
L’alunno e i compagni della “ruga”
Un maestro di scuola elementare, Francesco G., originario
di un paesino del circondario, da diversi anni passato nel mondo dei più,
abbastanza conosciuto in città per la bontà, la giovialità, per le grandi
qualità morali e professionali, mi riferì una volta che un suo scolaro, in
terza classe, gli diede una risposta tanto ingenua quanto divertente in merito
a una specifica domanda riguardante la fusione nell’attuale Lamezia Terme dei
Comuni di Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia. Un giorno stava spiegando alla
scolaresca il “perché” e il “come” dell’unificazione di quei tre centri abitati
in un’unica entità pubblica, quando, a un certo punto, notò che uno dei ragazzi
dell’ultima fila, tale Francesco Rocca, figlio di contadini all’epoca
domiciliati in una delle zone periferiche lametine, non seguiva la lezione,
aveva la testa tra le … nuvole, era assorto in pensieri che nulla avevano da
spartire con lo studio. Lo chiamò per nome e gli disse:
- “Francesco,
vediamo se hai capito: dopo l’unione dei tre ex comuni, come si chiamano i
Nicastresi?”.
Lo scolaro, colto alla sprovvista e disconoscendo
l’argomento trattato quel giorno in classe, si trovò in una situazione di
evidente difficoltà e di grande impaccio. Dopo qualche secondo, per guadagnare
tempo e trovare a quell’interrogativo una risposta possibilmente in linea con
le attese dell’insegnante, balbettando ripeté a se stesso la domanda:
- “Cùmu se
chiàmanu e Nicastrise?”.
Si diede una risposta che, a giudicare dal movimento delle
labbra, fu: “Boh... ”.
Sollecitato dal maestro, non poté indugiare oltre, per cui
si vide costretto ad aprire bocca e pronunciare qualcosa che avesse un senso
logico, un certo nesso con la domanda fattagli poco prima. E finì col
rifugiarsi in una scappatoia che certamente non lo aiutò molto. Difatti,
pronunciò una frase che legava solo per certi aspetti con quella domanda e che
fece ridere di gusto l’intera scolaresca, insegnante compreso. Quale fu la sua
risposta? Il ragazzo, che stava in piedi nel proprio banco, guardando con occhi
smarriti prima il compagno che gli stava accanto e poi il maestro, disse con
voce tremolante:
-“Prifhissù, ìju ’un lli canùsciu tutti. Vi pùazzu
mintumàri ancùnu da rùga mia... ” (Io
non li conosco tutti, ve ne posso citare alcuni della via, dove abito io).
* * *
Quando il preside ne sa meno di …
A scuola, in una classe di terza media, in un paesino del
circondario, lo studente Giovannino R., tra i più bravi, traduce in perfetto
latino la frase proposta sulla lavagna dall'insegnante, ricevendone i
complimenti. Bussano alla porta: è il preside (cattedra acquisita con la
riforma riguardante anche le Scuole di Avviamento, in una delle quali era
direttore) per la periodica visita. Il capo dell'Istituto legge quanto scritto
dall'alunno e ritiene (a torto) che la traduzione contenga un errore. Cancella e
col gessetto trascrive il termine ritenuto "esatto". Poi, voltate le
spalle alla lavagna, si rivolge al professore per avere notizie sui programmi e
sulle condizioni della scolaresca in materia di apprendimento. Giovannino,
convinto delle proprie conoscenze in materia di latino e confortato anche dal
precedente giudizio del professore, per nulla preoccupato delle possibili
conseguenze da parte del Preside, ne cancella la ... rettifica e riscrive quel
che aveva tradotto poco prima. Al momento di lasciare l'aula, il preside nota
sulla lavagna il ripristino della frase e, con toni di moderato rimprovero,
puntualizza: "Come? Io
correggo e tu scorreggi!"
In altra circostanza, sempre in occasione della visita in
una delle classi, lo stesso preside chiede all’insegnante l’argomento sul quale
verte l’interrogazione dello studente, tale Francesco M., che sta accanto alla
cattedra. Appreso che la lezione, spiegata il giorno prima alla scolaresca,
riguarda i verbi ausiliari, chiede al giovane: "Dimmi il futuro del verbo
essere". E quello:
"Io sarò, tu sarai, egli sarà... "
e si ferma perché non sa andare oltre. Il preside cerca di agevolarne la
ripresa della coniugazione suggerendo erroneamente: "Noi sarem..., noi
saremm...", tra lo
stupore del professore e di buona parte della classe. A quel punto
l'interrogato prende coraggio, si "aggancia" al suggerimento e
prosegue: "Noi saremmo,
voi sareste, essi sarebbero". Il capo dell'istituto interviene e
corregge solo la terza persona plurale (le altre due, a suo parere, sarebbero
giuste), puntualizzando: "No.
Essi saranno", con il conseguente commento, in stretto dialetto locale
e a fior di labbra, da parte dell'insegnante: "'Sta vota l'urtima l'ha
'ngagghjiàta...!" (Questa
volta l'ultima l'ha azzeccata!). Demetrio Russo
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