09 - IL SEGRETO DI PULCINELLA SUL " CASANOVA " NOSTRANO



La storiella seguente è ascritta a uno tra i più valenti e noti artigiani nicastresi del dopoguerra. Aveva la bottega in una zona centrale, alle spalle di Piazza Mercato Vecchio, ma il lavoro lo svolgeva solitamente lontano dal proprio locale, specie nel periodo autunnale. Difatti, fornito dei soliti attrezzi, si recava nei vari vigneti, dove erano da sistemare palmenti e botti in vista della vendemmia. Sulla competenza, sulla scrupolosità, sulla serietà nel lavoro, sul rispetto degli appuntamenti e degli impegni presi, nulla da dire.
Per queste e altre ragioni era il più richiesto dai titolari di aziende agricole. Il mestiere lo conosceva a menadito e, per la verità, nel suo campo non temeva né aveva tanta concorrenza. Il lavoro, quindi, non gli mancava di certo. Da ragazzo non aveva studiato molto in quel periodo post-bellico difficile per tutti, ma aveva imparato bene l’arte e quell’attività gli consentiva di vivere senza grossi problemi. Con la clientela sapeva cavarsela abbastanza. A contatto con proprietari terrieri, anche laureati, non temeva il confronto sul piano dialettico: non aveva grande dimestichezza con la lingua italiana, però nel dialetto locale – talvolta intercalato da qualche parola rubacchiata alla madre lingua - si spiegava e si faceva comprendere benissimo. Gli piaceva il rubicondo liquido del dio Bacco e in quelle occasioni sciorinava spesso frasi ingarbugliate, con il risultato di rendersi buffo e simpatico nello stesso tempo.
In quel periodo non mancavano le osterie. Ve n’erano in ogni angolo di strada, con la classica "frasca" (ramo di ulivo) per insegna. Tra esse, tanto per citarne una, la storica e frequentatissima “Corivèrdi”, alle spalle di Corso Numistrano. L’artigiano non disdegnava di fare spesso una capatina in detti ritrovi, per cui la sera puntualmente era brillo. Lo stato di ebbrezza gli procurava soltanto una loquacità sorprendente. Sotto l’effetto dell’alcol, l’artigiano non dava fastidio ad alcuno, anzi la gente si divertiva ad ascoltare i suoi discorsi privi di nesso logico e pronunciati in un gergo colorito. Uscendo dall’osteria urlava i suoi astrusi monologhi volgendo gli occhi sulle persone che incontrava per strada; in realtà lo sguardo era fisso nel vuoto, raramente sui propri simili. Procedeva a testa alta, una mano dietro la schiena e l’altra impegnata in un continuo gesticolare, quasi a porre l’accento su ogni sillaba pronunciata. Frasi senza senso e parole buttate al vento; ma qualche volta, ritrovando dei momenti di lucidità, riusciva a esprimere concetti in certo qual modo logici e abbastanza comprensibili. E’ il caso, per esempio, del seguente episodio passato alla... storia, locale s’intende. Il nome è taciuto per ragioni ovvie, tuttavia per molti Lametini, avanti con l'età, sarà facile risalire al simpatico artigiano. E chi ha memoria del seguente fatto curioso, potrà riviverne il ricordo e godersi un momento di sano umorismo. Una sera, sempre dopo aver tracannato la sua buona dose di “rosso”, stava avviandosi verso casa per una viuzza adiacente al Mercato coperto, zona più conosciuta come “’ntr’e Crùci”, quando notò una persona di sua conoscenza infilarsi furtivamente in una casa d’appuntamento, per un presumibile incontro amoroso. E cosa fece? Con la solita voce stentorea improvvisò un curioso monologo-dialogo con l’altro che, nel frattempo, convinto di non essere stato visto da alcuno, si era chiusa la porticina alle spalle, pregustando il dolce incontro con la meretrice. L’artigiano gridò: - “Amìcu, ch’a t’hàju, vìstu, ’ntramènti trasìvi 'ntra casa da marca! Ma ìju sùgnu 'na pirsùna pirbèni. ’Un tìagnu 'a vùcca larga, mi sàcciu tinìri a posta e 'llu numi tua 'ullu fhàzzu.” (Amico, ti ho visto entrare in casa della donna. E siccome sono una persona corretta e che sa tenere la bocca chiusa, il tuo nome non lo faccio).
Subito dopo, però, smarrendo l’iniziale lucidità, disse: - “Ha’ capìtu o M... ”e qui pronunciò a chiare lettere, e per esteso, il cognome dell’uomo intrufolatosi in quella casa d’appuntamento; cognome più unico che raro in città e, quindi, sufficiente all’identificazione del “Casanova” da parte dei presenti, alcuni dei quali commentarono la strombazzata notizia con il noto adagio:- “Ammùccia, ammùccia ch’a pari tùttu!” (Nascondi, nascondi e poi si vede tutto!), accompagnando la frase con un compiaciuto quanto malizioso sorrisetto). Demetrio Russo

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari