19 - LA VITE DELLO SCHIACCIAPATATE SI RECUPERA DOPO


 Si racconta di quel medico di famiglia – qualcuno ne cita nome e cognome (ma per ragioni di opportunità, se ne indicano le sole iniziali, F. O.) - da qualche tempo in pensione, il quale una mattina fu raggiunto nello studio dalla seguente telefonata:
-“O dottò, sugnu Angilìna di Capizzagghj (zona periferica di Lamezia terme) e vi vulìa dicìri si ppì fhavòri putèravu passàri da casa mia ’ppìmmu guardèravu a fhìgghjuma ’u nnìnnu, chi s’ha agghjuttùtu ’na viticèlla du schiacciapatàti.” (Dottore, sono la signora Angela da Capizzaglie e vorrei dirvi di venire a casa perché mio figlio il piccolo ha inghiottito una vite dello schiacciapatate).
Il medico, preoccupato per il tipo d’incidente e per le possibili conseguenze, chiese subito ragguagli sulle condizioni del piccolo:
“Come sta? Per caso dà segni di soffocamento? Accusa qualche malore al pancino oppure...?”. La donna con voce e toni rassicuranti precisò:
“No, è supra ’u lìattu tranquillu chi jòca. ’U jiàtu ’un ci manca, ’a panza 'un ci doli . Pari ch’a ’un c’è succidùtu nenti”.
 (No, sta giocando sul letto. Il respiro non gli manca, la pancia non gli duole. Sembra che non gli sia successo niente).
Preso atto che la situazione era di assoluta tranquillità e che lo stato di salute del bambino non era tale da richiedere un suo intervento d’urgenza, il medico promise alla signora che nella tarda mattinata, dopo aver licenziato le visite nello studio, si sarebbe premurato di fare una capatina dalle parti di Capizzaglie e avrebbe visitato il bambino. Dopo una decina di minuti - e qui ci sarà stato quasi certamente lo zampino di qualche buontempone nell’aggiungere un finale da classica barzelletta - il telefono nello studio del dottore squillò nuovamente e dall’ altra parte del filo la stessa voce di poco fa:
“O dottò, sugnu ancora iju, Angilìna. Senza ch’a vinìti, pirchì ’ppì mmò ’un c’è bisùagnu. A marìtumma l’haju cumbinciùtu: i patati a menzijùarnu ci fhazzu frijùti.” 
(Dottore, sono ancora io, Angelina. Non c’è bisogno che veniate. Ho convinto mio marito: le patate a mezzogiorno le mangerà fritte).  
                                                              * * *
Anche la presente storiella è una di quelle che, per ragioni di opportunità e di prudenza, vanno riferite secondo l’antico adagio: “Si dice il peccato e non il peccatore”. Sulla bocca di alcune persone anziane è ricorrente il nome del protagonista. E’ identificato in un manovale, analfabeta, abitante in una delle tante frazioni montane. Il fatto risalirebbe ai primi anni di attività della Clinica “Michelino”, noto e frequentato istituto per partorienti, e avrebbe avuto il seguente svolgimento.
Una mattina di buona ora, l’operaio Giuseppe M. si reca in clinica a far visita alla moglie, per la prima volta in dolce attesa, ricoverata da alcuni giorni perché prossima al lieto evento. Nell’atrio incontra un’infermiera dalla quale apprende che la moglie è da poco entrata in sala parto. È fatto accomodare nella saletta riservata al pubblico. Le ore passano e Giuseppe, ovviamente teso ed emozionato, freme d’impazienza. Fuma una sigaretta dietro l’ altra e di tanto in tanto dà uno sguardo svogliato a vecchie riviste e opuscoli sparsi alla rinfusa sul ripiano di un tavolinetto.
Più tardi giunge un altro signore, anche egli futuro papà, che si siede su una poltroncina accanto al manovale. Nemmeno il tempo di aprir bocca e scambiare parole di circostanza con chi gli sta accanto, che il nuovo arrivato è raggiunto in sala d’attesa da un’infermiera con una creatura tra le braccia. La donna si avvicina a lui e, con atteggiamento materno verso la neonata e col sorriso sulle labbra, dice:
- “E’ una bella bambina, auguri. Siete contento?”.
A questo punto Giuseppe, presentatosi in clinica sin dalla prima mattinata, un po’ perché sopra pensiero e un po’ perché convinto di un possibile scambio di...papà, si rivolge all’infermiera con questa curiosa quanto esilarante osservazione, quasi una mezza protesta:
“O signò, ch’a iju ’cce sugnu de prima...!”
(Guardi, signora, che io sono arrivato prima).  Demetrio Russo 

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Note sull'autore
DEMETRIO RUSSO - Pubblicista, Direttore di Banca in pensione
Tel. 0968.442206 - (rudeme@alice.it)
88046 LAMEZIA TERME
Corrispondente sportivo da Lamezia Terme della “Gazzetta del Sud” di Messina, dal 1958 al 1994. Ha trasmesso servizi a vari quotidiani, in occasione d’importanti manifestazioni ospitate in città e nel circondario, quali: incontri internazionali di pugilato, tornei di basket e di pallavolo, “europei” di biliardo, soste e allenamenti infrasettimanali di squadre di calcio di serie A e B, alla vigilia di rispettivi impegni di campionato. Dal 2005 sul periodico locale “Storicittà” cura una sua rubrica, dal titolo “Personaggi nostrani tra storia e umorismo”, in cui traccia un profilo biografico di quei Lametini del passato, più o meno recente, protagonisti di storielle e aneddoti curiosi. Alcuni anni addietro, su esplicita richiesta dell’imprenditore Domenico Fazzari, ha raccontato in un libro la drammatica prigionia e la tragica fine (21 aprile 1945) del fratello Giuseppe avvenute in Germania, durante la II guerra mondiale. Fatti e circostanze dei drammatici momenti, vissuti dallo sfortunato caporalmaggiore in un campo di prigionia tedesco, sono stati attinti dal diario che lo sfortunato militare ha vergato nei due anni trascorsi in quell’inferno. Altri particolari, come il tragico decesso del giovane, centrato in pieno petto da una granata, sono stati riferiti al pubblicista da un altro suo fratello, il commerciante Vincenzo.
Il drammatico racconto è riproposto nel libro "FIORI MISTI" e, a sinistra, nell'elenco "Storie e Storielle” sotto il titolo: Diario e morte di un prigioniero.
***L’autore, Demetrio Russo, è coniugato con l’ins. Francesca Diaco, dalla quale ha avuto quattro figli e da questi sei nipoti. A loro la dedica dei libri.





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Il Caporalmaggiore Giuseppe Fazzari