il rito funebre. In prossimità del
portoncino, la padrona di casa apparentemente premurosa, si rivolge al giovane
che sostiene il feretro sul davanti, a sinistra, raccomandandogli caldamente: "Giovane, attenzione al gradino!"
9 - Andare a piedi col…vocabolario.
In bacheca sono stati affissi i risultati degli esami di licenza di Scuola
Media Superiore. Alcuni genitori, dopo aver letto i quadri, s’intrattengono
all'esterno dell'Istituto parlando del più e del meno. Al gruppo di amici si
avvicina un comune conoscente che, dopo aver rivolto un cordiale saluto, fa
loro la domanda di circostanza sui risultati degli esami dei rispettivi
congiunti. Uno del gruppo, di professione avvocato, risponde: "Mai avuto dubbi sulla promozione di mio figlio, che ha sempre studiato
con il massimo impegno e rimediato voti eccellenti. Solo che, a fronte di una
media alta conseguita, c'è la promessa da mantenere dell'acquisto di un
motorino. E la cosa, ovviamente, comporterà per me non poche e serie preoccupazioni".
Rivolto ad altro componente
del gruppo, un maestro delle Elementari, il nuovo arrivato ripropone il quesito
al quale l'insegnante risponde con moderata soddisfazione: "Mio figlio
non è uno che con gli studi va molto d'accordo. Tuttavia questa volta s'è
impegnato e la licenza di Scuola Media l'ha rimediata, sia pure con il minimo
dei voti, cioè la sufficienza. Lui non sa ancora andare in bicicletta e
purtroppo dovrò comprargliela come promesso. Temo che si possa far male". La
stessa domanda è diretta a un appuntato dei Carabinieri (dovute scuse
all'Arma se suoi militari, semplici o graduati, sono messi al centro di
aneddoti poco edificanti e quasi sempre inventati e loro attribuiti)."Me
fhìgghiu - ammette con una punta di amarezza il militare, originario
di un paesino di montagna - è nu vagabùndu, 'unn'ha studiàtu e l'hanu
bocciatu ch'a 'un sa accucchjàri dùa paroli in italianu (mio figlio è un vagabondo, non ha studiato
e lo hanno bocciato perché non sa accoppiare due parole in italiano) ". L'interlocutore
suggerisce in tono scherzoso: "Appuntà, accattàtici 'nu vocabolariu (Appuntato, comprategli un vocabolario
". Il militare con tono di voce da cui traspaiono amarezza e rabbia per il
negativo risultato di suo figlio agli esami, puntualizza: "Ma quali
vocabolàriu. A ppèdi hàddi caminàri, a ppèdi...” (ma quale
vocabolario! A piedi dovrà camminare, a piedi); e sottolinea le parole con
un significativo gesto della mano destra le cui dita, indice e medio, si
muovono alternativamente in avanti e indietro e con la punta rivolta in giù.
10 - Un provvidenziale intervento.
Uno studente di 3^ media,
per comodità di nome Giorgino, ritorna a casa con la pagella del primo
quadrimestre. I voti sono scadenti e logicamente per niente apprezzabili da
parte del padre, un tipo severo e che fa spesso ricorso alle maniere dure per
punire assenze e scarso profitto in classe, oltre a manchevolezze gravi e di
vario tipo, da parte del ragazzo. Questi non osa entrare in casa per timore
della dura reazione del genitore dopo aver esaminato il documento scolastico
che dovrà necessariamente firmare per presa visione. Giorgino, visibilmente e
comprensibilmente immusonito, indugia nei pressi della porta di casa, dove
incontra poco dopo un'amica di famiglia, alla quale spiega singhiozzando le
ragioni del proprio comportamento. La signora cerca di spronarlo a un maggiore
impegno nello studio al fine di rimediare nei successivi quadrimestri voti ben
più gratificanti e lo sollecita a entrare in casa e ad affrontare quella che
ritiene una semplice "sfuriata" del papà esauribile in un batter
d'occhio. E Giorgino d'istinto replica: "Ma quale sfuriata! Mio padre
farà come altre volte: si toglierà la cintura e mi picchierà con essa". "Possibile
che arrivi a tanto?" chiede non senza stupore la donna, che
subito dopo aggiunge: "E tua madre non interviene, cosa fa?". Il
ragazzo, col capo abbassato e la mano destra a strofinarsi gli occhi, risponde
balbettando: "Sì, gli tiene i pantaloni…".
11 - Un mestiere … bestiale.
Un giovane geometra,
coniugato e padre di due figli, ha perso il lavoro per le difficoltà incontrate
dal suo datore. Per quanto abbia cercato occupazione presso altre ditte edili
in tutto il circondario, ha sempre trovato porta chiusa. Disperato, non sa più
a quale santo rivolgersi per soddisfare il fabbisogno della propria famiglia.
Un bel giorno pianta le tende in città un rinomato circo equestre il cui
programma prevede una permanenza sul posto di due settimane con altrettanti
spettacoli giornalieri. "Chissà se almeno trovassi del lavoro lì?" si domanda mentalmente. E
fattosi coraggio, si presenta dal direttore al quale espone i suoi problemi e
le sue necessità, supplicandolo di dargli una mano e dichiarandosi disposto a
fare qualsiasi tipo di lavoro, almeno per il periodo di sosta della carovana
circense. Quello, sensibile e di animo buono, prende a cuore la richiesta del
giovane e gli assicura che potrebbe occuparlo, durante le due settimane di
permanenza del circo in città, nel solo ruolo disponibile, essendo gli altri
sufficientemente coperti. Apre le braccia in segno di “prendere o lasciare” e
gli prospetta il tipo di lavoro che dovrebbe fare. "Come lei ben
sa - afferma - la posizione intransigente degli animalisti non
consente a noi operatori del settore di utilizzare durante lo spettacolo bestie
feroci, senza le quali però ne sarebbe fortemente penalizzato e non più gradito
al pubblico, soprattutto ai bambini. Stiamo sopperendo facendo indossare a
nostri dipendenti costumi e maschere di leoni e di tigri. Se lei è disposto a
far questo, domani comincerà a lavorare". Il geometra in cuor suo se
ne rallegra, anche perché con quegli indumenti non sarà riconosciuto da concittadini
e quindi non avrà da vergognarsene. Accetta di buon grado l'offerta. Il
direttore del circo, dopo avergli fatto indossare il costume di un crinito
leone, poco prima dell’entrata nell’arena, lo istruisce sul come dovrà muoversi
nella gabbia, raccomandandogli caldamente di non guardare nel fosso sottostante
per tema di cadervi dentro quando percorrerà la stretta passerella prevista dal
copione. Fattosi coraggio, il “re della foresta” si presenta al pubblico,
muovendo zampe e capo secondo i suggerimenti avuti. Durante l’esibizione,
trovandosi su quell'asse di legno, volente o nolente, gli occhi puntano il
fondo della buca e notando nel suo interno la presenza di un gruppo di
minacciose bestie feroci, trema per la paura, perde l'equilibrio e finisce nella
fossa, urlando a perdifiato: "Aiuto, aiuto... ". Una
delle bestie si alza e “ruggisce”: "Non aver paura,
amico: qui dentro siamo tutti geometri...!"
12 - Una diagnosi particolare.
Un operaio, che nei
giorni di particolari ricorrenze religiose e civili si mette sempre a
disposizione del comitato per i festeggiamenti, una mattina si presenta dal
medico di famiglia. Egli lamenta dei dolori al ventre che lo tormentano da una
settimana circa. Il dottore, fatta un'accurata visita, non trova alcuna causa e
consiglia al paziente di sottoporsi a una radiografia e di far vedere la lastra
a uno specialista. L'operaio segue il consiglio del medico e dopo qualche
giorno si reca da uno specialista con la radiografia della parte del corpo che
gli continua a dare problemi. Il professionista, dopo aver letto il referto del
radiologo rilevando il risultato negativo, invita l'operaio a spogliarsi. Nota
qualcosa di strano, qualcosa senza alcun riscontro nella sua lunga esperienza
di medico. Alza gli occhi sul paziente e osserva: "Cosa davvero
particolarissima: avete un ombelico più basso del normale. Scusate: che
mestiere fate?". Il paziente, un tantino preoccupato, risponde
quasi balbettando: "...il portabandiera".
13 - Un test … difficilissimo.
Nella Stazione di un
piccolo centro abitato un anziano carabiniere prossimo a lasciare il servizio
per ragioni di età, si rivolge al brigadiere, suo diretto superiore col quale
ha trascorso diversi anni a stretto contatto nell'Arma, pregandolo di raccomandarlo
al comandante della Compagnia, da cui dipende la Stazione, per ottenere la
promozione di "Appuntato" più che altro per rimediare mensilmente una
pensione più corposa. Il brigadiere, considerato il servizio di tanti anni
svolto assieme e l'apprezzato lavoro del sottoposto, promette di interessarsi
al più presto della questione. Nell'incontro col capitano il sottufficiale
prende atto della disponibilità del superiore a esaminare il caso che prevede
un colloquio-test per il promuovendo; colloquio fissato per il giorno
successivo. Il brigadiere riferisce al carabiniere i promettenti contenuti
della "missione" presso la Compagnia e gli raccomanda di stare
tranquillo, di dare risposte brevi alle domande dell'ufficiale assicurandolo
che tutto sarebbe andato per il meglio. Il mattino seguente il militare, dopo
il colloquio-test, esce dall'ufficio del capitano scuro in volto e tanto di
muso. Il brigadiere gliene chiede le ragioni. "Mi ha fatto domande
difficili", dichiara sconfortato il carabiniere. E l'altro: "Cosa
ti ha chiesto?". "Fammi un rombo", è stata la
risposta dell’aiutante. Aggiunge il brigadiere: " E tu cosa hai
risposto?" "Bruum... bruum... " rumoreggia con
le labbra semichiuse il carabiniere, imitando il rombo di un motore. "Cretino
che non sei altro. Il capitano ti ha chiesto un rombo e tu gliene hai fatto
due!" sbotta il brigadiere che aggiunge: "E dire che non
ti avevo raccomandato altro!".
