Quasi certamente diversi lettori
troveranno di loro pieno gradimento i servizi presentati in questo spazio,
perché il loro interesse sarà suscitato dalle curiosità, dalle battute
esilaranti, dagli aneddoti divertenti attribuiti, alcuni legittimamente e altri
dai soliti “si dice” (in quest'ultimo caso mancano prove e testimonianze), a
concittadini del passato. Tali protagonisti, veri o presunti, per il loro modo
di essere o di agire, erano talmente noti – e qualcuno ne ha buona memoria - da
essere considerati giustamente autentici personaggi. E’ giusto concedere un
meritato primo piano ad alcune di queste “icone” locali che, per una ragione o
per l’altra, hanno lasciato un’indelebile traccia nel libro dei … ricordi di
Lamezia Terme e dintorni. Ne cito alcune: l’orefice Nicola Rocca, il vigile
Mario Anzani Ciliberti, il pizzaiolo Achille Cioffi, il sarto Vincenzo Giampà,
il primario ortopedico prof. Diego Menniti, l’ex collega Pepè Pandolfo, ecc.
Tanti altri personaggi del passato
meriterebbero stessa passerella per le loro “gesta”, per le battute geniali
oppure per le vicende curiose in cui sono stati coinvolti. Diversi motivi,
però, giustificano l'opportunità di non farlo, per questo motivo ci si limita a
raccontarne le “perle”, umoristicamente parlando, senza citarne i nomi. Quando
si è alla presenza di aneddoti, i cui contenuti fanno a pugni con la dignità e
la sensibilità delle persone, il ricorso al velo sulle generalità dei
protagonisti è ampiamente legittimato. In taluni casi, tale precauzione è
suggerita, altresì, dal ...rischio di poter incorrere in incresciose cantonate,
coinvolgendo in vicende persone che in esse probabilmente non hanno avuto
parte.
E’ vero che di alcuni gustosi aneddoti
diversi Lametini, avanti con gli anni, conoscono vita e miracoli di chi ne è
stato primo “attore” o semplice “comparsa”. Tuttavia, non avendo avuto modo e
possibilità di raccogliere prove e testimonianze al riguardo, preferisco
muovermi con prudenza che - come recita un vecchio adagio - non è mai troppa.
Pertanto, porterò in primo piano vicende curiose di casa nostra, lasciandone sullo
sfondo il “cast”, sperando che il taglio non penalizzi più di tanto la sostanza
e il gradimento della storiella. La seguente appartiene al gruppo di quelle da
riferire nude e crude, senza alcun riferimento ai loro … interpreti.
Si è negli anni post-bellici, periodo in
cui l’analfabetismo, specie tra gli anziani, è piuttosto diffuso. All’ufficio
anagrafe del Comune, di buon mattino, diverse persone attendono il proprio
turno per richiedere o ritirare documenti. Un maturo manovale, originario di
una frazione collinare, è davanti allo sportello. L’impiegato, uno all’antica,
domanda con tono tra l’autoritario e il confidenziale:
- “Tu cchì bùa?” (tu cosa vuoi?)
- “Mi sirvèra ’nu statu ’i fhamìgghja”
(mi servirebbe uno stato di famiglia), risponde l’altro. Il dipendente comunale
prende da un cassetto un modulo e da un angolo del bancone una Bic senza
cappuccio. Dopo aver annotato di proprio pugno le generalità e l’oggetto del
richiedente, porge il tutto a quest’ultimo per la firma. Il manovale, con
evidente imbarazzo, precisa:
- “O don Giuà, vùa ’u sapìti ch’a sugnu
anarfabèta…, mintiticcìlla vùa ’na fhirmicèlla” (Don Giovanni, voi lo
sapete che io sono un analfabeta, per cortesia mettetela voi una firmetta).
L’impiegato prende atto del motivato
rifiuto e, indicando con l’indice destro un punto in calce al modulo, gli
suggerisce:
- “Fa’ ccà ’nu sìgnu ’i cruci” (Fai
qui un segno di croce).
Il consiglio è presto eseguito dal
manovale il quale, informato sul ritiro del documento da eseguirsi fra tre
giorni, ringrazia e si allontana.
E’ poi il turno di un falegname in
pensione che ha seguito, parola per parola, il dialogo tra chi l’ha preceduto e
l’addetto dell’ufficio anagrafe. A questi avanza richiesta di rinnovo della
carta d’identità, infilando dentro la piccola apertura nel vetro divisorio tre
foto formato tessera e quant’altro previsto per il rilascio del nuovo
documento. L’impiegato prende dal cassetto un altro modulo e si appresta a
compilarlo, sottoponendo poi l’artigiano alle rituali domande.
