
Il presente aneddoto avrebbe avuto – si
parla di anni antecedenti alla seconda guerra mondiale – per protagonista un
vecchietto che abitava in un casolare, nella periferia di un piccolo centro
abitato pre-montano, alle spalle di Lamezia Terme. Qualcuno, nel riferirlo ad altri,
butta appena qualche nome (verosimilmente scelto a caso), ma nessun
cognome e neppure particolari utili per risalire all’ipotetico personaggio.
La mancanza di dati personali dell’…
attore principale e, soprattutto, il contenuto della storiella fanno ritenere
quest’ultima del tutto campata in aria, frutto di pura fantasia e partorita
dalla mente geniale del solito buontempone. Non è, in effetti, pensabile che
essa, pur datata in quel periodo pre-bellico caratterizzato da analfabetismo,
da ignoranza, da credenze varie e da tanti pregiudizi, possa avere avuto quei
contenuti e quei contorni che, specialmente oggi, sembrano più “tagliati” per
una novella di tipo e di epoca boccaccesca.
Non v’è dubbio – almeno io la penso così –
che siamo alla presenza di un’autentica farsa. Tra l’altro, conosco una delle
fonti da cui la presunta vicenda è … sgorgata: trattasi di persona
rispettabilissima sotto il profilo professionale e della dirittura morale, ma
poco credibile quando egli parla di argomenti del genere. E lo fa spesso,
avendo un carattere gioviale, scherzoso, facile alle battute spiritose.
Intrattenendosi con amici presenta le sue “favole” con un tono di voce e
un’espressione del viso, che sono propri di una persona serissima, con
l’evidente scopo di conferire a esse parvenza di verità.
In tale direzione vanno alcuni particolari
buttati dall’amico umorista a sostegno, appunto, della presunta veridicità dei
fatti come, ad esempio, il nome attribuito al protagonista ed elementi generici
riguardo a luoghi e circostanze. Ovviamente, tra coloro che hanno il piacere di
accostarsi per la prima volta alla … fonte citata, potrà anche capitare che
qualcuno, semplicione o credulone che sia, “beva” il tutto, presunta verità
compresa.
L’aneddoto, che sto per raccontarvi – come
tanti altri di quelli estrapolati dal ricco repertorio dell’amico burlone – va
catalogato quasi certamente tra le “invenzioni” di sana pianta, tra quei fatti
che non hanno un pur minimo fondamento di verità. Esso, da questo punto di
vista, va preso ovviamente con le classiche pinze. E’ un racconto che fa a
pugni con la realtà, anche con quella dei tempi in cui esso sarebbe maturato.
Tuttavia, qualche motivo per prenderlo in considerazione a parer mio, c’è. E qual
è? La presunta vicenda è davvero curiosa, simpaticissima, umoristicamente
gradevole anche al palato dei lettori, per cui merita attenzione e un pezzetto
di ... ribalta.
Andiamo al fatto. In un casolare di
periferia vivono due vecchietti, marito e moglie. Lei cattolica praticante, lui
uno che con la religione non ha mai spartito niente. L’uomo, Pasquale (nome
scelto dalla citata “fonte”), un agricoltore incurvato dal peso degli anni,
è piuttosto cocciuto, facile alle suggestioni, in parole povere un credulone,
tanto da essere spesso preso bonariamente in giro da conterranei. Un giorno si
ammala di broncopolmonite e le condizioni di salute vanno sempre peggiorando.
L’appuntamento con la morte è ormai prossimo, è solo questione di ore. La
premurosa moglie, Caterina (altro nome di fantasia), a insaputa del
consorte, convoca il prete perché gli faccia ritrovare la fede e la … retta
via, cristianamente parlando.
Alla vista del sacerdote, il vecchietto
grida: “Ma cchi vulìti?", "Chìni v’ha chiamàtu?” (Che cosa volete?, Chi vi ha
chiamato?). E, dopo una brevissima
pausa per prendere fiato, aggiunge: “Jativìndi,
lassàtimmi stari…” (Andate
via, lasciatami stare …). Il prete cerca di calmarlo con amore cristiano e
di fargli capire quanto sia importante e urgente pensare al dopo, credere
nell’aldilà dove ci attende un mondo nuovo, un mondo di luce e di serenità
eterna. E lo invita alla preghiera per varcare le porte del Paradiso.
“E chìni è ch’a ccì vo’ jìri ? Iju cìartu
no!” (Ma
chi vorrà andarci ? Io no, certamente!) ribatte
quasi con stizza il moribondo. E al sacerdote che, sostenuto da santa pazienza,
gli chiede le ragioni di tale contrarietà, egli confessa: “M’hanu dittu ch’a llà ti fhìssanu
’n’ aurèula alla capu ccù dùa viticìalli, e n’autri dùa ti l’hanu ’i mìntari
alli spalli ppì l’alicelli. Chìni mu fha fhari…!” (Mi hanno detto che lì, in
Paradiso, ti fissano un’aureola alla testa mediante due viti, e altrettante ne
occorrono per attaccare alle spalle un paio di ali. Chi me lo fa fare…!).Non
si conoscono i minori “svantaggi” spettanti a chi fosse destinato sull’altra
sponda, cioè all’inferno, secondo le convinzioni del vecchietto, autentico
personaggio di un altro mondo, quello dei ... fessi. Ci saranno tra i lettori
dei creduloni, dei semplicioni, dei citrulli come il bizzarro Pasquale? Spero,
anzi, sono convinto di no. La storiella, parto della fantasia di un gran
mattacchione, finisce qui. Prendiamola per quello che ci offre: un pizzico di
sano umorismo e basta. Demetrio Russo
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