
Nicastro può, senza dubbio alcuno, menar
vanto di avere avuto in passato, sia nel commercio sia nell’artigianato come
pure in altri settori, delle figure che hanno lasciato un’impronta indelebile
nella memoria di quanti hanno avuto modo di conoscerle, anche semplicemente di
vista, di apprezzarne la signorilità e il carisma e di ricordarle per quel
particolarissimo modo di fare e/o di esprimersi. E’ da ritenere, infatti, che
tanti nicastresi, persino quelle persone dei centri vicini che all’epoca
frequentarono la città della Piana per studio o per altri motivi, ancora
viventi, appena sentiranno il nome di chi ha avuto una certa visibilità e
notorietà, andranno automaticamente con la mente ai quei tempi rispolverando –
magari con qualche rimpianto e compiacimento - episodi, battute di spirito e
immagini dai contorni ben delineati. Come in un replay rivedranno nella memoria
il personaggio e il suo ambiente messi straordinariamente a fuoco e riosservati
come se “in diretta”. In tal modo ciascuno di quei testimoni rivivrà scene di
vita quotidiana con aneddoti curiosi, battute gustosissime e personaggi, più e
meno simpatici, abbastanza noti in tutto il circondario.
La storia locale, come ricorderanno
sicuramente diversi Lametini, è ricca di figure che acquisirono particolare
notorietà tanto per l’attività svolta, quanto anche perché si resero
protagoniste di battute o gesti comportamentali che li caratterizzarono. Tra
costoro c’è un personaggio del passato che in certo senso ha fatto e fa storia
(locale, ovviamente) per la signorilità, la correttezza e la disponibilità
dimostrate nei suoi giornalieri contatti di lavoro. Immagine che rispolvera
piacevoli ricordi e suscita valutazioni ed espressioni di grande ammirazione in
tutti quelli che hanno avuto occasione di entrare nel suo negozio o anche
semplicemente di averlo visto davanti alla sua vetrina.
Mi riferisco a Don Nicola Rocca, titolare di
una gioielleria di primaria importanza, in Corso Numistrano, ora gestita da
nipoti. Uomo stimato e rispettato da tutti; particolarmente simpatico alle
persone amiche o conoscenti per l’humour e le geniali battute che solitamente
egli faceva cadere, come cacio sui maccheroni, nel corso di dialoghi con amici
e, talvolta, anche con i clienti. Era un assiduo lettore del settimanale locale
in dialetto nicastrese, “A Sbumba”, che trattava in maniera splendida
tradizioni e usi locali, non disdegnando, altresì, di attaccare con pungente
ironia comportamenti censurabili e malefatte di politici di ogni colore e
bandiera. Don Nicola, e come lui tanti altri, declamava spesso i tre versi introduttivi
di quel satirico giornalino adattandoli, spesso in maniera buffa ma sempre in
rima, a chiunque tra le persone conosciute si trovasse a passare davanti alla
gioielleria. Un esempio: quel modo di salutare, in tono affettuoso, i membri
della famiglia Pandolfo, proprietaria di una rinomata fabbrica di fuochi
d’artificio: “Curri Pandorfu e
spara cchiù sbumbi chi 'ndi pùa; e spara puru d’Ariella, mu tremanu 'i casi di
la Bella” (Corri Pandolfo
e fai esplodere mortaretti in quantità tale da far tremare le case della
frazione Bella).
Questo era il signor Nicola Rocca, un
autentico e simpaticissimo personaggio. Di lui voglio raccontare un curioso
aneddoto che fa meglio risaltare quelle sue qualità caratteriali. La storiella
mi è stata riferita tempo fa da un attendibilissimo amico del gioielliere, da
qualche tempo deceduto. Nessuna prova per convalidarne la testimonianza.
Tuttavia quell’esilarante battuta finale, attribuita a Don Nicola, non nuovo a
simili “uscite”, poteva essere benissimo …. farina del suo sacco, perché
no!
Il fatto. Un certo Fazio, originario di
Feroleto Antico o Serrastretta, una mattina si reca nella gioielleria per
acquistare un anello importante da regalare alla ragazza in occasione
dell’imminente fidanzamento ufficiale. Il signor Rocca cava fuori dalla
cassaforte un capace contenitore di tela color blu e lo srotola sul bancone.
- “Guardatìlli
e vidi chìllu chi ti servi” (Guardali
e scegli quello che ti serve), dice
al giovanotto guardandolo da sopra le sue piccole lenti bivalenti calate in
punta di naso. Dopo averne selezionati alcuni, il giovane prende in mano
l’anello che, a parer suo, avrebbe incontrato il gradimento della fidanzata. Lo
porge al commerciante e ne domanda il prezzo. L’orefice pone il cerchietto in
oro massiccio sul bilancino e, fatti risalire gli occhiali per vedere meglio,
determina il peso e il costo del prezioso gioiello. Abbassa nuovamente le lenti
e, rivolto al giovane, risponde:
- “Chìstu,
caru mìu, ti vèni supra i dua miliùni.” (Questo,
mio caro ti costa intorno ai due milioni di lire).Fazio, sorpreso e deluso
per l’importo, ritenuto eccessivo rispetto alle proprie disponibilità e alla
cifra preventivata per il regalo, non aggiunge parola. Si limita a emettere un
prolungato fischio per esprimere stupore e nel contempo cura di rimettere a
posto quel costoso oggetto. Don Nicola, da navigato commerciante, non muove
bocca. Attende che il cliente faccia un’altra scelta e acquisti qualcosa.
Il giovane passa a rimirare gli altri
tre-quattro anelli selezionati in precedenza. La sua attenzione è attratta
dalla particolare luminosità di uno di essi piuttosto sottile, molto semplice e
con una pietra iridescente in testa. Domanda timidamente e con tono speranzoso:
-“E 'ppi chìstu quanti sordi ci vònu?” (e per quest’altro, quanto denaro
occorre?). L’orefice, che
conosce perfettamente il valore di quell’anello con brillante, storce appena il
muso e non ritiene di dover pesare quel gioiello. Volge un secondo sguardo al
giovane, rimasto in fiduciosa attesa e, senza pensarci su, libera una delle sue
geniali battute.
-“Custa cchiù caru 'i chìllu, ’ppì chìssu
ci vònu dua friscàti ...” (Costa più del primo, per questo ci
vogliono due fischi), gli ribatte, adeguandosi brillantemente
all’iniziale commento ... sonoro del delusissimo giovanotto. à Demetrio Russo
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