14 - Carburante a prezzo costante.
Due carabinieri in pensione, un appuntato e un militare semplice, sono
seduti su una panca nella piazzetta del paese e discutono del più e del meno. Si
discuteva in particolare del costo della vita lievitato in modo quasi
generalizzato nei vari settori del consumismo. L’ultimo rialzo concerne quello
dei carburanti che l’ex graduato, rivolgendosi all’amico, fa osservare con una
punta d’ironia e di disappunto.
“Collega
Gigliotti - gli domanda - hai comprato
il giornale questa mattina?”
E l’altro: “No, ’un avìa spìcci.
L’accàttu dumàni” (non avevo monete
in tasca, lo comprerò domattina). E
aggiunge: “Ppicchì, c’è ancùna cosa chi
n’interessa a nùa militari in pinsiòni?” (Perché, c’è forse qualcosa che
interessi noi militari in pensione?). Chiarisce l’appuntato: “Stamattina, andato al bar per il solito
caffè, ho letto sulla prima pagina di un quotidiano che da oggi i distributori
aumentano il prezzo dei carburanti”.
Gigliotti, convinto di avere trovato il modo di stare al riparo da rincari nel
settore, muovendo il dorso della mano destra sotto il mento verso l’esterno,
ammette tra il rassegnato e il soddisfatto: “Mu fhànu chìllu chi vònu: st’aumentu a mmìa ’un mi fha né càvudu né
friddu, 'un mmi tocca” (Che facciano
quello che vogliono; questo aumento a me non fa né caldo e né freddo, non
riguarda me).
E chiarisce: “Iju, di quandu sùgnu
in pensioni, mi sìarvu sempri allu stessu postu. Ormai ’u patruni mi canusci e
mi tratta da amicu: di mìa si pìgghjia sempri quindici euru” (Da quando sono andato
in pensione, per il carburante mi servo sempre allo stesso posto. Ormai il
titolare mi conosce e mi tratta da vero amico: da me ogni volta si prende
quindici euro).
15 - Desideri…malcelati.
Ai tempi della seconda guerra mondiale un gruppetto di militari tedeschi,
dopo lo sbarco in Sicilia degli Alleati, risaliva la Penisola attraverso campi
e zone impervie per sottrarsi alla vista dei loro nemici. Finite le poche
scorte alimentari, vagavano per la campagna in cerca di casolari o capanne per
rimediare qualcosa da mettere sotto i denti. Entrati in una cascina, trovarono
una contadina avanti con gli anni e una giovane del vicino villaggio recatasi
lì per acquisti di ortaggi e uova fresche. I militari con la minaccia delle
armi, ordinarono che fosse dato loro da mangiare. "Noi avere fame -
dissero in un italiano rabberciato - e voi kaputt se non dare
niente!". L'anziana donna, con l'aiuto della cliente, approntò un
tavolo alla meglio utilizzando una cassapanca e per sedie un asse di legno
poggiato su due barilotti. Tolse dal focolare la pentola con verdure e fagioli
già pronti per il suo pranzo, prese del salame, del formaggio, un filone di
pane casereccio, un fiasco di buon vino e mise il tutto sull’apparato per il
pranzo. I "graditi ospiti" (vedremo perché) fecero piazza pulita di quel ben di Dio.
Svuotarono il fiasco di vino e ne chiesero un altro. Si ubriacarono e in quel
clima di euforia uno di essi, il più brillo e intraprendente, afferrò la contadina
per usarle violenza. La giovane, che probabilmente non aveva compreso le
vere intenzioni del soldato, temendo per le sorti di quella... buona donna e
mostrando spirito di sacrificio, intervenne gridando: "Per carità,
lasciate stare quella poveretta. Prendete solo me". Le occasioni
favorevoli non capitano tutti i giorni e la contadina, decisa a cogliere quella
capitatale in quel tardo mattino, replicò alla giovane con tono di rimprovero: "Fatti
i ca... tuoi. Quando è guerra, è guerra per tutti!".
16
- La zitellona e la scaletta.
Una zitellona
telefona ai Vigili del Fuoco supplicandoli: "‘Ppi piacìri, vinìti prìastu ch'à 'nu ghuagghiùni vò
trasìri ccù 'na scalìlla da fhinestra du primu piànu chi duna 'ntò
giardìnu".
(Per favore,
venite subito poiché un giovanotto con una piccola scala cerca di introdursi in
casa dalla finestra al primo piano che dà sul giardino). Dall'altra
parte del filo si precisa: " Scusate. Perché chiedete un nostro
intervento per un problema che non ci riguarda? Mica in casa vostra è scoppiato
un incendio o qualcosa di simile! Ritengo che la telefona vada fatta ai
Carabinieri perché intervengano subito e blocchino il malintenzionato”. E
la zitellona: "No, vinìti vùa ch'avìti 'a scala cchiù longa". (No,
venite voi perché avete una scala più lunga).
E a proposito di battute “osé”, sono da ricordare quelle pronunciate
in casa di un muratore dalla giovane moglie Angelina e dal figlio Carletto di
sette anni. La donna, dopo aver indossato una elegante giacca in pelle ultima
moda e preparato il figlio per accompagnarlo a scuola, prende borsetta,
cartella e chiavi di casa e si accinge a uscire. Carletto, stupito e
compiaciuto per come le sta bene quel capo di abbigliamento, la trattiene con
la manina e le chiede: “Com’è bello. Chi
te l’ha regalato, papà?”
Angelina, che di scuole ne aveva frequentate pochine, puntualizza: “Si fhùssi ’ppi pàtrita ’un c’eri mancu
tu!” (Se fosse dipeso da tuo padre, a
quest’ora non ci saresti
17 - Cogliere le …buone occasioni.
La curiosa, e per certi versi un
tantino "osé", scenetta ha luogo su un tram cittadino particolarmente
affollato: posti a sedere tutti occupati e tante persone in piedi nel corridoio
con una o anche tutte e due le mani agganciate ai tubolari di sostegno lungo il
soffitto del mezzo. Una donna, salita per ultima e sistematasi alla meglio tra
i viaggiatori in piedi, a un certo punto si gira e a uno dei due giovani che stanno
alle sue spalle, chiede con tono quasi di rimprovero e sottovoce:
"Che cosa stai facendo?"
E quello, che non ha fatto nulla di male, non senza imbarazzo giustifica un
ipotetico contatto con la donna, dovuto verosimilmente a una brusca frenata del
tram, dicendole: "Signora, forse l'avrò urtata senza volerlo; non per
colpa mia bensì del manovratore. Me ne scuso e giuro di non aver fatto
niente". Evidentemente a ben altra cosa interessata, la donna
sottovoce gli sussurra:
"Proprio perché non stai facendo nulla, ti chiedo di spostarti e
cedere il posto al giovane che ti sta accanto".
18 - Moglie
gelosa e telefonata sospetta.
Marcello,
giovane imprenditore agricolo proprietario di una importante azienda con la
passione per i cavalli (ne possiede una dozzina) e per il gentil sesso, è
sposato da un paio d’anni con Marisa, donna gelosa e difficile da gestire,
appunto per i continui sospetti e litigi che caratterizzano i rapporti
familiari. In azienda non mancano visitatori, alcuni interessati all’acquisto
di animali da macello e da allevamento. Marcello tratta ospiti e clienti con
affabilità e gentilezza, entrando nelle simpatie di tutti, specialmente con una
signora, Matilde, spesso in visita nelle stalle del giovane con la scusa di
veder crescere un puledro al cui acquisto lei mostra di essere parecchio
interessata. I rapporti tra i due diventano di giorno in giorno più cordiali,
addirittura intimi, per cui spesso Marcello si allontana dall’azienda per stare
con la sua…bella.
Alla
moglie, sospettosa e preoccupata per le continue assenze, si giustifica
adducendo di volta in volta di recarsi in una fattoria alquanto distante per
portare a compimento difficili trattative per l’acquisto di una cavallina
destinata a futura fattrice, essendo sua intenzione di sviluppare l’allevamento
equino. I terreni per il pascolo non mancano e poi il settore, a differenza
degli altri in azienda, è quello che rende meglio. A Marisa frullano nella
testa sospetti e idee di vendetta, ma non ha prove, sia pure larvate,
dell’infedeltà del marito. Agli squilli del telefono corre a rispondere lei e
quando dall’altra parte del filo c’è una voce femminile che chiede di Marcello,
passa la cornetta al coniuge dicendogli con malcelata causticità: “ Ti vuole la cavallina!”
