
La storiella seguente è ascritta a uno tra
i più valenti e noti artigiani nicastresi del dopoguerra. Aveva la bottega in
una zona centrale, alle spalle di Piazza Mercato Vecchio, ma il lavoro lo
svolgeva solitamente lontano dal proprio locale, specie nel periodo autunnale.
Difatti, fornito dei soliti attrezzi, si recava nei vari vigneti, dove erano da
sistemare palmenti e botti in vista della vendemmia. Sulla competenza, sulla
scrupolosità, sulla serietà nel lavoro, sul rispetto degli appuntamenti e degli
impegni presi, nulla da dire.
Per queste e altre ragioni era il più
richiesto dai titolari di aziende agricole. Il mestiere lo conosceva a menadito
e, per la verità, nel suo campo non temeva né aveva tanta concorrenza. Il
lavoro, quindi, non gli mancava di certo. Da ragazzo non aveva studiato molto
in quel periodo post-bellico difficile per tutti, ma aveva imparato bene l’arte
e quell’attività gli consentiva di vivere senza grossi problemi. Con la
clientela sapeva cavarsela abbastanza. A contatto con proprietari terrieri,
anche laureati, non temeva il confronto sul piano dialettico: non aveva grande
dimestichezza con la lingua italiana, però nel dialetto locale – talvolta
intercalato da qualche parola rubacchiata alla madre lingua - si spiegava e si
faceva comprendere benissimo. Gli piaceva il rubicondo liquido del dio Bacco e in quelle occasioni sciorinava spesso frasi ingarbugliate, con il
risultato di rendersi buffo e simpatico nello stesso tempo.
In quel periodo non mancavano le osterie.
Ve n’erano in ogni angolo di strada, con la classica "frasca"
(ramo di ulivo) per insegna. Tra esse, tanto per citarne una, la storica e frequentatissima “Corivèrdi”, alle spalle di Corso Numistrano. L’artigiano
non disdegnava di fare spesso una capatina in detti ritrovi, per cui la sera
puntualmente era brillo. Lo stato di ebbrezza gli procurava soltanto una
loquacità sorprendente. Sotto l’effetto dell’alcol, l’artigiano non dava
fastidio ad alcuno, anzi la gente si divertiva ad ascoltare i suoi discorsi
privi di nesso logico e pronunciati in un gergo colorito. Uscendo dall’osteria
urlava i suoi astrusi monologhi volgendo gli occhi sulle persone che incontrava
per strada; in realtà lo sguardo era fisso nel vuoto, raramente sui propri
simili. Procedeva a testa alta, una mano dietro la schiena e l’altra impegnata
in un continuo gesticolare, quasi a porre l’accento su ogni sillaba
pronunciata. Frasi senza senso e parole buttate al vento; ma qualche volta,
ritrovando dei momenti di lucidità, riusciva a esprimere concetti in certo qual
modo logici e abbastanza comprensibili. E’ il caso, per esempio, del seguente
episodio passato alla... storia, locale s’intende. Il nome è taciuto per
ragioni ovvie, tuttavia per molti Lametini, avanti con l'età, sarà facile
risalire al simpatico artigiano. E chi ha memoria del seguente fatto curioso,
potrà riviverne il ricordo e godersi un momento di sano umorismo. Una sera,
sempre dopo aver tracannato la sua buona dose di “rosso”, stava avviandosi
verso casa per una viuzza adiacente al Mercato coperto, zona più conosciuta
come “’ntr’e Crùci”, quando notò una persona di sua conoscenza infilarsi
furtivamente in una casa d’appuntamento, per un presumibile incontro amoroso. E
cosa fece? Con la solita voce stentorea improvvisò un curioso monologo-dialogo
con l’altro che, nel frattempo, convinto di non essere stato visto da alcuno,
si era chiusa la porticina alle spalle, pregustando il dolce incontro con la
meretrice. L’artigiano gridò: - “Amìcu, ch’a t’hàju, vìstu, ’ntramènti
trasìvi 'ntra casa da marca! Ma ìju sùgnu 'na pirsùna pirbèni. ’Un tìagnu 'a vùcca
larga, mi sàcciu tinìri a posta e 'llu numi tua 'ullu fhàzzu.” (Amico, ti ho visto entrare in casa
della donna. E siccome sono una persona corretta e che sa tenere la bocca
chiusa, il tuo nome non lo faccio).
Subito dopo, però, smarrendo l’iniziale lucidità,
disse: - “Ha’ capìtu o M... ”e
qui pronunciò a chiare lettere, e per esteso, il cognome dell’uomo
intrufolatosi in quella casa d’appuntamento; cognome più unico che raro in
città e, quindi, sufficiente all’identificazione del “Casanova” da parte dei
presenti, alcuni dei quali commentarono la strombazzata notizia con il noto
adagio:- “Ammùccia, ammùccia
ch’a pari tùttu!” (Nascondi,
nascondi e poi si vede tutto!), accompagnando la frase con un compiaciuto
quanto malizioso sorrisetto). Demetrio Russo

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