-“O dottò, sugnu Angilìna di Capizzagghj (zona periferica di Lamezia terme) e vi
vulìa dicìri si ppì fhavòri putèravu passàri da casa mia ’ppìmmu guardèravu a
fhìgghjuma ’u nnìnnu, chi s’ha agghjuttùtu ’na viticèlla du schiacciapatàti.”
(Dottore, sono la signora Angela da Capizzaglie e vorrei dirvi di venire a casa
perché mio figlio il piccolo ha inghiottito una vite dello schiacciapatate).
Il medico, preoccupato per il tipo d’incidente e per le possibili conseguenze, chiese subito ragguagli sulle condizioni del piccolo:
Il medico, preoccupato per il tipo d’incidente e per le possibili conseguenze, chiese subito ragguagli sulle condizioni del piccolo:
“Come sta? Per caso dà segni di soffocamento? Accusa
qualche malore al pancino oppure...?”. La
donna con voce e toni rassicuranti precisò:
“No, è supra ’u lìattu tranquillu chi jòca. ’U jiàtu ’un ci
manca, ’a panza 'un ci doli . Pari ch’a ’un c’è succidùtu nenti”.
(No, sta giocando sul letto. Il respiro non gli manca, la
pancia non gli duole. Sembra che non gli sia successo niente).
Preso atto che la situazione era di assoluta tranquillità e
che lo stato di salute del bambino non era tale da richiedere un suo intervento
d’urgenza, il medico promise alla signora che nella tarda mattinata, dopo aver
licenziato le visite nello studio, si sarebbe premurato di fare una capatina
dalle parti di Capizzaglie e avrebbe visitato il bambino. Dopo una decina di
minuti - e qui ci sarà stato quasi certamente lo zampino di qualche buontempone
nell’aggiungere un finale da classica barzelletta - il telefono nello studio
del dottore squillò nuovamente e dall’ altra parte del filo la stessa voce di
poco fa:
“O dottò, sugnu ancora iju, Angilìna. Senza ch’a vinìti,
pirchì ’ppì mmò ’un c’è bisùagnu. A marìtumma l’haju cumbinciùtu: i patati a
menzijùarnu ci fhazzu frijùti.”
(Dottore, sono ancora io, Angelina. Non c’è bisogno che
veniate. Ho convinto mio marito: le patate a mezzogiorno le mangerà
fritte).
* * *
Anche la presente storiella è una di quelle che, per
ragioni di opportunità e di prudenza, vanno riferite secondo l’antico adagio: “Si
dice il peccato e non il peccatore”. Sulla bocca di alcune persone anziane è
ricorrente il nome del protagonista. E’ identificato in un manovale,
analfabeta, abitante in una delle tante frazioni montane. Il fatto risalirebbe
ai primi anni di attività della Clinica “Michelino”, noto e frequentato
istituto per partorienti, e avrebbe avuto il seguente svolgimento.
Una mattina di buona ora, l’operaio Giuseppe M. si reca in clinica a far visita alla moglie, per la prima volta in dolce attesa, ricoverata da alcuni giorni perché prossima al lieto evento. Nell’atrio incontra un’infermiera dalla quale apprende che la moglie è da poco entrata in sala parto. È fatto accomodare nella saletta riservata al pubblico. Le ore passano e Giuseppe, ovviamente teso ed emozionato, freme d’impazienza. Fuma una sigaretta dietro l’ altra e di tanto in tanto dà uno sguardo svogliato a vecchie riviste e opuscoli sparsi alla rinfusa sul ripiano di un tavolinetto.
Più tardi giunge un altro signore, anche egli futuro papà, che si siede su una poltroncina accanto al manovale. Nemmeno il tempo di aprir bocca e scambiare parole di circostanza con chi gli sta accanto, che il nuovo arrivato è raggiunto in sala d’attesa da un’infermiera con una creatura tra le braccia. La donna si avvicina a lui e, con atteggiamento materno verso la neonata e col sorriso sulle labbra, dice:
Una mattina di buona ora, l’operaio Giuseppe M. si reca in clinica a far visita alla moglie, per la prima volta in dolce attesa, ricoverata da alcuni giorni perché prossima al lieto evento. Nell’atrio incontra un’infermiera dalla quale apprende che la moglie è da poco entrata in sala parto. È fatto accomodare nella saletta riservata al pubblico. Le ore passano e Giuseppe, ovviamente teso ed emozionato, freme d’impazienza. Fuma una sigaretta dietro l’ altra e di tanto in tanto dà uno sguardo svogliato a vecchie riviste e opuscoli sparsi alla rinfusa sul ripiano di un tavolinetto.
Più tardi giunge un altro signore, anche egli futuro papà, che si siede su una poltroncina accanto al manovale. Nemmeno il tempo di aprir bocca e scambiare parole di circostanza con chi gli sta accanto, che il nuovo arrivato è raggiunto in sala d’attesa da un’infermiera con una creatura tra le braccia. La donna si avvicina a lui e, con atteggiamento materno verso la neonata e col sorriso sulle labbra, dice:
- “E’ una bella bambina, auguri. Siete contento?”.
A questo punto Giuseppe, presentatosi in clinica sin dalla
prima mattinata, un po’ perché sopra pensiero e un po’ perché convinto di un
possibile scambio di...papà, si rivolge all’infermiera con questa curiosa
quanto esilarante osservazione, quasi una mezza protesta:
“O signò, ch’a iju ’cce sugnu de prima...!”
(Guardi, signora, che io sono arrivato prima). Demetrio Russo
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