19
- Un militare …minorenne.
All'epoca del servizio militare obbligatorio Carmelo, un giovane originario
di un paesino della pre-Sila, alle spalle una limitata cultura per aver
frequentato solo le prime tre classi delle Elementari, riceve una mattina la
cartolina precetto e, suo malgrado, è costretto a lasciare i campi dove dava
una mano ai propri genitori tutti i giorni, salvo le domeniche e particolari
ricorrenze festive. Fu convocato in Distretto per la prevista visita e
assegnato in un distaccamento militare campano. Per la sua prestanza fisica in
occasione delle parate, sia all’interno della caserma e sia fuori, occupa un
posto di prima fila e spesso con il compito di portare il vessillo del corpo di
appartenenza. Carmelo di tutto questo ne va ovviamente orgoglioso. Alla vigilia
della visita di un alto ufficiale in caserma, il sergente preposto alla messa a
punto della cerimonia, fa le raccomandazioni di rito alle giovani leve. "Ragazzi -
dice con tono autoritario - domani
vorrò vedervi tutti in perfetta forma: viso ben rasato, scarponi lucidi, divisa
stirata, fucile ben tenuto e comportamento degno di un'importantissima
manifestazione". Subito dopo ricorda di conoscere bene l'atteso
generale per precedenti visite ispettive e di routine in caserma e suggerisce
ai militari di dare risposte brevi e precise alle solite domande formulate
dall'alto ufficiale e cioè: "Quanti anni hai", "da
quanti anni sei in servizio", "ti piace di più la vita militare o la
civile". Carmelo, ritenendosi tra i probabili intervistati durante la
cerimonia e temendo di impappinarsi nel dare le risposte, trova una soluzione
ritenuta brillante: imparare a memoria le parole da pronunciare. E così,
durante la notte, non fa altro che ripetere sottovoce "Ventidue, due,
pressappoco tutte e due"; "Ventidue, due, pressappoco tutte e due”. Al
mattino tutti i militari, semplici e graduati, sono schierati nel cortile per
rendere omaggio all'alto ufficiale. Questi, dopo le formalità di rito, si
avvicina a Carmelo e, invertendo casualmente l'ordine delle domande, gli
chiede:
D.- "Giovanotto, da quanti anni sei in
servizio?". R - "Ventidue".
D.- "Possibile? Ma scusa, quanti anni
hai?". R - "Due".
D.- "Se le cose stanno così: o sono
scemo io, o sei scemo tu?". R - "Pressappoco tutti e due,
signor generale".
20
- Un garage troppo piccolo.
Un militare dell’Arma, di servizio in un piccolo centro montano, è stato incaricato
dal suo diretto superiore di ritirare presso la Compagnia l’autovettura nuova a
suo tempo richiesta. Soddisfatto per l’incarico ricevuto, prende la corriera e
raggiunge il capoluogo. Entra nel deposito assieme al sottufficiale addetto al
parco macchine. Osserva con occhi spalancati le tante vetture, soffermandosi su
ciascuna, tutte splendide nei colori rosso e nero e con tanto di scritta “Carabinieri”, allineate all’interno del
deposito. Poco dopo torna con i piedi per terra, nel senso del motivo della sua
presenza, a seguito delle parole rivoltegli dal superiore mentre lo accompagna
verso una fiammante utilitaria:
“Finalmente voi della
Stazione montana siete stati accontentati. Il Comando vi ha assegnato questa nuova
e potente Fiat Panda, con la quale potrete percorrere anche strade impervie e
sterrate”. E subito dopo porge al commilitone chiavi e documenti della vettura. Il carabiniere, che nel frattempo sta girando
attorno al veicolo per osservarne e ammirarne colori e dettagli, a un certo
punto sobbalza per la sorpresa. Ha notato sul retro della carrozzeria la
scritta “4x4”. Fa un movimento all’indietro col corpo e rivolge lo sguardo
pregno di perplessità e stupore. Il responsabile del parco macchine gliene
chiede il motivo. Il collega, sorpreso e sbalordito, rifiuta di ritirare la
macchina perché convinto che quella non è la vettura attesa e, muovendo la
testa ora a destra ora a sinistra, afferma: “Sicuramente non è nostra. Nella domanda erano state indicate anche le
dimensioni del nostro garage, tre metri per tre, e questa non vi entrerebbe”.
21 - Un indennizzo…d’obbligo.
Un operaio, senza arte e
ne parte e pure un tantino toccato di testa, cammina senza una meta precisa in
una strada di periferia. Un po’ per colpa sua e un po’ per imperizia del
conducente, è investito da una vettura. Per l’urto cade per terra senza però farsi
alcun male. Alzatosi in fretta, si pone davanti all’auto per impedire che
riprenda la marcia e chiede al proprietario di indennizzarlo per l’incidente.
Ovviamente l’investitore rifiuta anche il pur minimo risarcimento in
considerazione che la “vittima” non ha subito alcun danno fisico. Ne nasce
un’animata discussione con l’operaio che, poggiate le mani sul cofano della
vettura, neutralizza i vari tentativi, invero prudenti, del conducente di far
muovere in avanti il mezzo. A un certo punto l’insistenza del pedone nel
pretendere delle somme, fa saltare i nervi all’altro il quale, persa la
pazienza, dà un colpo di acceleratore più sostenuto e scaraventa l’uomo a
qualche metro di distanza procurandogli delle contusioni in varie parti del
corpo. Il malcapitato, mentre è soccorso da alcuni passanti ed è caricato su un
mezzo di fortuna per raggiungere l’ospedale, gira lo sguardo verso
l’investitore e con malcelata soddisfazione afferma:
“Ti l’avìa dittu ch’a
m’avìvi ‘i pagàri!” (Te lo avevo detto che mi avresti dovuto
pagare!)
22
- Conducente sbadata e premurosa.
Una diciottenne da poco patentata una mattina prende l'utilitaria di papà e
va a farsi un giretto su una strada poco frequentata per esercitarsi nella
guida. In una curva in prossimità di un paesino poco distante dal suo,
inavvertitamente preme un tantino sul pedale dell'acceleratore anziché su
quello del freno. La vettura sbanda leggermente finendo sul margine della
corsia di sorpasso. Un pedone, che procede in senso inverso diretto in una casa
colonica della zona, è urtato dalla vettura e finisce per terra. Se la cava,
per sua fortuna, con qualche leggera contusione e un po' di polvere sul
vestito. La ragazza, preoccupatissima e con le mani nei capelli, ferma la
macchina e corre in aiuto del malcapitato, temendo di peggio. Costatata la
lievità delle ferite causate al poveretto e profferite a getto continuo le
proprie scuse, cerca di stemperare il clima d’imbarazzo, più suo che del
malcapitato invero abbastanza calmo e bonario, proponendogli con premurosa
disponibilità di accompagnarlo per le medicature del caso nel vicino paese dove
ricorda di aver notato la targhetta di un medico sulla porta d'ingresso di
un'abitazione. E l'uomo, valutate di scarsissima entità i danni fisici
riportati nell'incidente e soprattutto avendo fretta di raggiungere la casa
colonica, dice alla ragazza con tono sbrigativo e ironico allo stesso tempo: "Signorina, che quel medico sono io!"
23 - Cane intelligente e goloso.
“Il mio Max è un cane di un’intelligenza straordinaria”, così lo definisce la signora Carmela, donna anziana e benestante, ai
coniugi Andrea e Giacomina Perinetti, venuti di buon mattino a farle visita.
Tra le due donne esistono degli ottimi e consolidati rapporti di stima e
amicizia, risalenti ai tempi del Liceo che hanno frequentato assieme.
Sposatasi, la signora Giacomina si è trasferita in altra città e in occasione
della festa patronale del paese è tornata per incontrare parenti e amici. Alla
domanda “Che cosa fa di eccezionale
quella bestiola per distinguersi dai consimili in fatto d’intelligenza” rivoltale
dalla stupita quanto incuriosita ospite, la padrona di casa, tra le tante
peculiarità del suo Max, cita l’episodio più ricorrente e nel quale il cane fornisce
prova delle sue sorprendenti qualità. “Tutte
le mattine, sul tardi – racconta la signora Carmela - metto in bocca a Max una moneta da 2 euro e gli apro la porta; lui si
reca presso l’edicola, sita nella piazza centrale del paese, e ritorna dopo
alcuni minuti col solito quotidiano e il resto”. “Possibile?”,
ribatte la signora Giacomina storcendo un po’ il muso e puntando lo sguardo
verso il marito per accertarne condivisione o diverso parere a proposito della
sua buona dose d’incredulità. La padrona di casa punta gli occhi prima sul
signor Andrea, invero imperturbabile e meno espressivo, e poi su quelli dell’amica,
cogliendone i dubbi affiorati anche sulle labbra. Considerati i legami
confidenziali con l’ex compagna di scuola, le suggerisce: “Ne vuoi la prova? Questa è più o meno l’ora in cui Max tutte le
mattine esce per il giornale, per cui mettigli in bocca del denaro e avrai conferma
di come agirà”. La signora Giacomina, più per stare al curioso gioco che
mettere in dubbio la parola dell’amica, si avvicina al cane e segue il
consiglio di Carmela che subito dopo, sorridendo e sicura di sé, apre l’uscio a
Max. Il tempo passa oltre il previsto (una cinquina di minuti) e la signora Perinetti dà spesso
un’occhiata al proprio orologio, pregustando il fallimento dell’esperimento. La
padrona di casa, per nulla preoccupata del ritardo, chiede all’amica: “Scusami, quanti soldini hai dato a Max?”. E
Giacomina spiega: “Non avendo spiccioli,
ho messo in bocca al cane un biglietto da 5 euro ben sapendo, tua giusta
assicurazione, che avrebbe portato indietro il resto…”. E l’altra in tutta
tranquillità spiega le ragioni per le quali la bestiola non è ancora rientrata:
“Max farà un pochino tardi perché, come
altre volte, sarà passato dal gelataio prima di andare in edicola”.
