05 - NIENTE FIRMA PER ... OMONIMIA


Quasi certamente diversi lettori troveranno di loro pieno gradimento i servizi presentati in questo spazio, perché il loro interesse sarà suscitato dalle curiosità, dalle battute esilaranti, dagli aneddoti divertenti attribuiti, alcuni legittimamente e altri dai soliti “si dice” (in quest'ultimo caso mancano prove e testimonianze), a concittadini del passato. Tali protagonisti, veri o presunti, per il loro modo di essere o di agire, erano talmente noti – e qualcuno ne ha buona memoria - da essere considerati giustamente autentici personaggi. E’ giusto concedere un meritato primo piano ad alcune di queste “icone” locali che, per una ragione o per l’altra, hanno lasciato un’indelebile traccia nel libro dei … ricordi di Lamezia Terme e dintorni. Ne cito alcune: l’orefice Nicola Rocca, il vigile Mario Anzani Ciliberti, il pizzaiolo Achille Cioffi, il sarto Vincenzo Giampà, il primario ortopedico prof. Diego Menniti, l’ex collega Pepè Pandolfo, ecc.
Tanti altri personaggi del passato meriterebbero stessa passerella per le loro “gesta”, per le battute geniali oppure per le vicende curiose in cui sono stati coinvolti. Diversi motivi, però, giustificano l'opportunità di non farlo, per questo motivo ci si limita a raccontarne le “perle”, umoristicamente parlando, senza citarne i nomi. Quando si è alla presenza di aneddoti, i cui contenuti fanno a pugni con la dignità e la sensibilità delle persone, il ricorso al velo sulle generalità dei protagonisti è ampiamente legittimato. In taluni casi, tale precauzione è suggerita, altresì, dal ...rischio di poter incorrere in incresciose cantonate, coinvolgendo in vicende persone che in esse probabilmente non hanno avuto parte.
E’ vero che di alcuni gustosi aneddoti diversi Lametini, avanti con gli anni, conoscono vita e miracoli di chi ne è stato primo “attore” o semplice “comparsa”. Tuttavia, non avendo avuto modo e possibilità di raccogliere prove e testimonianze al riguardo, preferisco muovermi con prudenza che - come recita un vecchio adagio - non è mai troppa. Pertanto, porterò in primo piano vicende curiose di casa nostra, lasciandone sullo sfondo il “cast”, sperando che il taglio non penalizzi più di tanto la sostanza e il gradimento della storiella. La seguente appartiene al gruppo di quelle da riferire nude e crude, senza alcun riferimento ai loro … interpreti.
Si è negli anni post-bellici, periodo in cui l’analfabetismo, specie tra gli anziani, è piuttosto diffuso. All’ufficio anagrafe del Comune, di buon mattino, diverse persone attendono il proprio turno per richiedere o ritirare documenti. Un maturo manovale, originario di una frazione collinare, è davanti allo sportello. L’impiegato, uno all’antica, domanda con tono tra l’autoritario e il confidenziale:
- “Tu cchì bùa?” (tu cosa vuoi?)
- “Mi sirvèra ’nu statu ’i fhamìgghja” (mi servirebbe uno stato di famiglia), risponde l’altro. Il dipendente comunale prende da un cassetto un modulo e da un angolo del bancone una Bic senza cappuccio. Dopo aver annotato di proprio pugno le generalità e l’oggetto del richiedente, porge il tutto a quest’ultimo per la firma. Il manovale, con evidente imbarazzo, precisa:
- “O don Giuà, vùa ’u sapìti ch’a sugnu anarfabèta…, mintiticcìlla vùa ’na fhirmicèlla” (Don Giovanni, voi lo sapete che io sono un analfabeta, per cortesia mettetela voi una firmetta).
L’impiegato prende atto del motivato rifiuto e, indicando con l’indice destro un punto in calce al modulo, gli suggerisce:
- “Fa’ ccà ’nu sìgnu ’i cruci” (Fai qui un segno di croce).
Il consiglio è presto eseguito dal manovale il quale, informato sul ritiro del documento da eseguirsi fra tre giorni, ringrazia e si allontana.
E’ poi il turno di un falegname in pensione che ha seguito, parola per parola, il dialogo tra chi l’ha preceduto e l’addetto dell’ufficio anagrafe. A questi avanza richiesta di rinnovo della carta d’identità, infilando dentro la piccola apertura nel vetro divisorio tre foto formato tessera e quant’altro previsto per il rilascio del nuovo documento. L’impiegato prende dal cassetto un altro modulo e si appresta a compilarlo, sottoponendo poi l’artigiano alle rituali domande.
D - “Cùmu ti chiami?";
R - “Pasquali Mastroianni” (nome fittizio);