D - “Cùmu ti chiami?";
R - “Pasquali Mastroianni” (nome
fittizio);
D - “Di, fu?”;
R - “Mastru ’Ntoni 'u Carùsu”
(mastro Antonio, detto "u Carusu");
D - “Vivi?" (lo sportellista chiede “se vive”, ma
l’altro interpreta “se beve”);
R - “Cchì vulìti, ogni tantu ’nu
bicchìari ’i vinu su fha” (Che
cosa volete, ogni tanto un bicchiere di vino lo tracanna). Chiarito l’equivoco,
il falegname è invitato a sottoscrivere il modulo che, non sapendo né leggere
né scrivere, allontana col dorso della mano. E nel fare ciò, con un pizzico di
disappunto ma con tono di rispettoso rimprovero, afferma:
- “Don Giuà, pàrica ‘i mò mi
canuscìti?" (Don
Giovanni, non è da poco tempo che mi conoscete) e aggiunge: "Alla scola ’unn’haju jùtu e
’un sàcciu ì lèjari; vidìti vùa cùmu fhacìti... ” (Don Giovanni, mi conoscete da tanto
tempo e sapete che a scuola non sono mai andato e che non so né leggere né
scrivere. Per favore, vedete voi come fare…). L’impiegato, con santa pazienza e
umana comprensione, indica con la mano un punto del modulo e sollecita il pensionato
ad apporvi il segno di croce. Facendo riferimento al manovale che l’ha
preceduto allo sportello, l’artigiano, tra l'offeso e l'infastidito, ribatte
seccamente:- “Ma iju ’unn’è ch’a mi chiàmu cùmu a chìllu!” (Ma io non mi chiamo come quello!).
* * *
Stesso periodo(o quasi), stesso ufficio.
La scenetta allo sportello si ripete, ma questa volta la variazione sul tema è
quasi certamente opera del solito burlone perché la manipolazione finale
esclude razionalmente il pur minimo indizio di autenticità dell'episodio.
L'impiegato dell'ufficio trascrive su apposito modulo la richiesta di un
certificato di nascita avanzata da un anziano concittadino, ovviamente
analfabeta, e subito dopo indica il punto su cui l'interessato faccia un segno
di croce. Cosa succede, secondo il canovaccio predisposto dal buontempone? Il
vecchietto fa due croci sul rigo e, in segno di restituzione, col
dorso della mano spinge il foglio verso lo sportellista che gli domanda più per
curiosità che per rimprovero: " Vi
ho chiesto di fare un solo segno di croce, come mai due?" E l'altro puntualizza: “Cognome
e nome!"
* * *
E in fatto di aneddoti, sempre in Comune,
vale l'adagio "non c'è due senza tre". Un anziano contadino
della periferia di Lamezia Terme si presenta allo sportello per rinnovare la
carta di identità che ancora riporta la foto di quando era giovane. All'addetto
esibisce quanto in precedenza gli era stato richiesto: tre foto formato
tessera e la prevista marca da bollo. Nel compilare il nuovo modulo il
funzionario, annotati i dati già disponibili (nome, cognome, data e luogo di
nascita, residenza, ecc.), chiede al contadino:
- "Segni particolari?"
- "Iju 'un 'li sàcciu fhari, 'un
sacciu 'i lejàri (io
segni non ne sono fare, non so né leggere né scrivere)";
- "Non voglio sapere questo, ma se avete per esempio
qualche neo sul viso". E nel
precisare ciò dà una sbirciatina sul volto dell' uomo che sta davanti allo
sportello;
- " 'Njornò (signor no)";
- "Il colore dei
capelli?". Aggiunge il funzionario.
- "Mìanzi jànchi e mìanzi a
culuri da castagna (per metà bianchi e per metà color castano)". E' la
risposta.
Il dipendente comunale, a questo punto,
vuole accertarsene personalmente, anche perché deve annotare sul documento un
solo colore e non due. E, osservando la testa dell'altro da sopra gli occhiali
poco prima abbassati sulla punta del naso, dice: "Non mi sembrano
castani, semmai brizzolati, siete d'accordo?"
- "A virità. Iju mi li ricùardu
sempri mìanzi biondi. Vùa mi diciti ch'a nò. Cchi vulìti mu vi dicu! (per
la verità io ricordo di averli sempre avuti quasi biondi. Voi mi dite di no.
Cosa volete che vi dica!)".
E l'ufficiale di anagrafe, scuotendo la
testa e riosservando il capo dell'altro, replica: "Non ne sono per
nulla convinto. Per me sono brizzolati".
Vedendo che il dipendente comunale indugia
su tale dettaglio e avendo una certa fretta, il contadino taglia corto
suggerendo: "Don Giuà, 'a vulìti fhari n'a cosa? Mintìtici ch'a mi
stanu cadìandu!" (Don Giovanni, fate una cosa: scrivete che i capelli
mi stanno cadendo). Demetrio
Russo
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