24 - Questione
di discendenza.
Un
ragazzo, Francesco, ha rotto il salvadanaio che da qualche tempo utilizzava per
depositarvi le paghette settimanali e, deciso a regalarsi con quei soldi,
integrati da un “ extra” dei genitori per le festività natalizie, un cucciolo
di cane. Si presenta in un canile, alla periferia del paese, di proprietà di un
contadino. Questi, spocchioso e vanaglorioso, è un fiume in piena nel riferire al
giovane cliente consigli e conoscenze (alcune verosimili, altre inventate) sull’amico
dell’uomo. Francesco ascolta a bocca aperta e “beve” tutto quello che sgorga
dalle labbra dell’uomo. Tra le tante bestiole rinchiuse nei recinti, il ragazzo
ne sceglie una e concorda il prezzo. Mentre si avvia verso l’uscita con il
cagnolino in braccio, nota che uno dei cani guardiani del contadino fa la pipì
nei pressi di un muretto con la zampa destra alzata. Incuriosito, Francesco
chiede il perché di quel comportamento dell’animale. E cosa risponde il
saccente proprietario del canile?
“Tutti i cani sollevano
la zampa per tradizione e prudenza. Si dice infatti che un loro antenato rimase
schiacciato sotto il crollo di un muretto”!
25
- Non sempre 6 diviso 2 fa 3.
In una
classe elementare il maestro, dopo aver spiegato le quattro operazioni,
interroga alcuni scolari per accertare se hanno capito. Rivolto a Serafino gli
sottopone il seguente problemino:
"Se ti
dessi 6 caramelle da dividere con tuo fratellino, quanto ne toccherebbero a
ciascuno di voi due?"
E Serafino,
un ragazzino alquanto sveglio e furbacchione, risponde prontamente:
"4 a me
e 2 a mio fratello Andrea". L'insegnante, conoscendone la bravura, chiede alquanto
perplesso:
"Come?
Allora la divisione non la sai più!"
E lo
scolaro, tra le risate dell’intera scolaresca, afferma:
"Io sì,
è mio fratello che non la sa".
Poco dopo è
interrogato Francesco, uno scolaro alquanto spiritoso e nella circostanza
deciso a imitare il collega che l'ha preceduto per compiacere i compagni.
All'ipotesi
del maestro di mettergli nella mano destra 3 mele e nella sinistra 4 e di chiedergli
cosa avrebbe in tutto, Francesco risponde baldanzosamente e senza pensarci su
un solo istante:
"Due
mani grandi, signor maestro!".
26 - La voce dell’innocenza.
Due coniugi, Giovanni e Giuseppina, vanno a far visita a una coppia di
amici in occasione della nascita del loro secondo figlio, cui è stato imposto
il nome di Alessandro. Il primogenito Francesco, quattro anni da poco compiuti,
è seduto accanto alla mamma che tiene in braccio il neonato. Il signor Giovanni
accarezza il ragazzino e gli chiede: “Sei contento che in casa è arrivato un
fratellino?”. E quello, storcendo il musino, risponde
prontamente: “Sì, però avrei voluto una sorellina". L’amico
di famiglia, un tipo estroverso, spiritoso e pronto alle battute, replica al
piccolo con tono ovviamente scherzoso: “Chiedi a papà e a mamma di
cambiarlo con una femminuccia”. Che cosa risponde Francesco nella sua
ingenuità infantile? “Ormai è troppo tardi: l'abbiamo già da quattro giorni...!”
27
- Chi cerca trova (…altrove).
Stefania, una bambina di sei anni, vivace e giocherellona, indossato il
grembiulino e con la cartella a tracolla una mattina esce da casa per andare a
scuola in un edificio poco distante dalla propria abitazione. Prima di entrare
in classe, dovrà passare dal negozio di generi alimentari, posto nell'attiguo
fabbricato, per comprare il solito panino con nutella con la moneta da un euro
che la mamma le dà quotidianamente. Quel giorno però le cose non scorrono lisce
come le altre volte: nello scendere le scale, saltellando e correndo come
sempre, le sfugge dalle manine il denaro per la colazione. Non ha il coraggio
di risalire in casa e richiederne dell’altro per timore di un prevedibile
rimprovero materno; è ferma nei pressi del portone del fabbricato mentre delle
lacrimucce le rigano il visino, e di tanto in tanto volge lo sguardo intorno
nella speranza di rintracciare la monetina. Sopraggiunge poco dopo una parente
diretta in casa sua. La donna, nel vedere la bambina in tale stato, se ne
preoccupa giustamente: teme che possa essersi fatta male cadendo o che le sia
accaduta qualcosa che ne giustifichi il pianto. Appreso il motivo, cioè l’aver
smarrito il denaro del panino, la tranquillizza e nello stesso tempo si mette
anche lei a cercare la monetina smarrita, ma senza esito. A un certo punto,
tira fuori dal proprio portamonete un euro e lo porge a Stefania la quale,
spalancando gli occhi per la gioia, esclama: "Grazie zia, meno male che
l'hai trovata tu?".
28 - La
prova del perché.
E’ sorprendente quanto spropositata la quantità di barzellette,
alcune simpatiche e altre banali, attribuita a militari dell’Arma. Alcuni
pseudo-umoristi trovano di maggiore efficacia indicare esponenti della
Benemerita come protagonisti di aneddoti, freddure e quant’altro ben sapendo
che tali “agganci” sono frutto della loro “perversa” fantasia. La seguente
scenetta, ai limiti della demenza e banalità, ovviamente inventata di sana
pianta, ne è una riprova. Alla stazione CC di un centro montano del Cosentino,
comandata da un anziano vice brigadiere, è assegnato un giovane appuntato. Questi
chiacchierando un giorno col superiore lamentava, appunto, la mole di
deplorevoli e umilianti barzellette fatta ricadere sulla categoria e che gli
creavano un certo fastidio. Non sapendo spiegarsene le ragioni, chiese
delucidazioni al comandante. Questi, che ne aveva sentite di cotte e di crude,
alcune anche con fondamenta di verità, gli rispose: “Vuoi delle prove? Eccotene una”.
In previsione della stampa dei famosi calendari, il sottufficiale
ricorda: “Sulla circolare del Comando
Generale dell’Arma trovata sulla scrivania, ho scritto per me dieci copie e
l’ho lasciata perché il sottoposto incaricato provvedesse alla prenotazione”.
E, accennando un sorrisetto ironico, aggiunge: “Che cosa ho trovato l’indomani sulla mia scrivania? Dieci copie della lettera!”
29 - Affare mancato per troppi km.
Ho
avuto con me in servizio tanti anni addietro – prosegue con altri
esempi il sottufficiale - un carabiniere,
tale Gigliotti, interessato all’acquisto di un’utilitaria di seconda mano da
utilizzare a breve essendo in procinto di andare in pensione e utilizzarla per
raggiungere il piccolo appezzamento di terreno avuto in eredità dal padre a
pochi chilometri di distanza dalla propria abitazione. Il militare in questione
conosceva un amico carrozziere, al quale aveva confidato in più di un’occasione
la necessità di dotarsi di un piccolo veicolo usato e in buona condizione,
pregandolo di tenerlo informato qualora si presentasse l’occasione. Una mattina
l’artigiano telefona all’amico carabiniere e lo informa che un suo cliente
intenderebbe acquistare una nuova vettura e privarsi di una “127” Fiat tenuta
bene, funzionante ma vecchiotta in quanto a immatricolazione (una dozzina
di anni prima). Il militare va a vedere
la macchina ma l’acquisto, pur rientrando nei limiti di spesa preventivati, non
va in porto – prosegue nel racconto il vice brigadiere - perché il tachimetro
segna un chilometraggio piuttosto alto: 124 mila. Percorsi. A distanza di qualche settimana il mio sottoposto, appreso
dal carrozziere che l’utilitaria in questione è passata di mano ad altro
acquirente e a buon prezzo dopo che un amico meccanico aveva manomesso il
tachimetro, riducendo notevolmente quel numero. Il mancato acquirente, cioè il
carabiniere in pensione, se la prese a male nei confronti del carrozziere per
non averlo informato della…rettifica.
“Con un minor numero di chilometri – disse Gigliotti al carrozziere
– la vettura dovevi venderla a me. E’
dire che te ne avevo parlato prima…!”.
30 - Discorsi tra alienati.