D - “Di, fu?”;
R - “Mastru ’Ntoni 'u Carùsu” (mastro Antonio, detto "u Carusu");
D - “Vivi?" (lo sportellista chiede “se vive”, ma l’altro interpreta “se beve”);
R - “Cchì vulìti, ogni tantu ’nu bicchìari ’i vinu su fha” (Che cosa volete, ogni tanto un bicchiere di vino lo tracanna). Chiarito l’equivoco, il falegname è invitato a sottoscrivere il modulo che, non sapendo né leggere né scrivere, allontana col dorso della mano. E nel fare ciò, con un pizzico di disappunto ma con tono di rispettoso rimprovero, afferma:
- “Don Giuà, pàrica ‘i mò mi canuscìti?" (Don Giovanni, non è da poco tempo che mi conoscete) e aggiunge: "Alla scola ’unn’haju jùtu e ’un sàcciu ì lèjari; vidìti vùa cùmu fhacìti... ” (Don Giovanni, mi conoscete da tanto tempo e sapete che a scuola non sono mai andato e che non so né leggere né scrivere. Per favore, vedete voi come fare…). L’impiegato, con santa pazienza e umana comprensione, indica con la mano un punto del modulo e sollecita il pensionato ad apporvi il segno di croce. Facendo riferimento al manovale che l’ha preceduto allo sportello, l’artigiano, tra l'offeso e l'infastidito, ribatte seccamente:- “Ma iju ’unn’è ch’a mi chiàmu cùmu a chìllu!” (Ma io non mi chiamo come quello!).
                                                          * * *
Stesso periodo(o quasi), stesso ufficio. La scenetta allo sportello si ripete, ma questa volta la variazione sul tema è quasi certamente opera del solito burlone perché la manipolazione finale esclude razionalmente il pur minimo indizio di autenticità dell'episodio. L'impiegato dell'ufficio trascrive su apposito modulo la richiesta di un certificato di nascita avanzata da un anziano concittadino, ovviamente analfabeta, e subito dopo indica il punto su cui l'interessato faccia un segno di croce. Cosa succede, secondo il canovaccio predisposto dal buontempone? Il vecchietto  fa due croci sul rigo e, in segno di restituzione,  col dorso della mano spinge il foglio verso lo sportellista che gli domanda più per curiosità che per rimprovero: " Vi ho chiesto di fare un solo segno di croce, come mai due?" E l'altro puntualizza: “Cognome e nome!"
                                                           * * *
E in fatto di aneddoti, sempre in Comune, vale l'adagio "non c'è due senza tre". Un anziano contadino della periferia di Lamezia Terme si presenta allo sportello per rinnovare la carta di identità che ancora riporta la foto di quando era giovane. All'addetto esibisce quanto in precedenza gli era stato richiesto: tre foto  formato tessera e la prevista marca da bollo. Nel compilare il nuovo modulo il funzionario, annotati i dati già disponibili (nome, cognome, data e luogo di nascita, residenza, ecc.), chiede al contadino:
- "Segni particolari?"
- "Iju 'un 'li sàcciu fhari, 'un sacciu 'i lejàri (io segni non ne sono fare, non so né leggere né scrivere)";
- "Non voglio sapere questo, ma se avete per esempio qualche neo sul viso". E nel precisare ciò dà una sbirciatina sul volto dell' uomo che sta davanti allo sportello;
- " 'Njornò (signor no)";
- "Il colore dei capelli?". Aggiunge il funzionario.
- "Mìanzi jànchi e mìanzi a culuri da castagna (per metà bianchi e per metà color castano)". E' la risposta.
Il dipendente comunale, a questo punto, vuole accertarsene personalmente, anche perché deve annotare sul documento un solo colore e non due. E, osservando la testa dell'altro da sopra gli occhiali poco prima abbassati sulla punta del naso, dice: "Non mi sembrano castani, semmai brizzolati, siete d'accordo?"
- "A virità. Iju mi li ricùardu sempri mìanzi biondi. Vùa mi diciti ch'a nò. Cchi vulìti mu vi dicu! (per la verità io ricordo di averli sempre avuti quasi biondi. Voi mi dite di no. Cosa volete che vi dica!)".
E l'ufficiale di anagrafe, scuotendo la testa e riosservando il capo dell'altro, replica: "Non ne sono per nulla convinto. Per me sono brizzolati".

Vedendo che il dipendente comunale indugia su tale dettaglio e avendo una certa fretta, il contadino taglia corto suggerendo: "Don Giuà, 'a vulìti fhari n'a cosa? Mintìtici ch'a mi stanu cadìandu!" (Don Giovanni, fate una cosa: scrivete che i capelli mi stanno cadendo). Demetrio Russo

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari