Anche la presente storiella è una di quelle che, per ragioni di opportunità e di prudenza, vanno riferite secondo l’antico adagio: “si dice il peccato e non il peccatore”. Sulla bocca di alcune persone anziane è ricorrente il nome del protagonista. E’ identificato in un manovale, analfabeta, abitante in una delle tante frazioni montane. Il fatto risalirebbe ai primi anni di attività della Clinica “Michelino”, noto e frequentato istituto per partorienti, e avrebbe avuto il seguente svolgimento.Una mattina di buona ora, l’operaio Giuseppe M. si reca in clinica a far visita alla moglie, per la prima volta in dolce attesa, ricoverata da alcuni giorni perché prossima al lieto evento. Nell’atrio incontra un’infermiera dalla quale apprende che la moglie è da poco entrata in sala parto. È fatto accomodare nella saletta riservata al pubblico. Le ore passano e Giuseppe, ovviamente teso ed emozionato, freme d’impazienza. Fuma una sigaretta dietro l’ altra e di tanto in tanto dà uno sguardo svogliato a vecchie riviste e opuscoli sparsi alla rinfusa sul ripiano di un tavolinetto.
Più tardi giunge un altro signore, anche egli futuro papà, che si siede su una poltroncina accanto al manovale. Nemmeno il tempo di aprir bocca e scambiare parole di circostanza con chi gli sta accanto, che il nuovo arrivato è raggiunto in sala d’attesa da un’infermiera con una creatura tra le braccia. La donna si avvicina a lui e, con atteggiamento materno verso la neonata e col sorriso sulle labbra, dice:
- “E’ una bella bambina, auguri. Siete contento?”.
A questo punto Giuseppe, presentatosi in clinica sin dalla prima mattinata, un po’ perché sopra pensiero e un po’ perché convinto di un possibile scambio di...papà, si rivolge all’infermiera con questa curiosa quanto esilarante osservazione, quasi una mezza protesta:-“O signò, ch’a iju ’cce sugnu de prima...!” (Guardi, signora, che io sono arrivato prima). Demetrio Russo


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