In un ex
ospedale psichiatrico del Meridione i medici in servizio presso uno dei reparti
di quella struttura, nel fare una mattina il solito giro di visite nelle corsie
e nelle stanzette riservate a degli infermi da tenere necessariamente separati
da tutti gli altri per diverso grado d’infermità, incontrano in corridoio due
ricoverati tranquilli ma con disturbi psichici e una lucidità mentale a volte
minima e altre con punte preoccupanti. Il primario, un tipo affabile e
scherzoso, chiede al primo: "Tu chi sei?" e il degente afferma
prontamente: "Iju sùgnu 'u papa" (io sono il Papa), accompagnando le
parole con la mano destra a indicare un cappello di carta, a forma di tiara,
portato in testa. Ribatte il medico: "E chi te l'ha detto?".
Il paziente, volti gli occhi in alto, alza l’indice destro verso il cielo. A
questo punto apre bocca l'altro ricoverato per chiarire: "O mìadicu,
'nun ci cridìti ch'à iju a illu 'ull'haiju mai fhàttu papa!" (dottore,
non credetegli perché io papa non l'ho mai nominato). * * *
Meglio di qua o di là? Rimanendo
sull'argomento.
Alcuni signori, trovandosi nei pressi del recinto di quell'ospedale, osservano
incuriositi alcuni alienati e infermieri che passeggiano nel cortile. Uno dei
pazienti si avvicina alla rete e, rivolto alle persone che stanno all'esterno,
domanda:
"Cùmu
vi tràttanu 'lluocu addìntra?" (Come vi trattano lì dentro?).
31 - Firma?
Meglio abbondare.
All’ufficio anagrafe del Comune una mattina si presenta un
giovane, Michele, da qualche giorno dimesso da una struttura sanitaria dove era
stato ricoverato per una forma, sia pure leggera, di disturbo psichico.
Richiede un certificato da allegare alla pratica per l’esenzione del ticket sui
medicinali. Al Comune ha luogo una curiosa scenetta. L'impiegato annota su
apposito modulo la richiesta del documento, previa trascrizione dei dati
anagrafici del richiedente. Terminata la compilazione, gira il foglio verso
l’interessato e lo invita ad apporre la propria firma su giusto rigo in calce.
Michele da piccolo ha dato una mano ai genitori nella conduzione di un piccolo
podere e a scuola ha frequentato le prime classi. Sa leggere e scrivere poco,
ma dopo i problemi di salute accusati da qualche anno, gli si rende difficile
prendere un libro o una penna, per cui si comporta come un analfabeta. Difatti,
all’impiegato restituisce il modulo facendogli presente di non essere in grado
di apporre la propria firma. E l’altro, preso atto della situazione, lo invita
a fare un segno di croce. Michele, al quale il disturbo mentale evidentemente
ha lasciato qualche traccia, con mano incerta disegna due croci nel punto
indicatogli e poi restituisce il foglio all’addetto dell’ufficio. Questi,
osservata l’insolita firma, invero più per curiosità che per rimprovero,
domanda al giovane: "Ti ha chiesto di fare un solo segno di croce;
come mai due?"
E Michele puntualizza: “Cognome e nome!"
32 - Paradiso e inferno?
L’uno vale l’altro.
Al
capezzale di un vecchietto di campagna, tale Serafino, un uomo semplicione e
con più di un dubbio in testa sull’esistenza di un “dopo”, è chiamato il curato
don Raffaele per somministrare l’estrema unzione. Accostatosi al lettino del
moribondo, come primo approccio il sacerdote gli chiede amorevolmente: “Dove pensate di andare, più precisamente
dove vorreste trasferirvi dopo aver lasciato questo mondo, nell’inferno o nel
paradiso?”. Serafino richiama le ultime forze, si stringe un tantino nelle
spalle e, rivolti gli occhi socchiusi verso l’interlocutore, con un fil di voce
lascia trapelare un mezzo di convincimento che un’altra vita e un’altra
…destinazione stanno per attenderlo. Incertezza quasi assoluta, invece, gli
frulla in testa: non sa decidersi quale scelta indicare come risposta al
quesito posto dal sacerdote e riguardante il suo prossimo “trasloco” nell’al di
là. Tanto perché non si è mai interessato né alcuno gli ha mai parlato dei
“contenuti”, dei vantaggi e svantaggi sia dell’uno e sia dell’altro sito extra-terreno.
E a Don Raffaele, che attende di conoscere la preferenza del moribondo riguardo
alla destinazione extra-terrena - evidente
il comprensibile disegno del prete di agganciarsi a essa per poi scegliere le
parole giuste mirate a condurre l’infermo sulla retta via, cristianamente
parlando - Serafino timidamente puntualizza: “S’u paradìsu e lu ’mpìarnu ci sùnu da’ parti ’illà, e cci vùagghju
cridìri, allùra mi stànu beni tutti i dùa” (Se Paradiso e inferno esistono dall’altra parte, e voglio crederci,
allora mi vanno bene entrambi). E, parafrasando inconsapevolmente una
simpatica battuta dell’umorista statunitense Mark Twain, chiarisce: “Parìanti e paisàni sicuramenti ’ndi trùavu
sia a ’nu pùastu e puru all’àutru; pirciò ’a cumpagnìa ’un mi manca” (Parenti e paesani certamente ne troverò sia
in un posto e sia nell’altro; pertanto la compagnia non mi mancherà). Dopo
una brevissima pausa, fa un ulteriore piccolo sforzo e una profonda
inspirazione per prendere fiato, poi con tono di voce supplichevole chiede al
curato: “Don Rafhè, cunsigghjiàtimmi
vùa” (Don Raffaele, datemi voi un
consiglio). A questo punto al sacerdote è spianata la via per il…recupero
di un’anima, obiettivo della sua missione, e con gioia abbraccia Serafino
sussurrandogli amorevolmente: “Fratello
mio caro, l’inferno non fa per te; in Paradiso troverai i parenti e gli amici
buoni”.
33 - Un consiglio adeguato ai tempi.
Una mattina
di buon’ora, percorrendo un viale periferico del paese, una ridente località
pre-montana, Gennaro (nome di fantasia), giovane operaio alle dipendenze di
un’impresa edile, nota un foglietto perso da un vecchietto che lo precede nella
stessa direzione di marcia, a un centinaio di metri di distanza. Lo raccoglie
per riconsegnarlo al legittimo proprietario, il quale però a un bivio scompare
alla vista del giovane. Questi apre il foglietto sperando di trovarvi qualche
indizio o anche annotazioni importanti al fine di far pervenire in qualche modo
il biglietto a chi l’ha smarrito. In esso è riportata a matita solamente una
serie di numeri, cinque per l’esattezza, preceduti dalla sigla NA. Più per
scrupolo che per ottimistiche previsioni di vincita, decide di giocarli al
lotto sulla ruota di Napoli. Al gestore del botteghino Gennaro porge delle
monete assieme al biglietto pregandolo di ripartire come meglio crede, non
essendo egli esperto di scommesse e quant’altro. Presa la ricevuta con la
giocata e la ripone nello sgualcito portafoglio. L’estrazione dei numeri del
lotto è fissata per la sera successiva. Colpo di fortuna oppure la classica
manna del cielo per chi di soldi non ne ha mai posseduti a sufficienza né visti
tanti? Come fu o come non fu, Gennaro ha azzeccato la “cinquina” sulla ruota di
Napoli e la vincita comporta qualcosa come una trentina di migliaia di euro.
Felice come non mai, riferisce lo strano quanto fortunato ritrovamento del
foglietto al padre, un anziano contadino dalle classiche “scarpe grosse e cervello
fino”. E gli chiede un consiglio. “O
pa’, sicundu’attìa - chiede -
ch’haju ’i fhari ’ccu ’sti sordi: m’accàttu ’na màchina ’ppì jìri alla fhatiga,
o mi trùavu ’na bella quatràra e mi spùsu?” (Padre, secondo te cosa devo farne di questi soldi: comprare una
macchina per andare al lavoro, oppure trovare una bella ragazza e sposarmi?). E
il contadino, uomo navigato e conscio delle tante brutture e indecenze dei
tempi che corrono, gli suggerisce senza pensarci su un solo istante e storcendo
un po’ il muso: “Jinnà, è miàgghju ’mu
t’accàtti ’a machina, ch’ha si ta fhùttinu, armènu t’indi accùargi subitu. ’Ppi
mugghjèrta…!” (Gennà, è meglio che ti
compri una macchina perché, nel caso se la fottono, te ne accorgerai subito.
Per tua moglie…!).
34 - Col tempo i rumori…svaniscono.
Due sposini, Antonio e Marcella, entrambi di modesta famiglia e
cultura, hanno ricevuto in eredità da una zia di lei un discreto gruzzolo e han
deciso di acquistare una casetta in periferia dove i costi sono più
accessibili. Con il responsabile dell’agenzia immobiliare si recano a visitare
un piccolo fabbricato rurale, del quale hanno trovato di loro interesse,
soprattutto dal punto di vista economico, la foto esposta nella vetrina
dell’ufficio. L’intermediario fa vedere i tre vani e accessori dell’immobile e
ne descrive con enfasi le caratteristiche, invitando i clienti a cogliere
l’occasione di un grande affare. Marcella nota che la zona è piuttosto rumorosa
giacché il fabbricato si trova in un lotto di terreno confinante con una linea
ferrata da un lato e un’autostrada dall’altro. La cosa la rende un po’
perplessa sull’acquisto. L’agente fa notare che dopo una diecina di giorni
chiunque si abituerà alla situazione e ai rumori non si farà più caso. Antonio,
che in fatto di acume non brilla certamente, interviene per convincere la
mogliettina a non lasciarsi scappare quell’affare, suggerendole come risolvere
il problema da lei sollevato. “O Marcè,
s’i rumùri si sìantunu sùlu ‘ppi lla prima simàna, fhacìmu ‘na cosa: chilli
primi jùarni putìmu durmìri alla casa di màmmata!” (Marcella, se i rumori si sentiranno solo per la prima settimana, potremmo
fare una cosa: in quei primi giorni dormire in casa di tua madre).
35
- Ortopedia e pediatria: stesso reparto?
Una contadina, che con gli studi non è andata oltre le
scuole dell’obbligo, si procura una distorsione al piede destro ed è
consigliata da una conoscente di raggiungere l’ospedale per le cure del caso.
Nell’atrio non incontra alcun dipendente, tra personale medico e paramedico,
per cui si pone davanti al pannello che indica i reparti e i piani in cui sono
sistemati.
Tra le tante indicazioni, alcune a lei poco
comprensibili e altre ancora meno, si sofferma su quella che le sembra riguardi
il suo caso. Sale al terzo piano e si presenta nella stanza della caposala alla
quale chiede:
“Pirdunàtimmi, è ‘ccà ch’a si cùranu i stùarti alli
pìadi, ch’a m’indàju fattu una a 'sta gamba?”
(Perdonatemi, è qui che si curano le storte ai piedi
perché me ne sono procurata una a questa gamba?).
L’infermiera, gentile e premurosa, fa presente
alla contadina di aver sbagliato reparto e la invita a scendere al primo piano
ed entrare in quello a destra delle scale scendendo.
La contadina, un po’ sorpresa, aggiunge:
“Ma ‘unn’è chìsta 'a pediatrìa?” (Ma
non è questo il reparto di pediatria?) .
E la caposala, per non mettere a nudo l’ignoranza
della contadina, intelligentemente chiarisce: “Sì, ma questo reparto è solo per i bambini. I grandi
devono andare sotto”.
36 - Senza ombrello pioggia in testa.
Il tempo non promette bene. Cielo coperto e
nubi grigiastre minacciano pioggia. La signora Maria, una donna che in fatto di
spese è piuttosto prudente e in quelle necessarie fa buon viso a cattivo gioco,
nel senso di sborsare il meno che sia possibile. Le serve un parapioggia al più
presto dovendo recarsi al mercatino rionale per degli acquisti necessari. La
distanza da casa sua non è molta neppure poca, abitando lei in periferia. Dalle
sue parti non incontra alcuno degli immigrati che vendono ombrelli per le
strade a prezzi quasi da…offerta. Entra nel primo negozio, dove si commercia
tra le altre cose quel tipo di accessori e al titolare, fa presente ciò che le
occorre. Questi preleva da un contenitore alcuni modelli di vario colore e
fantasia e pure dai costi differenti, ponendoli sul bancone. La signora Maria
osserva attentamente e, dopo tanto girare e rigirare nelle mani, mostra al
negoziante quello di suo gradimento chiedendo il costo: “Signò, ’ppì cchìssu ci vonu dùdici euri” (Signora, per quello lì occorrono 12 euro). La cliente trova
eccessiva per la propria tasca la somma richiesta dal commerciante e poiché il
prezzo di altri parapioggia, sui quali la donna ha poi fatto ricadere la
propria eventuale scelta, è superiore al precedente, in certo senso delusa e
sconfortata domanda: “Dicìtimmi nu pocu,
’un d’avìti ancùnu ’ppi spindìri mènu ’i deci euri, màssimu setti o ùattu? Chi
putèra pigghjàri?” (Ditemi un po’,
non avete qualche altro ombrello per il quale spendere meno di dieci euro,
massimo sette-otto? Che cosa potrei prendere?”. E il titolare del negozio,
tipo navigato e di facile battuta, risponde con simpatica ironia: “’nu ‘mbrèlla sgasciàtu e nu pocu d’acqua” (Un
ombrello malridotto e un po’ d’acqua!).
37 - Comprare la torre di Pisa? Non è un…affare.
La
presente facezia ricorda per sommi capi la famosa scenetta del film
“Totòtruffa” del 1962 nella quale il principe della risata, appunto Totò,
spalleggiato nella circostanza dall’altrettanto noto comico napoletano Nino
Taranto, riesce a turlupinare un turista italo-americano in cerca di business,
fregandogli cinquecentomila lire intascate a titolo di caparra sull’ipotesi
truffaldina di vendergli la fontana di Trevi. L’argomento della simpatica
scenetta è lo stesso di quello su cui era incentrato l’episodio romano, ma
diversi i ruoli dei protagonisti, l’oggetto dell’eventuale trattativa e pure il
finale. Carmelo, un anziano emigrato in Canada, dove ha lavorato sodo e ha
fatto fortuna, rientra in Italia per rivedere parenti e amici residenti in un
paesino della pre-Sila catanzarese. Ha deciso di inframmezzare la permanenza
nel luogo natio con un giro turistico per visitare alcune delle più rinomate
città italiane, mai viste prima. E per soddisfare il desiderio di un
affezionato nipote, Tommaso, che non ha mai lasciato paese e dintorni per
lavorare nei campi col padre, decide di condurlo con sé in gita e offrirgli uno
spaccato di gioia e di luce nella sua vita di routine…campagnola. Dopo Roma,
l’itinerario prevede una tappa a Pisa per poi raggiungere Venezia. Nella
ridente cittadina toscana, in Piazza dei Miracoli, Carmelo osserva della gente
che munita di biglietto sale sulla torre pendente e da persona intraprendente e
in previsione di un grosso affare, si volge verso il nipote e gli confida
speranzoso una... brillante idea: “Caru
Tom, me vulèsse ’mpurmàri quantu custa sta bella turra, ’ppicchì sugnu sicùru
ch’a i sordi ccùlli turisti si fhànu ccùlla pala. Lassèra ’u Cannatà e m’ìndi
vinèra du tuttu ccà!” (Mio caro
Tommaso, mi vorrei informare quanto costa questa bella torre, perché sono
sicuro che i soldi con i turisti si facciano con la pala. Lascerei il Canada e
me ne verrei definitivamente qui).
Tommaso,
osservando sbalordito e preoccupato quella struttura inclinata, sussurra in un
orecchio allo zio coprendosi lateralmente la bocca con la mano per non essere
sentito da persone vicine: “Zù Carmè, ’un
te cumbèna ’mu t’accàtte. Chìssa ’un passa assai ch’a cade!” (Zio Carmelo, non ti conviene comprarla.
Questa non passerà molto tempo che cadrà giù).
38 - Il denaro fa gola a tutti.
Una
nave da diporto appartenente a una facoltosa famiglia italo-americana getta
l’ancora in un porto della Sicilia. E’ nel programma dei proprietari una sosta
di alcuni giorni per rivedere parenti e amici e pure per una visita ad alcune
amene località dell’isola. Dalla scaletta scende un’anziana signora, cappello a
tesa larga in testa e in braccio un cagnolino di razza pregiata, seguita poco
dopo dalle due figlie con rispettivi consorti e nipoti. Nel giardino di casa di
una cognata, la signora Agatina (è il nome della proprietaria
dell’imbarcazione) mette a terra Max, la bestiola, che in un batter d’occhio
s’infila nelle larghe maglie del recinto e si allontana tra il disappunto e la
preoccupazione della padrona. In tanti vanno in cerca del cagnolino, ma di Max
nessuna traccia. L’italo-americana è molto legata all’animale e pur di riaverlo
è disposta a ricompensare con denaro chi glielo riporterà. Si reca subito
presso il comando di Polizia Urbana per denunciare lo smarrimento di Max,
informando i presenti che è prevista una ricompensa di diecimila dollari
canadesi per la persona che lo rintraccerà. La signora Agatina, tornata in casa
dei parenti, ricorda di non aver fornito dettagli identificativi della bestiola
e ritorna quasi subito al comando dei vigili. Pur in orario di apertura, la
donna non trova nessuno. Gli uffici stranamente sono chiusi e al portinaio ne
domanda la ragione. Questi, stringendosi nelle spalle, confessa: “Signora, francamente non ne ho idea.
Ricordo di aver notato tanti vigili uscire di corsa dagli uffici e di aver sentito dire uno di loro che si
andava tutti ricerca di Max, che non so chi sia”.
39 – Due miracoli…mancati.
La loro amicizia
risale ai primi anni scolastici che hanno frequentato insieme, essendo
residenti con le rispettive famiglie nello stesso rione: uno, Giovanni, ha una
malformazione ossea al piede destro per cui incontra difficoltà nel camminare;
l'altro, Danilo, è affetto da balbuzie. Una mattina apprendono che un
vecchietto, una specie di santone, di un centro abitato non molto distante dal
loro è dotato di poteri soprannaturali e che ogni giorno riesce a risolvere a
tanta gente, che accorre da ogni parte del circondario, casi per i quali medici
specialisti hanno dovuto allargare le braccia in segno d’impotenza. Il mattino
seguente, speranzosi di trovare favorevole disponibilità nel taumaturgo a
guarirli dei rispettivi difetti fisici, prendono la corriera e raggiungono il
paese dei...miracoli. Venuto il loro turno, s’inginocchiano davanti al santone
e attendono che questi attivi i suoi poteri. Il vecchietto, a un certo punto,
si rivolge a Giovanni e gli ordina: "Giovanni, alzati, alzati e
cammina"; subito dopo poggia la mano sotto il mento di Danilo e gli
impone: "Danilo, parla, parla".
Il giovane balbuziente, deluso e sconfortato
nel distogliere lo sguardo dall'amico, replica prontamente: "Maè..maè..stru,
e..chi hàju i..par..rari: a..avì..ti..diciù..tu a..adìllu mu..mu si..aza ed è
ca..cadù..dùtu 'ntèrra!" (maestro, a cosa serve parlare: avete
detto a Giovanni di alzarsi e lui è caduto per terra).
40 – I tre amici e il furto di ciliegie.
Tre giovani amici per la pelle, tra l'altro affetti
dall'handicap che ciascuno purtroppo porta dalla nascita, un bel giorno
decidono di raccogliere delle ciliegie in un podere alla periferia della città,
in cui in altre occasioni e per altri frutti non hanno mai incontrato
proprietari o altro guardiano. Convinti che anche questa volta non troveranno
persona che possa disturbarli o distoglierli dal realizzare la loro bricconata,
abbassano uno dei fili spinati della recinzione ed entrano nel frutteto. I
compiti se li sono assegnati in partenza: Mario, affetto da sordità, rimane nei
pressi del recinto a far da palo; Vincenzo, che in fatto di vista ha tanto da
invidiare agli altri due, sale sull'albero per la raccolta delle ciliegie;
Carmelo, zoppicante per una malformazione alla gamba sinistra, se ne sta ai
piedi della pianta sollevando con le mani il capace cestino che l'amico tra i
rami dovrà riempire. A un certo punto Mario, il sordo, rivolto ai compagni,
avvisa quasi sottovoce:
"O guagghjiù, pàrica hàjiu sintùtu 'nu
rumùri..." (giovani, mi sembra di aver
sentito dei rumori).
Vincenzo, il miope, si porta la mano destra a forma di
tettoia sugli occhi per vedere meglio e aggiunge:
"Si 'un sbàgghjiu, viju 'na pirsùna ch'ì
veni...” (se non sbaglio, vedo una persona in arrivo);
Carmelo, lo zoppo, posa il cestino per terra e invita
gli amici a seguirlo dicendo:
"E 'un fhujìmu...?” (e
non fuggiamo...?).
41 – Una telefonata... dall'altro mondo
Non coincide l’inizio delle ferie concesse dalla sua
azienda con il periodo assegnato alla moglie Filomena dipendente di un’altra, e
il rag. Gennaro, un impiegato parastatale napoletano, prepara la valigia e
prende il volo per una bella vacanza a Formentera, una delle più ridenti e
rinomate mete turistiche del Mediterraneo. Sua moglie Filomena, che per la
verità era ed è dell’idea (non prevalsa) di andare in Grecia,
dovrebbe raggiungerlo tra qualche giorno. In terra di Spagna, sereno e felice
come non mai, il signor Gennaro si gode le comodità dell’hotel posto su una
rupe e collegato alla sottostante spiaggia da una bianca scaletta. Seduto ai
bordi della piscina, con indosso accappatoio e occhiali da sole, tra
un’occhiata e l’altra lanciata sull’animato “panorama” (velieri e
barche di vario pregio spiccano sulle azzurre acque), degusta una
coppa di gelato abbellita da ombrellino e bandierina. Poco prima di sedersi a
tavola per il pranzo, preso da un’incontenibile euforia, sente il bisogno di
telefonare subito a Filomena. Intende darle conferma che la scelta della
località spagnola è stata azzeccatissima, il consiglio di togliersi dalla mente
Grecia e Partenone e la raccomandazione di raggiungerlo al più presto. Tra
mille frasi ed emozioni che gli frullano in testa e pronte a erompere dalle sue
labbra, il ragionier Gennaro alza la cornetta del telefono in sala e compone il
numero di casa. La linea è alquanto disturbata, forse per la distanza o per
altro motivo. Lui non se ne preoccupa più di tanto. Spera solo che la moglie
ascolti tutto e condivida le opinioni e l’entusiasmo che sta per trasmetterle a
mezzo quel filo. “Cara sposa – le dice senza neppure
domandarle come sta - sono arrivato in un posto meraviglioso. Qui regna
la pace. C’è tanta luce e pure tanto da vedere con uno stupendo panorama a
cielo aperto. E’ un mondo quasi irreale. Si sta davvero da pascià, senza
pensieri e senza preoccupazioni di sorta. Qui ti troverai benissimo anche tu”.
E continua senza prender fiato: “Ho tanto desiderio di rivederti e
abbracciarti. Mi raggiungerai dopodomani e insieme ci godremo quest’angolo di
Paradiso”. E chiude la frenetica telefonata così: “A proposito
un consiglio, ricorda di non portare tanti vestiti com’è tuo solito, soltanto
quello scuro per il viaggio, perché qui fa caldo, un caldo a volte…infernale ”. Un
attimo prima di riagganciare la cornetta, il ragioniere sente un rumore simile
a quello prodotto da un peso caduto per terra. Non se ne preoccupa più di
tanto, attribuendolo verosimilmente ai disturbi sulla linea. E qualcosa di
pesante è caduta per terra per davvero. E’ il corpo senza vita della signora
Amalia, una pensionata napoletana, pensierosa e inconsolabile per la recentissima
morte del marito. Quell’invito-sollecito “telefonico” a raggiungere subito il
consorte nell’al di là, non se lo aspettava proprio, lei che, pur sorretta da
solida fede cristiana, confidava in una vita terrena ben più lunga, in una
permanenza a lungo termine su questa…sponda. Ma il caso ha deciso diversamente.
E per colpa di chi? Del ragioniere Gennaro che, nella fretta di parlare con la
moglie, ha involontariamente invertito le ultime due cifre del numero di
telefono di casa…!
42 – Anime nel cimitero a...colloquio.
Due giovani, Mario e Giovanni,
appassionati di moto sono rimasti coinvolti in drammatico incidente stradale e
purtroppo sono deceduti entrambi. Quotidianamente nel cimitero del paese le
loro anime passeggiano per i viali discutendo del più e del meno. Una sera
Giovanni osserva;
‘‘Mariù, ormai sti straticìalli e sti tombi
’i canuscìmu bùani. Ppicchì ’un arrivamu allu paisi, armeni llà ancuna cosa ’i
nùavu ’a vidìmu…’’ (O Mario, ormai queste stradine e queste
tombe le conosciamo abbastanza. Perché non andiamo in paese, almeno lì qualcosa
di nuovo la vedremo di certo...). Risponde Mario sollevando delle 'giuste'
osservazioni:
‘‘E cùmu ci arrivàmu? ’u paìsi è luntanu’’(E come possiamo arrivarci? Il paese è
alquanto distante). Il collega puntualizza:
‘‘'U sà cchi fhacìmu? Ni pigghjiàmu a motu
du campusantàru quandu illu dormi’’ ( Lo sai cosa faremo? Prenderemo la
motocicletta del custode quando lui dorme).
E cosi fanno. Mentre sta per sedersi sul
sellino posteriore, Mario dice a Giovanni che è alla guida:
‘‘Aspetta ’nu pocu, ch’a màyiu scardàtu ’na
cosa’’ (Aspetta un momento che ho dimenticato una cosa) e si reca al proprio loculo. Poco dopo, con una lapide
sotto il braccio, raggiunge il compagno che gli chiede il motivo di
quell'oggetto. E Mario precisa:
‘‘Giuà, si ni ferma ’a polizia armènu ’nu documentu l’avìmu!’’ (Giovanni, se ci dovesse fermare la polizia almeno avremo un
documento!)
43 – Meglio cambiare
Giovanna e Alfredo, due coniugi di una certa età, una sera di sabato decidono di uscire e cenare fuori. Con la macchina raggiungono una ridente località turistica a pochi chilometri di distanza, nota per la presenza di caratteristici ristoranti per tutti i gusti e tutte le tasche. Davanti ad uno di essi la donna nota uno slogan accattivante accanto al logo del locale: "Qui si mangia come a casa vostra". Il particolare è stuzzicante e la signora Giovanna fa notare la scritta ad Alfredo il quale, presa visione dello slogan, storce il muso e propone riprendendo il cammino: "Mìagghiu 'mu jàmu a nàutra parti!" (Meglio se andiamo ad altro ristorante).
Restando in tema di ristoranti. Due anziani coniugi decidono una sera di andare a cena fuori e optano per un ristorante in periferia noto per la carne alla brace. Prendono posto ad un tavolo già predisposto con tovaglioli, posate, bicchieri e due caraffe, una piena di vino e l'altra di acqua, e con al centro un adornante vaso di fiori. Al cameriere che con in mano taccuino e penna attende di ricevere le ordinazioni, il signor Giacinto (nome di fantasia), affermato artigiano, raccomanda: "Come primo piatto per me porterai una minestrina in brodo di pollo e per secondo una bella bistecca ai ferri con contorno di insalata verde...".
Il giovane sta per rivolgersi alla signora ma l'artigiano ne richiama l'attenzione e gli dice: "La mia signora invece preferisce come primo piatto anche una bistecca ai ferri con patatine fritte per contorno, mentre come secondo piatto un brodino con pane abbrustolito".
Il cameriere,giustamente sorpreso, fa notare al signor Giacinto l'inusuale inversione delle portate, sostanzialmente identiche. Al che l'artigiano fa segno al giovane di accostarsi e gli confida nell'orecchio perché non sentano altri commensali:"Purtroppo io e mia moglie disponiamo di una sola dentiera, in quanto l'altra è in riparazione".
44 – Risposta imprevista
Giovanni e Riccardo, amici d'infanzia ed entrambi sposati, s'incontrano una mattina sul corso principale della loro cittadina e decidono di consumare la solita tazzina di caffè in un bar del posto. Seduti a un tavolino sorbiscono l'aromatica bevanda e discorrono del più e del meno. A un certo punto Giovanni, rivolto all'amico che trova meno espansivo del solito, gli domanda:
"Scusami, Riccardo, ti vedo un po' disturbato, qualche problema?".
Dopo aver sorbito l'ultimo sorso di caffè, Riccardo, posata la tazzina sul piattino e con gli occhi abbassati sulla stessa, prende coraggio e dichiara:
"Questa mattina io e mia moglie abbiamo litigato forte per una mia manchevolezza". Prende fiato e aggiunge:
"Poi lei, per la verità, è venuta verso di me in ginocchio e...."
Giovanni, lo interrompe chiedendo incuriosito:
"Cosa ti ha detto, ti ha chiesto scusa?".
E Riccardo: "No. Vieni fuori da sotto il letto, mascalzone!"
45 – Le bugie hanno le gambe corte.
Il signor Arnaldo, pensionato con l'hobby della pesca, una mattina prende lenza, retino e contenitore ittico e si appresta a uscire. Saluta la moglie Concetta con questa raccomandazione: "Cara mogliettina mia, vado a pescare e anche questa volta sono certo porterò qualcosa da cucinare sulla piastra". E aggiunge, nel mentre sta per chiudersi la porta alle spalle: "Per il pranzo pensa tu solo al primo piatto, per il secondo provvederò io. Di sicuro ti farò leccare i baffi!"
Rientra a casa nella tarda mattina, visibilmente contrariato e alla moglie, allargando le braccia e con gli...inutili attrezzi nelle mani, confida scuotendo la testa: "Purtroppo non è andata come speravo. Nessun pesce ha abboccato alla lenza. Si vede che non era la giornata adatta per la pesca!".
E la signora Concetta, per nulla sorpresa del rientro a mani vuote del consorte, premurosa e comprensiva com'è suo solito, lo consola dicendo: "Non ti preoccupare Arnà, ho provveduto io anche per il secondo con altra pietanza che a te piace tanto, una frittata di asparagi. Sapevo che questa volta in fatto di pesci a tavola neppure l'ombra".
-"...e come hai fatto a prevederlo?", chiede apparentemente sbalordito il pensionato.
E quella: " Arnà, hai dimenticato il portafogli sul comodino!!!".
46 – Si scoprono gli altarini dei falsi mendicanti.
Restando in tema di ristoranti. Due anziani coniugi decidono una sera di andare a cena fuori e optano per un ristorante in periferia noto per la carne alla brace. Prendono posto ad un tavolo già predisposto con tovaglioli, posate, bicchieri e due caraffe, una piena di vino e l'altra di acqua, e con al centro un adornante vaso di fiori. Al cameriere che con in mano taccuino e penna attende di ricevere le ordinazioni, il signor Giacinto (nome di fantasia), affermato artigiano, raccomanda: "Come primo piatto per me porterai una minestrina in brodo di pollo e per secondo una bella bistecca ai ferri con contorno di insalata verde...".
Il giovane sta per rivolgersi alla signora ma l'artigiano ne richiama l'attenzione e gli dice: "La mia signora invece preferisce come primo piatto anche una bistecca ai ferri con patatine fritte per contorno, mentre come secondo piatto un brodino con pane abbrustolito".
Il cameriere,giustamente sorpreso, fa notare al signor Giacinto l'inusuale inversione delle portate, sostanzialmente identiche. Al che l'artigiano fa segno al giovane di accostarsi e gli confida nell'orecchio perché non sentano altri commensali:"Purtroppo io e mia moglie disponiamo di una sola dentiera, in quanto l'altra è in riparazione".
44 – Risposta imprevista
Giovanni e Riccardo, amici d'infanzia ed entrambi sposati, s'incontrano una mattina sul corso principale della loro cittadina e decidono di consumare la solita tazzina di caffè in un bar del posto. Seduti a un tavolino sorbiscono l'aromatica bevanda e discorrono del più e del meno. A un certo punto Giovanni, rivolto all'amico che trova meno espansivo del solito, gli domanda:
"Scusami, Riccardo, ti vedo un po' disturbato, qualche problema?".
Dopo aver sorbito l'ultimo sorso di caffè, Riccardo, posata la tazzina sul piattino e con gli occhi abbassati sulla stessa, prende coraggio e dichiara:
"Questa mattina io e mia moglie abbiamo litigato forte per una mia manchevolezza". Prende fiato e aggiunge:
"Poi lei, per la verità, è venuta verso di me in ginocchio e...."
Giovanni, lo interrompe chiedendo incuriosito:
"Cosa ti ha detto, ti ha chiesto scusa?".
E Riccardo: "No. Vieni fuori da sotto il letto, mascalzone!"
45 – Le bugie hanno le gambe corte.
Il signor Arnaldo, pensionato con l'hobby della pesca, una mattina prende lenza, retino e contenitore ittico e si appresta a uscire. Saluta la moglie Concetta con questa raccomandazione: "Cara mogliettina mia, vado a pescare e anche questa volta sono certo porterò qualcosa da cucinare sulla piastra". E aggiunge, nel mentre sta per chiudersi la porta alle spalle: "Per il pranzo pensa tu solo al primo piatto, per il secondo provvederò io. Di sicuro ti farò leccare i baffi!"
Rientra a casa nella tarda mattina, visibilmente contrariato e alla moglie, allargando le braccia e con gli...inutili attrezzi nelle mani, confida scuotendo la testa: "Purtroppo non è andata come speravo. Nessun pesce ha abboccato alla lenza. Si vede che non era la giornata adatta per la pesca!".
E la signora Concetta, per nulla sorpresa del rientro a mani vuote del consorte, premurosa e comprensiva com'è suo solito, lo consola dicendo: "Non ti preoccupare Arnà, ho provveduto io anche per il secondo con altra pietanza che a te piace tanto, una frittata di asparagi. Sapevo che questa volta in fatto di pesci a tavola neppure l'ombra".
-"...e come hai fatto a prevederlo?", chiede apparentemente sbalordito il pensionato.
E quella: " Arnà, hai dimenticato il portafogli sul comodino!!!".
46 – Si scoprono gli altarini dei falsi mendicanti.
Qualche volta
capita che involontariamente si scoprano gli altarini e che i protagonisti, rei di
burle e/o truffe, ne paghino le conseguenze. Il curioso episodio – si dice –
sarebbe accaduto in una importante città del nord. Due mendicanti, Basilio e
Domenico, accovacciati davanti l’ingresso di una basilica, chiedono
l’elemosina ai fedeli e/o ai turisti che nella piazzetta antistante ammirano
il portale e la stupenda struttura del tempio.
Il primo in
abiti consunti e un vistoso paio di occhiali neri a comprova di una cecità
completa, tiene un berretto nella mano destra allungata in avanti e nella
sinistra un bastone; l’altro, anche egli con addosso un vestito malridotto,
barba lunga e un consunto zainetto a tracolla, seduto su un foglio di cartone, gambe
incrociate, tiene davanti ai piedi una ciotola con delle monetine ricevute in
offerta e un vistoso cartello con la scritta "sordomuto". I due non vanno affatto d’accordo per ovvi motivi di concorrenza e di contestata...titolarità del posto. A Domenico
si avvicina un’anima pia, una donna anziana che apre il borsellino in cerca di
una moneta da dare in elemosina. Ne tira fuori una da un euro e la porge al mendicante
facendogli capire con cenni della bocca e delle mani di volere come resto una da
50 centesimi destinata al cieco che indica con l’indice destro.
Il sordomuto,
dimenticando di essere (o meglio, di
apparire) tale, suggerisce sottovoce alla donna: “A chìllu ’un cindi dati sordi ch’a unnè cicàtu. Porta 'na lenti nìgura
e lu bastuni, ma ci vidi rigulari!” (A
quello non gli date soldi perché non è cieco. Porta bastone e occhiali neri, ma
ci vede regolarmente!). A questo punto si scoprono gli altarini. La
vecchietta non la prende bene col finto sordomuto, oltretutto scorretto nei
confronti del collega “cieco”, e chiede a Domenico la restituzione dell’euro perché
non le va di essere truffata da chi si attribuisce infermità che invece non ha.
E quello, facendo buon viso a cattivo gioco, toglie dalla ciotola la moneta in questione e frettolosamente la ridà
alla donna perché vada subito via, prima che altri passanti possano accorgersi
del…travestimento suo e, purtroppo, anche dell’altro mendicante.
simpaticissimi tutti questi aneddoti dai quali traspare un umorismo a tratti ironico e a tratti pungente; ma sempre con garbo e quindi gradevolissimi. Complimenti all'autore. Angelo P.
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